Chiara Fumai, insieme a Enrico David e a Liliana Moro, è tra gli artisti che rappresenteranno quest’anno il Padiglione. Mi piacerebbe che mi parlassi di questa straordinaria artista tragicamente scomparsa nel 2017, e di alcuni ricordi legati alla tua esperienza di lei.
Ho conosciuto Chiara a Milano presso il DOCVA dove ero curatore. Credo fosse il 2009, si era presentata per mostrarmi il suo portfolio. Per lei era molto importante il concetto di “sorellanza”, la sua era una versione aggiornata delle teorie del femminismo degli anni Settanta, sebbene più inclusiva. Chiamava sorelle anche tutti i personaggi, uomo e donna, che aveva recuperato dall’oblio della storia e a cui intendeva ridare vita e voce attraverso le sue performance. Era solita associare idee, teorie, scritti di vari pensatori, intellettuali o personaggi di epoche e contesti diversi. Era una vera presenza shakespeariana e amava i contrasti che faceva coesistere in tutto quello che metteva in scena con una viscerale e struggente continuità tra realtà e rappresentazione, verità e finzione. Stella dell’Est e terrorista, signora degli elementi e del manifesto S.C.U.M. (Society for Cutting Up Men), alta sacerdotessa e riconciliatrice fra mondi e piani dell’esistenza. Chiara è stata coinvolta in molte delle mie principali iniziative come per la performance inaugurale al MAXXI nel 2011 quando l’archivio di Viafarini si era spostato per una stagione da Milano a Roma, o l’estate di quello stesso anno, per la prima edizione di Volcano Extravaganza, il programma artistico da me curato e organizzato dal Fiorucci Art Trust sull’isola di Stromboli, dove mise in scena una sovrapposizione tra Harry Houdini e Rosa Luxemburg. L’anno seguente, sempre grazie al supporto del Trust, partecipò a doCUMENTA (13) che fu una tappa fondamentale della sua carriera. Mentre nel 2014 la invitammo a Londra per la serie Lezioni di italiano, e successivamente alla seconda edizione del simposio Mychorial Theater, nelle foreste del Sud della Polonia dove eseguì una messa del caos. Ricordo candele, petali, e anche un pugnale che nella stregoneria moderna è un importante strumento per dirigere e canalizzare le energie. Come amico e come curatore, le sono stato vicino durante tutta la sua carriera anche se, proprio a Venezia nel Padiglione Italia, avrò ora l’occasione, per la prima volta, di curare una più articolata rappresentazione del suo lavoro.
Di recente mi sono imbattuto in una immagine di de Pisis che mi ha ricordato quanto la figura dell’ermafrodito abbia influenzato l’immaginario metafisico di de Chirico, Carrà e Savinio, e di quanto ancora l’arte incanali questa naturale dimensione di “fluidità”, creativa, anarchica e sovversiva. In effetti di figure androgine nel nostro percorso espositivo ce ne saranno molte, a iniziare dall’Appeso, la dodicesima carta dei tarocchi che in questi mesi ho spesso usato come metafora del Padiglione Italia. Con i capelli biondi che gravitano verso il basso, le mani dietro la schiena e una gamba piegata, il penduto è scomodamente in bilico e medita rassegnato sull’accaduto. In quella posizione riesce finalmente a vedere le cose come realmente sono e non come vorrebbero apparire e questo sembra rasserenarlo. È una stasi in continuo movimento. L’Appeso è un veggente. E in mostra noi avremo Capovolto, un lampione di Liliana Moro letteralmente ribaltato, messo a testa in giù. Una luce spirituale, un’aura che illumina il vuoto (o una porzione di pavimento, come preferisci!). Le figure della Moro hanno una presenza essenzialmente politica molto forte, indipendentemente dal loro “genere” e proprio come Emily Dickinson, Filippo de Pisis e molti altri artisti, Liliana ha un rapporto molto profondo col proprio studio. Ambivalenti, polimorfe, asessuate e armate di strumenti a noi inaccessibili sono anche le figure di Enrico David, tutte sorelle della stessa madre sterile. Si offrono sbottonate, talvolta contorte, anche supine. Claudicanti. Guardano di sbieco.
Sono reiette, neglette, addormentate. Semi sveglie. Si offrono in posture incerte, talvolta anche indecenti, non hanno neppure vergogna a mostrare in primo piano il proprio sfintere. Si accovacciano come se simulassero d’essere altro da se stesse e portate all’estremo vincono contro tutto, proprio perché decidono di mostrarsi ridotte ai minimi termini.