Grandi mostre. 3
Lygia Pape a Milano

ABITARE
SU VERSANTI OPPOSTI

Si è cimentata con estrema naturalezza in più forme artistiche, dalla scultura alla performance, dall’incisione alla poesia, dai disegni alle installazioni, certa che la sperimentazione in un flusso creativo senza confini e, magari, contrastante, potesse essere l’unico suo biglietto da visita. Approfondiamo allora il pensiero di Ligya Pape, esponente del neoconcretismo, nel racconto del curatore dell’esposizione.


Francesco Stocchi

Immergersi nell’opera di Lygia Pape (1927- 2004), fare proprie le ragioni delle sue scelte, condividerne la visione del mondo e lasciarsi andare alla sua ricerca così feconda e composita è un po’ come accostarsi ai misteri eleusini. Misteri senz’altro intesi a essere non tanto svelati, quanto identificati e affidati a una riflessione collettiva, qual è appunto il caso della mostra che queste pagine raccontano.

L’essenza del rito, il gesto puro, l’evocazione dell’ambivalenza, l’origine e il fine dell’Io rispetto alla Natura. Questi i valori di riferimento che ricorrono nella costruzione della poetica di Lygia Pape e che in egual misura ritroviamo racchiusi nel più noto e misterioso tra i culti religiosi dell’antica Grecia: quei misteri, celebrati ogni anno nella città di Eleusi, che ruotavano attorno al mito del ratto di Persefone, portata via alla madre Demetra da Ade, re degli Inferi. Al ricongiungimento ciclico di madre e figlia, cui seguiva il ritorno di quest’ultima al regno sotterraneo, corrisponde nel suo simbolismo l’avvicendarsi delle stagioni, con il rifiorire della terra che si alterna al riposo. Il ciclo delle messi è anche quello dell’uomo, in un gioco di opposti in cui vita e morte, veglia e sonno, interno ed esterno sono privati della connotazione positivo/negativo e ricevono definizione da un sistema di palese ambivalenza che non ostacola o interpone nozioni, ma le abbraccia creando una dimensione di potenzialità che trascende gli assunti comunemente accettati espressi dal dualismo.

Lygia Pape si muove caparbiamente fra i contrasti, coabitandoli, occupando nello stesso momento lo spazio di ciò che è e di ciò che non è, gli spazi positivi e quelli negativi, le dimensioni del materiale e dell’intangibile. Secondo Hélio Oiticica, artista suo contemporaneo e come lei esponente del neoconcretismo, Lygia Pape viveva sempre sul margine, alludendo non a un suo permanere in uno spazio liminale, de-centrato e incapace di acquisire piena dignità, bensì alla capacità di abitare di pari passo su versanti opposti, di non avere limiti nel suo lavoro e di non poter così essere incasellata in classificazioni e designazioni predefinite(1).

Per lei, quindi, i contrasti non corrispondono a valori contrapposti, ma si inseriscono in una gamma più ampia di interrelazioni distribuite all’interno di un sistema tripartito, come, per esempio, quello rappresentato da vicinanza, distanza e interazione delle due.


Una lingua caratterizzata da un impulso costante e rigoroso, per quanto dominato dai sensi


Con una naturalezza che le viene dalla consapevolezza di quale risorsa sia la sperimentazione come mezzo diretto di espressione interiore e dalla deliberata tenacia a seguire un percorso di ricerca personale e non privo di rischi, Lygia Pape fluttua tra scultura e performance partecipativa, incisione e poesia, installazioni e disegni, balletto e cinema - con uno sconfinamento persino nella pubblicità - conferendo una visione esistenziale alla propria arte(2). Il suo costante cimentarsi con materiali e sistemi tra i più disparati crea un ambiente interdipendente che esiste come flusso ininterrotto e in cui quei materiali e quei sistemi sono come i lessici di una stessa lingua: una lingua caratterizzata da un impulso costante e rigoroso, per quanto dominato dai sensi, ad allineare pensiero, spazio corporeo e forma.


Relevo (1954-1956).

