Grandi mostre. 5 
Van Orley a Bruxelles

IL SUD
VISTO DA NORD

A quattrocentocinquant’anni dalla morte di Bruegel, il Belgio - con la sua capitale e le Fiandre in particolare - organizza una serie di eventi dedicati non solo al maestro riconosciuto dell’arte fiamminga del Cinquecento, ma anche al contesto culturale e agli altri protagonisti del periodo. Al Bozar di Bruxelles una mostra rivela il talento, l’apertura mentale e la curiosità dell’eclettico Bernard van Orley. Abbiamo visitato la mostra con una delle due curatrici.

Claudia Pescio

l'arte delle Fiandre si apre al XVI secolo forte di una ormai robusta tradizione: quella del realismo minuzioso dei prosecutori della pittura di Van Eyck e Van der Weyden, da un lato, e la corrente più visionaria di Bosch e dei suoi imitatori dall’altro, mentre avanza un’importante tendenza paesaggistica impersonata soprattutto da Joachim Patinir, attivo ad Anversa. Il primo grande innovatore del Cinquecento fiammingo a Bruxelles è Bernard van Orley (1488 circa - 1541); l’artista si muove, inizialmente, nel solco della pittura di Van der Weyden e seguaci, con scene di soggetto religioso che raggruppano episodi diversi in una sola tavola, con grande attenzione ai panneggi e ai dettagli. Il suo talento viene subito notato, inizia a ritrarre i cittadini più in vista (anche un Carlo V sedicenne) e nel 1518 è chiamato a lavorare a corte da Margherita d’Austria, governatrice dei Paesi Bassi meridionali e mecenate di pittori e musicisti.

Due eventi sono alla base della rivoluzione del gusto che salderà l’arte bruxellese e quella di Van Orley alle vicende del Rinascimento europeo: anzitutto l’arrivo in città, nel 1517, dei cartoni di Raffaello per gli arazzi destinati alla Sistina (i tessitori fiamminghi erano tra i più apprezzati del tempo ed è a loro che viene affidata la realizzazione di quegli arazzi); poi, nel 1520, l’arrivo di Albrecht Dürer. È il modello italiano che si impone come ineludibile, anche nella rielaborazione del pittore tedesco. Le conseguenze per Bernard sono ovviamente di carattere stilistico - e la mostra evidenzia con chiarezza questo percorso di trasformazione -, ma le circostanze contribuiscono anche a indirizzare sempre più il suo lavoro verso la produzione di cartoni per arazzi, attività decisamente più remunerativa in quanto rivolta a un mercato d’élite.


La Sacra famiglia (1521?), Parigi, Musée du Louvre.

L’atelier di Van Orley diviene uno tra i più attivi in città, ed estende i suoi interessi anche alla produzione di vetrate. Uno degli scopi della mostra, e della scelta delle opere esposte, è anche quello di mettere in evidenza la qualità del lavoro di Bernard proprio distinguendolo da quello dei collaboratori.
La sua fama è tale che nel 1572 l’umanista Domenico Lampsonio include Van Orley tra i ventitre artisti fiamminghi più noti del suo tempo, e dunque meritevoli di una delle sue Effigies. Ma il suo nome compare negli scritti di molti altri studiosi e viaggiatori del tempo. Stupisce quindi che Van Orley sia oggi così poco familiare al grande pubblico. Le ragioni vanno cercate, spiega Véronique Bücken - co-curatrice della mostra bruxellese e conservatrice della sezione di pittura del XV e XVI secolo dei Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique -, nel singolare accostamento, nella sua produzione, di elementi italianizzanti - le architetture, il movimento, un certo tono aulico nella composizione e nella monumentalità delle figure - con caratteri espressionistici propri della scuola germanica. Il risultato è originale, indubbiamente, ma di difficile collocazione rispetto ai canoni correnti di Rinascimento. Inoltre, ha pesato il fatto di aver lavorato soprattutto per la produzione di arazzi (di per sé più raramente esposti, rispetto ai dipinti, anche a causa di problemi dimensionali e di conservazione) e di aver a un certo punto scelto di trascurare la pittura, scelta che ha finito per collocarne la figura in un ambito ritenuto, a torto, puramente decorativo e decentrato rispetto a quel che normalmente si ritiene essere il luogo per eccellenza dove accadono le cose che contano per gli sviluppi della storia dell’arte.
La prima grande retrospettiva dedicata all’artista presenta circa cento fra dipinti, disegni, arazzi e vetrate (alcune di queste ultime sono ancora in loco e visibili nella cattedrale della capitale belga); in pratica tutte le opere che potevano essere spostate senza rischi per la loro conservazione. Naturalmente i grandiosi cicli di arazzi sono rappresentati da pochi pezzi significativi. Ne abbiamo un esempio con il mese di Marzo (1531-1533) della serie delle Cacce di Carlo V, commissionata dall’imperatore nel 1530; la scena è ambientata nei boschi che circondavano Bruxelles, e la città si delinea chiaramente sullo sfondo; dominano un maestoso senso di calma, la quotidianità rilassata di chi condivide una dimestichezza col potere e le classi dominanti, l’eleganza degli abiti e delle posture, l’accuratezza dell’esecuzione, la varietà dei colori, resi più luminosi da un’incredibile quantità di fili d’oro e d’argento - come ci fa notare Véronique Bücken -, inserti che restituiscono anche “materialmente” lo status regale del loro committente.


