XX secolo. 1
Jannis Kounellis

TRA PRESENZA
E ASSENZA

Trovarsi di fronte alle opere di Kounellis - greco di nascita ma italiano d’adozione - significa entrare in uno spazio scenico dove gli allestimenti, spesso allusivi alla dialettica quotidianità/storia, spinta socioeconomica/tradizione culturale, rivelano, con discrezione, il sentimento di grecità mai abbandonato dall’artista.


Ettore Janulardo

Oltre il “muro d’oro”, iconostasi per una contemporaneità lacerata(1), nell’opera di Kounellis scorgiamo il filo di un dialogo con l’invisibile. Inserirsi nello spazio, occuparne frammenti con lastre di metallo o sacchi di iuta, con carbone o calchi della statuaria classica evidenzia la consapevolezza della rottura della dimensione apollinea. E, superati i limiti della bidimensionalità pittorica come finestra sul mondo, l’artista può interrogare la terza dimensione, nonché quella del tempo, disseminando la scena dell’arte di suggestioni dell’incontro tra visibile e invisibile, come nei contesti qui presentati.

Prima personale di un artista non cinese al Today Art Museum(2), il progetto espositivo del 2011 a Pechino si nutre di costanti kounellisiane e di elementi innovativi. Tra le prime, la teatralizzazione dell’opera che si presenta in grado di inglobare lo “spettatore” con procedimenti plurisensoriali: dalla suggestione musicale all’iconografia del quadro come grande schermo-sfondo; dalla ritualità dei movimenti alla ricomposizione concettuale, in tutto rispettando l’assunzione della galleria - e dello spazio museale - come “cavità drammatica”, luogo privilegiato di una pensosa lettura della dinamicità dell’esistenza, equivalente in campo artistico al teatro epico brechtiano per una serie di esperimenti e di suggestioni sulla dialettica tra quotidianità e storia.


«Non mi interessa un’arte tonale o narrativa. Non voglio rappresentare, voglio affermare»


L’esito del lungo soggiorno in Cina di Kounellis per realizzare la mostra del 2011 è drammaticamente evidente. Esposizione di una temporalità esplosa, letteralmente frantumata, la realizzazione mette in scena la dicotomia rigido/fragile in chiave di rottura e rilettura della storia.

Oltre a una serie di vestiti disposti su pannelli di ferro, a formare differenti scale cromatiche, e a un tavolo sul quale sono quattromilaseicento bicchierini di vetro, nella mostra sono presenti moduli in ferro autoportanti che ospitano riquadri con ceramiche ridotte in frantumi dalle Guardie rosse maoiste, vendute poi come reliquie sui mercati locali, quindi acquistate e “ricomposte” da Kounellis - nella logica dello spazio espositivo come possibile sutura di una vicenda in divenire - a indicare un passato che si trasforma tra le azioni e gli sguardi della contemporaneità, in un processo di assunzione-cognizione-comunicazione.

Se Kounellis individua nel contesto contemporaneo cinese fascino e criticità - «io, [...] vedendo questo paese bellissimo, pieno di tensione, vedo però al dunque un pericolo: quello di mettere in crisi la tradizione»(3) -, la formalizzazione che opera nella mostra di Pechino, lontana rivisitazione del “teatro povero” di Jerzy Grotowski, fa sì che l’artista apponga una grafia espressiva sulle ceramiche spezzate: «Ho preso queste cose e ci faccio una scrittura ermetica, sui frammenti che ho comprato. [...] questa scrittura è ammirativa, prima di tutto per la Cina, e poi drammatica, per la perdita di queste piccole ceramiche che vivono nel casalingo»(4).


Un’altra veduta della mostra di Atene del 2012.

Poiché il pittore è, secondo la definizione di Kounellis, un artista che ha una “visione”, il supporto-medium ha un’importanza relativa. La logica della disciplina ideogrammatica grotowskiana può avvicinarsi alla formalizzazione delle icone d’arte ortodossa, con una irradiazione verso il soggetto contemplante: ciò che è essenziale in essa è l’intenzionalità. E come possibili icone di una contemporaneità oltre il tempo, i segni di un’apparizione che si fa materia nella storia - coltelli e strutture, letti e tavoli - sono traslati nella visione di Kounellis: «Non mi interessa un’arte tonale o narrativa. Non voglio rappresentare, voglio affermare»(5).

Facendo seguito alle esperienze del 2011 a Pechino e a Mosca, la mostra del 2012 nell’ala neoclassica del Museum of Cycladic Art di Atene riprende il filo con un’esposizione site-specific che ha in più un delicato ritorno in terra greca, dopo anni, per una personale: il mondo delle origini, il Pireo come epitome di una partenza che contiene la memoria del ritorno, è assorbito e trasformato in messinscena problematica.


Il mondo delle origini è assorbito e trasformato in messinscena problematica


La matrice esistenziale è così vocata, anche attraverso l’esperienza di Pechino, al confronto con la recente crisi ellenica: il gesto emozionale-memoriale della ricerca di oggetti antichi e tradizionali in una società in espansione come quella cinese si segnala e si connota in Grecia in chiave di neopoverismo artistico e socioeconomico, dove vetri, sacchi, metalli appaiono tracce di una modernità ottocentesca deragliata, uscita da quei binari che Kounellis e de Chirico - altro “italo-greco” - hanno presentato e citato nelle loro opere(6).Ma la portata estetica della riflessione kounellisiana si fa universale e chiama a raccolta l’eredità bizantinoorientale e lo stesso contesto neoclassico, nella dialettica della storia.