In tale circuitazione, l’opera di Lygia Pape si percepisce meglio nel suo stato di fluttuazione. A rivelarsi nella transizione da segno ad apparenza sono i pensieri di un’artista curiosa, impaziente, in grado di offrire un’unificazione tra contrasti irrisolti, mettendo in relazione linguaggio e forma, logica preordinata e logica sensibile, pensiero e corpo. L’apparente semplicità delle forme, l’economia dei mezzi e la nozione di opera collettiva senza autore danno sostanza a quell’assenza che la sua composizione veicola. Lygia Pape scuote lo spettatore che, turbato, partecipa a una disposizione ambivalente che va oltre i limiti imposti da qualsiasi categorizzazione. L’oscillazione verso il vuoto, intesa come vibrazione di senso, spiega la passione di Lygia Pape per lo haiku - passione che le deriva da un interesse per l’imagismo - e il fascino esercitato su di lei dall’Oriente. Genere letterario di estrema sinteticità, lo haiku si compone di tre versi e diciassette more, ripartite secondo lo schema sillabico 5/7/5, e ha per intento la descrizione della natura e degli eventi umani alla natura direttamente legati. Leggere le riflessioni di Barthes sullo haiku è come avere davanti l’esposizione di un’opera di Lygia Pape: «Lo haiku ha una proprietà un poco fantasmagorica: che ci s’immagina sempre di poterne comporre da sé con facilità.


Tecelar (1953).

Ci si dice: che cosa di più accessibile alla scrittura spontanea di questo haiku (di Buson)?: “È sera, autunno/Io penso soltanto/Ai miei pensieri”»(3). Lo haiku suscita il desiderio: quanti lettori occidentali non hanno mai sognato di passeggiare per la vita, taccuino alla mano, annotando qui e là delle impressioni, la cui brevità garantirebbe la perfezione, la cui semplicità attesterebbe la profondità (in virtù d’una doppia mitologia, l’una classica, che fa della concisione una prova d’arte, l’altra, romantica, che attribuisce un valore di verità all’improvvisazione)?

Pur essendo del tutto intelligibile, lo haiku non vuole dire nulla ed è per questa doppia condizione ch’esso sembra offerto alle interpretazioni in un modo particolarmente disponibile, servizievole, come un ospite cortese, che vi permette d’installarvi comodamente in casa sua, con le vostre manie, i vostri valori, i vostri simboli.

Questo desiderio di coniugare ciò che è opposto o distante, e la spinta a conferire pari valore ad assenza e presenza, pone in risalto l’idea che Lygia Pape ha dell’atto creativo e della sua funzione. Non riconoscendosi nel termine di artista(4), si affranca in tal modo da ogni possibile etichetta che ostacoli l’autodeterminazione nella ricerca di un nuovo linguaggio «che informi, non comunichi»(5). Al di là della lettura personale che lei ne dà, si tratta di un linguaggio ispirato dalle tendenze che avevano pervaso il contesto brasiliano degli anni Cinquanta e caratterizzato dall’impulso a un’elaborazione e a una costruzione moderne. La scena artistica brasiliana, così come accadeva anche altrove in Sud America - in Argentina e Venezuela, per esempio - aveva dato voce a una nuova consapevolezza dovuta a una «crisi dei mezzi espressivi e della rappresentazione» che favoriva l’innovazione formale e nuovi modi di intendere l’oggetto artistico, l’osservatore, e il loro rapporto reciproco(6).


Desenho (1985).

Dare sostanza all’assenza che la sua composizione veicola


Il lessico di Lygia Pape traeva origine dalla frequentazione e dal dibattito con i dogmi del costruttivismo russo e dell’astrazione geometrica europea che a Rio de Janeiro trovava la sua manifestazione nel Grupo Frente, formato dagli studenti del corso che Ivan Serpa teneva al Mam - Museu de arte moderna di Rio de Janeiro. Il gruppo non era interessato all’immagine in sé quanto al processo costruttivo elaborato sulla base di principi matematici. È in questo clima che Lygia Pape incontra Mário Pedrosa, influente critico e pensatore progressista, attorno al quale si raccolse una comunità di creativi. Lygia Pape e i suoi compagni artisti non erano interessati ai concetti di bellezza, verità e purezza insiti nella nozione di pittura astratta classica e nucleo del modernismo. Al contrario, in molti dei suoi lavori Pape mira a sovvertire la storia e l’estetica, pur agendo al loro interno.

