Grandi mostre. 3
L’arte italiana dal secondo Ottocento a inizio Novecento a Forlì

GLI STRUMENTIDEL CONSENSO

A seguito dell’Unità d’Italia, l’arte ha giocato un ruolo essenziale nel costruire il senso comune d’identità nazionale.
Pur nella varietà di linguaggi, generi, temi, e nel confronto, come ci racconta qui il cocuratore dell’esposizione, tra pittura e scultura.

Fernando Mazzocca

La dichiarazione che tutti ricordano, attribuita a uno dei protagonisti del nostro Risorgimento, Massimo d’Azeglio, secondo la quale «Fatta l’Italia, bisogna fare gli Italiani», rimane un’appassionante chiave di riflessione sulla nostra storia e su come sia stata costruita negli anni che hanno seguito l’Unità d’Italia, l’identità nazionale. Su come gli italiani, prima divisi in tante realtà politiche, sociali e culturali locali, abbiano vissuto l’aspirazione a diventare un solo popolo che si potesse riconoscere in una patria e in una storia comuni. 

Ricostruire con un confronto straordinario, mai tentato prima, tra pittura e scultura le vicende dell’arte italiana nel mezzo secolo che ha preceduto la rivoluzione del futurismo e lo scoppio della prima guerra mondiale consente di capire come l’arte sia stata non solo un formidabile strumento - celebrativo e di propaganda - per creare il consenso, ma anche il mezzo più popolare, “democratico” per far conoscere agli italiani i percorsi esaltanti e contraddittori di una storia antica e recente caratterizzata da esal tanti slanci comuni, ma anche da tante divisioni; per fargli riscoprire le meraviglie naturalistiche del “bel paese” e quelle artistiche delle città che le esigenze della modernità stavano trasformando irrimediabilmente, com’è avvenuto nel caso di Firenze e di Roma quando vennero innalzate al rango di capitali; per presentargli la varietà e il fascino degli usi e costumi delle diverse identità locali; per trasmettere l’eccellenza di tecniche artistiche - dalla scultura all’orificeria, a uno strepitoso artigianato -, che venivano ancora richieste in tutto il mondo, come era avvenuto nel Rinascimento. 

Attraverso una selezione di opere eccellenti, soprattutto quelle presentate, premiate, ma anche oggetto di scandalo, alle grandi Esposizioni nazionali da quella di Firenze nel 1861 a quelle che tra Roma, Torino e Firenze hanno celebrato nel 1911 il cinquantenario dell’Unità, le dieci sezioni della mostra intendono ricostruire, sempre in un incalzante dialogo tra pittura e scultura che si confrontano sui temi emergenti, i percorsi dei diversi generi, da quello storico, alla rappresentazione della vita moderna, all’arte di denuncia sociale allora particolarmente incisiva, al ritratto, al paesaggio.


Francesco Hayez, Ritratto di Camillo Benso conte di Cavour (1864), Milano, Pinacoteca di Brera.

Temi di impatto popolare
e dal significato universale


Un immersivo viaggio nel tempo e nello spazio ci trasporta dagli incanti della Magna Grecia e dall’antica Roma sino alla conquista della Libia, avvenuta sulle note di Tripoli bel suol d’amore, brano scritto da Giovanni Corvetto e musicato da Colombino Arona proprio nel 1911. 

Ci vengono incontro temi di impatto popolare e dal significato universale. La varietà dei linguaggi con cui sono stati rappresentati consentono di ripercorrere le sperimentazioni stilistiche che hanno caratterizzato il corso dell’arte italiana nella seconda metà dell’Ottocento e alle soglie del nuovo secolo, in una coinvolgente dialettica tra la tradizione e la modernità. Si passa dall’ultima fase del romanticismo e del purismo al realismo, dall’eclettismo storicista al simbolismo, dal Neorinascimento al divisionismo, presentando i capolavori, molti ancora da riscoprire, dei protagonisti di quei tormentati decenni, come Hayez, Domenico e Gerolamo Induno, Pompeo Molmenti, Faruffini, Cesare Maccari, Giovanni Muzzioli, Costa, Fattori, Signorini, Ciseri, Lojacono, De Nittis, Boldini, Zandomeneghi, Corcos, Patini, Mancini, Previati, Morbelli, Tito, Michetti, Pellizza da Volpedo, Segantini, Balla, Boccioni e scultori come Vela, Bazzaro, Cecioni, Butti, D’Orsi, Bergonzoli, Monteverde, Gemito, Trubezkoy, Bistolfi, Canonica. Ma sarà anche la straordinaria occasione per far conoscere tanti altri artisti sorprendenti, oggi ingiustamente trascurati o dimenticati. 