Un’altra veduta della mostra di Atene del 2012.

Lontano da ogni forma di esteriore nostalgia, intriso del senso di un “ποιεῖν” (fare) continuamente rivendicato, Kounellis rivela solo a tratti e pudicamente la natura della sua grecità, inserendola in una visione socioeconomica in grado di riverberarsi sulla contemporaneità: «Non si è saputo del mio attaccamento al mondo greco perché è evidente che gli amori hanno il loro modo di vivere e di maturare naturalmente, nella segretezza. Per quel che riguarda il mondo culturale antico nel moderno, si sa che in Grecia il mondo finanziario ha imposto il suo codice ferreo e spregiudicato [...]. Naturalmente questa realtà contraddice le radici della cultura greca»(7).

Se lo «spazio ottenuto seguendo i contorni dell ’icona non imprigiona nulla, ma partecipa alla presenza e vi si santifica»(8), il viaggio tra presenza e assenza di Kounellis - nato al Pireo nel 1936 e scomparso a Roma il 16 febbraio 2017 - si illumina come “muro indistruttibile” della tradizione artistica orientale ove anche l’immobilità esteriore si anima di invisibili movimenti.

IN MOSTRA
A Venezia prosegue fino al 24 novembre la prima grande retrospettiva dedicata a Jannis Kounellis dopo la sua morte nel 2017. A cura di Germano Celant, l’esposizione nel palazzo di Ca’ Corner della Regina, sede veneziana della Fondazione Prada (Santa Croce 2215, telefono 041-8109161, orario 10-18, chiuso martedì www.fondazioneprada.org) raccoglie settanta lavori realizzati dall’artista dal 1958 al 2016, provenienti da musei italiani e internazionali quali Castello di Rivoli - Museo d’arte contemporanea (Rivoli-Torino), Centre Pompidou - Musée National d’Art Moderne (Parigi), Tate Modern (Londra), Walker Art Center (Minneapolis). Tra le prime creazioni di Kounellis visibili nel palazzo settecentesco troviamo quelle dedicate al linguaggio urbano con scritte, segnali e poi con lettere, frecce e numeri neri impressi su tela, carta o altro materiale. E ancora testimonianze dell’esplorazione di Kounellis nella dimensione sonora e olfattiva, nello scontro dialettico tra la fragilità dell’elemento naturale e la pesantezza e rigidità delle strutture industriali, nel recupero poetico del mito, nell’uso di elementi primari come il fuoco, simbolo di trasformazione e rigenerazione, dell’oro che l’artista ha sfruttato in diverse situazioni come nell’installazione Senza titolo (Tragedia civile) del 1975, dove la parete, ricoperta interamente da una foglia d’oro, contrasta con il nero degli indumenti appesi a un attaccapanni (allusione a una crisi personale dell’artista). Il percorso espositivo è accompagnato da un catalogo edito da Fondazione Prada.

Senza titolo (Tragedia civile) (1975), veduta della mostra Kounellis. The black rose, Lucio Amelio Modern Art Agency, Napoli 28 maggio 1975.

Ringraziamo il Museum of Cycladic Art di Atene per le foto (© M. Baboussis) pubblicate alle pp. 17-20.


(1) Cfr. E. Janulardo, Kounellis. L’immagine e l’ideologia, Roma 2015.

(2) Aperta tra il 19 novembre e il 13 dicembre 2011 e curata da Huang Du, la mostra si è svolta nell’ambito del progetto Translating China, concepito e realizzato da Giuseppe Marino della Galleria Marino di Roma.

(3) Dichiarazione rilasciata da Jannis Kounellis in Philippe Daverio intervista Jannis Kounellis nel programma Passepartout, trasmesso su Rai 3 dal 2001 al 2011 con repliche su Rai 5.

(4) Ibidem.

(5) Dichiarazione di Jannis Kounellis raccolta da M. Franco in L’odore delle mie opere, in “La Repubblica”, 14 aprile 2006.

(6) Cfr. E. Janulardo, op. cit.

(7) Dichiarazione di Jannis Kounellis, in Intervista di Wim Beeren, in La via del mare, catalogo della mostra (Amsterdam, Stedelijk Museum, 21 novembre 1990 - 13 gennaio 1991), poi in Jannis Kounellis. Odissea lagunare, catalogo della mostra (Palermo, Real Albergo delle povere, 27 marzo - 24 aprile 1993), Palermo 1993, pp. 141-142.

(8) P. Evdokïmov, La parola disegnata. L’arte divina dell’icona, Bologna 2015.

ART E DOSSIER N. 366
ART E DOSSIER N. 366
GIUGNO 2019
In questo numero: Le anime del Novecento: Kounellis: le radici; Lee Miller tra fashion e guerra. In mostra: Burri a Venezia, Haering a Liverpool, Lygia Pape a Milano. Rinascimenti in mostra: Verrocchio a Firenze, Il Mediterraneo a Matera. Il mito dell'odalisca: Orientalismi in mostra a Parigi.Direttore: Philippe Daverio