Dentro l'opera


DA UNO ALL’INFINITO:
DIPINGERE IL TEMPO
CON I NUMERI

di Cristina Baldacci

Un primo piano su opere meno note dal secondo Novecento a oggi, per scoprirne il significato e l’unicità nel continuum della storia dell’arte: Roman Opałka, OPALKA 1965 / 1-∞ Détail 1896176 - 1916613

Ci sono stati artisti, specialmente nel contesto dell’arte concettuale e della poesia verbo-visuale degli anni Sessanta e Settanta, che hanno fatto della scrittura la loro cifra stilistica. Roman Opałka (1931-2011) è stato uno di questi, insieme a colleghi a lui affini per indole e operosità, come Irma Blank, Hanne Darboven e On Kawara. Ognuno di loro ha sviluppato un particolare linguaggio - non sempre dal valore propriamente semantico - fatto di simboli, segni o numeri, con cui ha registrato il tempo della propria esistenza, gran parte del quale passato al lavoro. Dire il tempo è non a caso il titolo della mostra dedicata a Opałka(*), in corso nelle due sedi della Galleria Building a Milano (fino al 20 luglio) e della Fondazione Querini Stampalia a Venezia (fino al 24 novembre).

Per tutta la vita, con ben poche eccezioni, Opałka ha lavorato fondamentalmente a due sole serie tra loro complementari: i dipinti intitolati Détails (dal 1965) e gli autoritratti fotografici in bianco e nero di poco successivi (dal 1968). Si tratta in entrambi i casi di due misurazioni del tempo a cui l’artista franco-polacco è riuscito a dare forma scegliendo, da un lato, i numeri come alfabeto visivo originatore di una successione potenzialmente inesauribile - per questo nel titolo della serie è sempre presente anche il riferimento all’anno di inizio della serie e al numero uno seguito dal simbolo dell’infinito (1965 / 1-∞) -; dall’altro, il proprio volto scolpito, giorno dopo giorno, dai segni dell’invecchiamento. Opałka ha dunque eletto la ripetizione e la serialità a metodi di lavoro, così come a metafore del procedere uniforme della vita.

«Ogni dipinto che faccio è un dettaglio di questa unica tela, un frammento dell’intero, e porta con sé un frammento di un tutto», ha affermato l’artista riguardo al procedere lento ma inarrestabile di questo suo esercizio monacale, paragonabile per il rigore e la perseveranza con cui è stato portato avanti a una forma di autocontrollo, nonché di catarsi. È come se l’allinearsi dei numeri sulla tela (ogni nuova tela è la prosecuzione della precedente) gli fosse servito per tenere a bada lo scorrere del tempo e, insieme, tenere uniti i singoli frammenti di un tutto più grande, di cui ha cercato di avere, per quanto possibile, una visione complessiva. Anche se un simile traguardo rimane in fin dei conti soltanto illusorio. Ma questo non è un problema, perché nel lavoro di Opałka, come in molta arte concettuale, è più importante il processo del punto di arrivo.

Per quasi mezzo secolo, l’artista ha continuato a tracciare i numeri in progressione servendosi di un pennello dalla punta finissima e riempiendo ogni centimetro della superficie pittorica per poi ricominciare esattamente da dove aveva interrotto su una nuova tela. La regolarità di questo suo procedere è data anche dalla conformità delle tele, che hanno tutte la stessa dimensione, uguale alla porta del suo studio, e dall’uso di due soli colori: il bianco dei numeri e il grigio dello sfondo. Un minimalismo e un’astrazione dei mezzi pittorici che vengono accentuati nel tempo dal sempre minore contrasto tra sfondo e numeri che Opałka ottiene schiarendo sempre più, a partire dal compimento del primo milione di quadri nel 1972, il grigio, a tal punto da rendere la sua calligrafia quasi illeggibile. Con la scomparsa dell’artista si è chiusa una singola esistenza, ma lo scorrere del tempo continua, e l’ultima tela a cui Opałka stava lavorando non poteva che rimanere non finita.

(*) In mostra è presente anche un audio dell’artista, che scandiva il tempo dipingendo, uno dietro l’altro, in ordine crescente, i numeri sulla tela e, al contempo, si registrava su nastro mentre pronunciava i numeri nella sua lingua madre, il polacco.


Roman Opałka OPALKA 1965 / 1-∞ Détail 1896176 – 1916613 (1965), acrilico su tela, cm 196 x 135.

ART E DOSSIER N. 366
ART E DOSSIER N. 366
GIUGNO 2019
In questo numero: Le anime del Novecento: Kounellis: le radici; Lee Miller tra fashion e guerra. In mostra: Burri a Venezia, Haering a Liverpool, Lygia Pape a Milano. Rinascimenti in mostra: Verrocchio a Firenze, Il Mediterraneo a Matera. Il mito dell'odalisca: Orientalismi in mostra a Parigi.Direttore: Philippe Daverio