La mostra vuole presentare l’elasticità e la flessibilità dell’arte di Lygia Pape, con una scelta di opere che coprono l’intero arco della sua vita, correlate a temi e quesiti posti dall’uso che lei fa delle forme geometriche, suggerendo una loro ripartizione ed enfatizzando il ricorrere sia di connessioni ambivalenti sia di diverse resistenze nella traslazione dal conscio (la griglia), allo spontaneo (la tela). La logica modulare della presentazione aiuta a far comprendere quanto il lavoro di Lygia Pape sia intessuto in uno schema atemporale e offre al visitatore un confronto esperienziale con la «transizione fenomenologica»(7) presente nella sua opera: dalle prime incisioni su legno, i Tecelares, da lei considerate non incisioni ma «un filo che intesse lo spazio»(8), allo spazio concreto, dalle superfici piatte al movimento, dal piano all’oggetto, dalla rappresentazione all’esaltazione dei sensi.


Livro do Tempo (Escultura mŽdia) (1965).

Questo articolo è un estratto del saggio scritto da Francesco Stocchi per il catalogo della mostra Lygia Pape (Milano, Fondazione Carriero, 28 marzo - 21 luglio 2019), a cura di Francesco Stocchi, Londra 2019.


(1) Lygia Pape sosteneva che il mero concetto di marginalità non aveva per lei alcuna rilevanza, trattandosi di un concetto borghese: cfr. G.Ferreira, Irreverence and Marginality, in Lygia Pape: A Multitude of Forms, catalogo della mostra (New York, Metropolitan Museum of Art, 21 marzo - 23 luglio 2017), a cura di Iria Candela, New York 2017, p. 46.

(2) «Sono regista, pittrice e scultrice, e questo mi dà la libertà di operare in qualsiasi campo. Non mi piace essere catalogata come l’una o l’altra, e non avere così l’opportunità di sperimentare. È qualcosa a cui tengo moltissimo. Insegno, e questo non fa di me solo una docente. Ad affascinarmi è l’idea di Eraclito e dell’eterno mutare delle cose, l’acqua che scorre nel fiume non è mai la stessa»: intervista a Lygia Pape in V. Homero, A criatividade em embulição, in “Tribuna da imprensa”, 21 giugno 1988, p. 6.

(3) R. Barthes, L’impero dei segni, Torino 1984, pp. 80-81.

(4) «Non mi piace essere chiamata artista. Faccio un lavoro che non ha un nome»: cfr. intervista a Lygia Pape in A. Celestino, A Critica de arte não serve para mim, in “Tribuna da imprensa”, 15 febbraio 1975, supplemento, p. 3.

(5) Ibidem.

(6) M. Amor, Theories of the Nonobject: Argentina, Brazil, Venezuela 1944- 1968, Oakland 2016, p. 1.

(7) L. Pape, Quarenta gravuras neoconcretas, in Lygia Pape. Espacio imantado, Madrid 2011, pp. 88-90.

(8) L. Pape, Depoimento, 1979, in Lygia Pape. Espacio imantado, cit., p. 91. Lygia Pape considerava i suoi Tecelares dei “quadri”.

Lygia Pape

Milano, Fondazione Carriero
a cura di Francesco Stocchi
fino al 21 luglio
orario 11-18, chiuso lunedì
catalogo König Books
www.fondazionecarriero.org

ART E DOSSIER N. 366
ART E DOSSIER N. 366
GIUGNO 2019
In questo numero: Le anime del Novecento: Kounellis: le radici; Lee Miller tra fashion e guerra. In mostra: Burri a Venezia, Haering a Liverpool, Lygia Pape a Milano. Rinascimenti in mostra: Verrocchio a Firenze, Il Mediterraneo a Matera. Il mito dell'odalisca: Orientalismi in mostra a Parigi.Direttore: Philippe Daverio