Parte centrale del Trittico Haneton (inizi anni Venti del XVI secolo), Bruxelles, Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique.


copia da Bernard van Orley, Ritratto di Margherita d’Austria (dopo il 1518), Bruxelles, Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique.


Marzo (1531-1533), dalla serie di arazzi con le Cacce di Carlo V, Parigi, Musée du Louvre.

La prima grande retrospettiva dedicata all’artista presenta circa cento fra dipinti, disegni, arazzi e vetrate (alcune di queste ultime sono ancora in loco e visibili nella cattedrale della capitale belga); in pratica tutte le opere che potevano essere spostate senza rischi per la loro conservazione. Naturalmente i grandiosi cicli di arazzi sono rappresentati da pochi pezzi significativi. Ne abbiamo un esempio con il mese di Marzo (1531-1533) della serie delle Cacce di Carlo V, commissionata dall’imperatore nel 1530; la scena è ambientata nei boschi che circondavano Bruxelles, e la città si delinea chiaramente sullo sfondo; dominano un maestoso senso di calma, la quotidianità rilassata di chi condivide una dimestichezza col potere e le classi dominanti, l’eleganza degli abiti e delle posture, l’accuratezza dell’esecuzione, la varietà dei colori, resi più luminosi da un’incredibile quantità di fili d’oro e d’argento - come ci fa notare Véronique Bücken -, inserti che restituiscono anche “materialmente” lo status regale del loro committente.
Van Orley è un intellettuale, frequenta le classi colte della città - come testimoniano in mostra alcuni ritratti -, e non manca di manifestare la propria originalità nella scelta di iconografie rare, come nel Polittico di Giobbe e Lazzaro (1521), che accosta due soggetti davvero inconsueti e nel quale Van Orley inserisce, nelle scene visibili a polittico chiuso, un autoritratto e un nudo maschile di evidente ascendenza raffaellesca.E il rapporto con l’Italia emerge anche in alcuni confronti con lavori dello stesso Raffaello o di Mantegna. È un rapporto coltivato grazie alla grande circolazione europea di dipinti, disegni, stampe, artisti. In realtà non si ha nessuna documentazione di un viaggio di Van Orley nella penisola; viaggio che per altri artisti, invece, faceva ormai parte della costruzione di un bagaglio culturale.
Negli ultimi anni del governatorato di Margherita d’Austria Van Orley viene per qualche tempo messo in disparte, anche per presunte simpatie luterane, ma la qualità del suo lavoro fa sì che colei che succede a Margherita, Maria di Ungheria, lo reintegri nel ruolo. E a corte rimarrà per i suoi ultimi dieci anni di vita.

ART E DOSSIER N. 365
ART E DOSSIER N. 365
MAGGIO 2019
n questo numero: Biennale di venezia: Tutti gli appuntamenti. Intervista al curatore del Padiglione Italia. Arti unite d'Europa: Settecento, la Schengen delle note. Europa nostra: la difesa del patrimonio. In mostra Gorky a venezia, Sorolla a Londra, Le modèle noir a Parigi, Van Orley a Bruxelles, Leonardo a Firenze, Antonello da Messina a Milano.Direttore: Philippe Daverio