La mostra intende ripercorrere per la prima volta la storia, davvero appassionante, delle grandi Esposizioni nazionali che hanno veramente cambiato la storia d’Italia, costituendo una straordinaria occasione di confronto e aggregazione del pubblico. Bisogna infatti considerare che si è trattato di eventi davvero epocali per il numero degli espositori, che oscillarono tra i cinque e i diecimila per ogni edizione, e l’afflusso che ha sempre sfiorato o oltrepassato a ogni occasione un milione di visitatori, sino alla cifra record dei sette milioni della leggendaria esposizione di Torino del 1911. 

Allestite, dopo l’esordio avvenuto a Firenze nel 1861, a Parma, Milano, Torino, Roma, Napoli, Bologna, Venezia e Palermo hanno riguardato non solo le arti, ma anche le manifatture, tra cui i prodotti delle industrie emergenti, costituendo quindi un’eccezionale testimonianza dello sviluppo del paese proiettato verso l’Europa e la modernità. In molti casi hanno addirittura, per la vastità delle aree interessate - pensiamo al caso di Palermo nel 1891 -, mutato il volto delle città, spingendole verso la modernizzazione. Documentare questi interventi urbanistici e i padiglioni, effimeri o stabili, realizzati rappresenta una maniera inedita, e particolarmente significativa, per capire quali stili e quali soluzioni architettoniche siano stati proposti come modello all’Italia unita.


Vittorio Matteo Corcos, In lettura sul mare (1910).


Giuseppe De Nittis, Il foro di Pompei (1875).


Pietro Canonica Donna Franca Florio (1904-1907), Roma, Sovrintendenza capitolina ai Beni culturali - Museo Pietro Canonica a Villa Borghese.

Tra i misteri dell’antica Roma, le passioni civili, le lotte fratricide del Medioevo e gli eroici slanci del Risorgimento


Tra gli eventi del cinquantenario dell’Unità d’Italia, celebrato nel 1911, ha avuto uno straordinario rilievo una rassegna davvero epocale, la Mostra del ritratto italiano dalla fine del secolo XVI all’ anno 1861. Realizzata grazie a una grande idea e all’energia di Ugo Ojetti a Palazzo vecchio a Firenze, è stata la epica narrazione, attraverso la testimonianza di un genere meno vincolato alle regole quale il ritratto, di come si sia delineata nei secoli, che hanno preceduto l’unità nazionale, l’immagine degli italiani. Una sala è stata dedicata alla sua rievocazione attraverso alcuni dei capolavori antichi e moderni allora esposti. 

La cospicua presenza di grandi formati per quanto riguarda soprattutto i dipinti storici e i temi di denuncia sociale (ma pensiamo anche a un paesaggio monumentale come Alla stanga di Segantini acquistato dalla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma all’Esposizione nazionale di Bologna del 1888) è qualcosa di eccezionale e insolito, anche per la stessa difficoltà della loro movimentazione, ma risulta particolarmente coinvolgente rendendo questa mostra un’esperienza assolutamente unica. La fedeltà della rievocazione e la forza espressiva che caratterizza questi quadri riesce senza sforzo a trasportarci nell’atmosfera dei tempi passati, tra i misteri dell’antica Roma, le passioni civili ma anche le lotte fratricide del Medioevo e gli eroici slanci del Risorgimento, celebrato come quella grande guerra di popolo da cui era nata la nuova nazione.


Giulio Monteverde, Edoardo Jenner prova sul figlio l’inoculazione del vaccino del vaiolo (1878), Genova, Galleria d’arte moderna.

Michele Cammarano, Breccia di Porta Pia (1871), Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte.


Giovanni Segantini, Alla stanga (1886), Roma, Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea.

Ottocento. L’arte dell’Italia tra Hayez e Segantini

Forlì, Musei San Domenico
a cura di Fernando Mazzocca e Francesco Leone
fino al 16 giugno
9.30-19, sabato, domenica e giorni festivi 9.30-20, lunedì chiuso
aperture straordinarie lunedì 22 e 29 aprile
catalogo Silvana Editoriale
www.mostraottocento.eu

ART E DOSSIER N. 364
ART E DOSSIER N. 364
APRILE 2019
In questo numero: L'anno di Rembrandt : le celebrazioni di Amsterdam e dell' Aja. Segni impalpabili : la raffigurazione del gesto casuale. L'ombra e la pittura. In mostra : Morath a treviso, Van Gogh a Londra, Ottocento a Forlì, il nudo a Basilea.Direttore: Philippe Daverio