Contro l’eolico, almeno in simili contesti, parecchi sono scesi, come si suol dire, in campo. Italia Nostra ha proclamato la sua «ferma opposizione all’invasione sregolata», e citato alcuni casilimite sul monte Gazzaro in Toscana (un crinale tra i principali nell’Appennino, dove il rischio è stato scongiurato), a Matera, nel pieno dei Sassi, patrimonio dell’Unesco, e altrove. Vittorio Sgarbi ha tuonato alla Camera con il ministro Alberto Bonirisoli: «Il tema è stato totalmente sottovalutato da tutti i ministri, dall’inizio del millennio. Nel Meridione, il paesaggio è sfregiato, umiliato, aggredito; non si pone alcun freno per impedire che luoghi sublimi vengano cancellati per sempre dalla nostra memoria. La Sicilia ne è ostaggio in modo radicale; ma anche Puglia, Calabria, Campania, Molise sono sopraffatte dalla violenza della “green economy”». Restano celebri le sue battaglie quando era sindaco di Salemi (Trapani); e peraltro, tanti crinali siciliani sono ormai una distesa di queste pale: per captare il vento, si sa, gli impianti eolici sfruttano le alture, sovente, anche quelle paesisticamente più belle. La Regione Campania aveva cercato di porre un freno allo sfruttamento eolico, ma il suo provvedimento è stato subito impugnato.
Né va troppo meglio in Basilicata: un’installazione è annunciata a ridosso del faggeto di Moliterno, in provincia di Potenza, nel Parco nazionale dell’Appennino Lucano - Val d’Agri - Lagonegrese, che fa parte della Rete Natura 2000, istituita dall’Unione europea nel quadro della conservazione della biodiversità. Ma un luogo emblematico si chiama San Chirico Nuovo, ed è un Comune di milletrecento abitanti, sempre in provincia di Potenza. Qui, c’è chi, da un paio d’anni, denuncia la manomissione di un sito archeologico, sempre nel nome del vento. Michele Finizio, il giornalista che per primo se ne è occupato, racconta: «In un sito a circa un chilometro dall’abitato, campagne di scavo nel 1858 e nel 1986, e anche dopo, hanno offerto interessanti ritrovamenti».
Sono stati riportati alla luce «vasi di terracotta, un’armatura tipica dei soldati lucani, monete romane e greche, pietre con iscrizioni sepolcrali. Gli ultimi ritrovamenti emersi dalle campagne più recenti sono stati la scoperta di due sacelli dedicati alle dee della caccia, della natura e dell’amore, cioè Artemis, Demetra e Afrodite» Hanno permesso di appurare che, sei secoli avanti Cristo, abitavano l’area della località Serra genti di cultura daunia nord-lucana (forse, continua Finizio, «i Peukentiantes di cui parla Ecateo, un geografo greco di quel periodo»). Nell’area ora destinata al cantiere, c’era pure la base di un tempietto, «forse del V secolo a.C.»: rimossa, è stata spostata nella periferia dell’abitato, accanto al Monumento ai caduti. E, quasi a ridosso dell’impianto, c’è anche una sorgente millenaria d’acqua: l’Antica fonte, che, nel X secolo, era chiamata la Fontana del barone.
Tutto questo, però, non significa evidentemente nulla; perché lì sta nascendo un impianto da 10 megawatt, «che è parte di uno di potenza doppia, approvato nel 2013». Alla conferenza di servizi, la Soprintendenza «non era presente; e dopo, ha chiesto delle precisazioni»; mentre, in seguito alle prime denunce, il Comune di San Chirico Nuovo ha cercato invano, il 10 aprile 2018, di bloccare i lavori: ha revocato i propri permessi «per le inesattezze nella relazione» che accompagna il progetto, e chiesto alla Regione e alla Soprintendenza «provvedimenti per tutelare lo stato dei luoghi e salvaguardare sia le acque superficiali, non indicate nella relazione di progetto, sia l’aspetto archeologico, per l’importanza storica dei ritrovamenti». Ma anche questo non è servito: «Io stesso ho fotografato le scavatrici in azione, stando attento perché ho ricevuto perfino delle minacce; la base di una delle pale è stata collocata proprio sopra una tra le sepolture antiche, che, evidentemente, ha del tutto cancellato: è infatti finita sotto la colata di cemento necessaria alle fondazioni del macchinario», prosegue Finizio. È anche “misteriosamente” andata a fuoco l’automobile di un medico, tra i primi a protestare.
La stessa Soprintendenza certifica la rilevanza del luogo: «L’area del santuario in località Pila è stata indagata negli anni Novanta; i materiali sono esposti nel Museo archeologico nazionale “Dinu Adamesteanu”, a Potenza, e nella sede di Tricarico». Ma, rilevata ogni cosa, tutto è stato ricoperto di terra, e l’area «sottoposta a vincolo archeologico». Su quella, vicinissima e direttamente occupata dallo scavo per le pale eoliche, si afferma che «non sono ancora intervenute le misure di tutela diretta o indiretta, perché proceduralmente bisogna concludere tutte le operazioni di scavo per avviare un procedimento amministrativo, come quello del vincolo archeologico »; del resto, ai lavori assiste anche un archeologo, incaricato dello scavo stratigrafico. «Ma io ho fotografato lo scempio», continua chi l’ha denunciato per primo: «Dove c’era una sepoltura, è stata installata la base di una pala; e sull’intero sito archeologico ho anche documentato il viavai di mezzi pesanti e alcuni degli scempi compiuti». Per la Soprintendenza bisogna «attendere la fine degli scavi» prima di poter assumere una decisione sul vincolo dell’area: ma non sarà, per caso, un pochino troppo tardi?