Arte e letteratura
L’ombra tra arte e mito

L’UOMOE IL SUO DOPPIO

A un’entità inafferrabile, l’ombra, è stata attribuita fin dall’antichità la nascita stessa della pittura.
Entità oscura e ambigua, si è prestata – in ambito artistico e letterario – a rappresentare gli aspetti più riposti della personalità umana, fino a divenirne una sorta di proiezione inconscia.

Rossana Mugellesi e Stefania Landucci

Ombra: dal latino “umbra”, appartiene a pieno titolo al vocabolario virgiliano se il poeta la utilizza (centosette volte) non solo in senso proprio - come ombra delle piante, dei monti, delle rocce, della notte, del tramonto, delle armi, come caratteristica del “locus amoenus” come del “locus horridus”, come spirito dei morti o fantasma che appare in sogno - ma, grazie alla polisemia e all’indeterminatezza dei suoi diversi significati, la pone anche al centro di espressioni suggestive e talora ambigue. In questo senso l’oscurità virgiliana di “umbra” (al contrario di “imago, simulacrum, figura”), meno legata alle sembianze fisiche, è invece più psicologica, più mentale, più interna, «è il buio necessario che ci portiamo dietro, che tutte le forme si portano dietro. 

Il linguaggio dell’ombra rifugge dalle definizioni e dai pregiudizi»(1), eppure «dell’ombra si sono dette cose terribili; che è il male, che non è il mondo; che contiene il peggio di noi, a cominciare dalla vanità; che mente e confonde [... ] che si è ridotta a termine contrario della luce, del bene, della certezza, dell’autenticità»(2)

Muovendo dal contesto classico, il termine ombra presenta diverse funzioni, e in ambiti che spaziano dall’arte alla letteratura alla filosofia; per cui appare un elemento complesso e talora di difficile interpretazione(3). L’ombra si può incontrare nella favola in cui un personaggio duella con essa per riappropriarsene(4), oppure nel mito che collega l’ombra alla nascita della pittura, mito che resterà presente fino ai tempi moderni. Nella sezione della Naturalis Historia dedicata all’arte, Plinio il Vecchio sostiene appunto che la nascita della pittura(5) è avvenuta circoscrivendo con una linea l’ombra(6) di un essere umano per lasciare, con il suo contorno, un’immagine della sua presenza: «Butades, vasaio di Sicione, inventò per primo come fare ritratti in argilla, per opera della figlia, la quale presa d’amore per un giovane, e dovendo questi partire, alla luce di una lanterna fissò con delle linee il contorno dell’ombra del viso di lui sulla parete, e su queste linee il padre di lei avendo impresso dell’argilla fece un mo dello che lasciò seccare insieme con altri oggetti di terracotta e poi cosse al forno»(7).


Edvard Munch, Pubertà (1894-1895), Oslo, Nasjonalmuseet.

(1) Essere l’ombra di se stessi. Nominare un governo ombra. Non avere l’ombra di un quattrino. Inutile correre dietro alle ombre. Senza ombra di dubbio. Tramare nell’ombra. Persone che vengono relegate oppure fatte uscire dall’ombra. Dissolvere le ombre. Vivere all’ombra di qualcuno. Essere l’ombra di qualcuno. Fare ombra a qualcuno...
(2) N. Gardini, in La lettura, “Corriere della Sera”, 3 settembre 2017, p. 13.
(3) V. I. Stoichita, Breve storia dell’ombra. Dalle origini della pittura alla Pop Art, Milano 2015; W. C. Sharpe, Grasping Shadows. The Dark Side of Literature, Painting, Photography, and Film, Oxford 2017. (4) C. Calcagnini, L’ombra o sul cammino della virtù (1544), introduzione e traduzione di N. Gardini, Lucca 2017, p. 37.
(5) J. J. Rousseau, Essai sur l’origine des langues, Ginevra 1781, cap.1. Rousseau interpreta il mito di Plinio come una favola in cui la pittura è la lingua originaria con cui l’amore può esprimersi.
(6) Gli egizi immaginavano l’anima (Ka), nella sua forma più antica, come un’ombra.
(7) Plinio il Vecchio, Naturalis historia, XXXV, 151.

Nel corso dei secoli, a delineare la fenomenologia dell’ombra, accanto al mito pliniano molto contribuì il pensiero filosofico di Platone concentrato sul mito della caverna (Repubblica 514 sgg.) in cui i prigionieri ivi rinchiusi possono vedere solo ombre e sono quindi esclusi dalla “conoscenza”: rispetto alla verità l’ombra rappresenta infatti lo stadio più lontano rispetto alla luce del sole e, forse, proprio a partire da questo momento sarà gravata da una negatività che ritroveremo nella storia della sua rappresentazione occidentale. 

Sul piano letterario troviamo una diversa genesi della pittura nell’elaborazione poetica del mito di Narciso nelle Metamorfosi di Ovidio, laddove il giovane si innamora della propria immagine riflessa in uno specchio d’acqua, per cui Narciso stesso sarebbe stato l’inventore della pittura: «Anche lo specchio, come l’ombra, riguarda l’apparenza, la forma della percezione; e, come l’ombra, sta per un’immagine superiore, piena e tangibile. L’ombra e lo specchio (il riflesso dello specchio) sono realtà diminuite, evasive, provvisorie; alludono ad altro, quando pure ci riescono. Un movimento, infatti, un mutamento della luce basta a renderli nulli in un attimo. Come si fa ad assolutizzare un’ombra o un riflesso?»(8)

La funzione espressiva dell’ombra scompare nell’arte medievale, dove la rappresentazione predilige figure prive di corporeità. Occorre arrivare al Quattrocento, a Masaccio e alla sua Cacciata dall’Eden, per assistere a un passaggio quasi rivoluzionario: Adamo ed Eva hanno perso la loro dimensione divina, sono solo un uomo e una donna, disperati, avviati verso un paesaggio deserto, ostile. E i loro piedi toccano saldamente per terra, fanno ombra, l’“ombra della carne”. Questo dettaglio apre un mondo, quello della realtà: si guardi al contemporaneo Masolino, i cui Adamo ed Eva sono corpi quasi evanescenti, sembrano non avere massa. Perché questo è il messaggio della presenza dell’ombra: la concretezza del reale. L’ombra acquisisce così un ruolo determinante ai fini dell’interpretazione di un’immagine rappresentata e, quale attributo fondamentale del corpo, verrà studiata in seguito nel Rinascimento che ne elaborerà una vera e propria scienza, a partire dagli studi di Alberti e Vasari. Con Masaccio, Leonardo da Vinci e Albrecht Dürer l’ombra appare comunque elemento indispensabile nella resa spaziale e prova certa della realtà di ogni corpo esposto a una fonte di luce, anche se il rapporto con essa risulta talora ambiguo: lo si può constatare in modo più evidente nella pittura manierista e barocca, laddove le ombre di cose e persone spesso si confondono con l’oscurità di stanze mal illuminate.

«L’essere è qualcosa che accade, che si muove, che si trasforma di continuo. L’ombra, nostra fine e nostro inizio, gli appartiene»(9): questo il significato profondo dell’ombra, la sua incertezza in opposizione alla certezza della luce, la sua ambiguità, la sua imprendibilità. 

Nei suoi studi di fisiognomica (Essays on Physiognomy, Londra 1792) Johann Caspar Lavater descrive un nuovo strumento per l’incisione della silhouette di una figura, ricordo dello scenario pliniano, e fa notare come il profilo circoscritto dell’ombra sia una vera e propria immagine “minimale” dell’uomo; e ancora, a suo parere, non è il volto umano a essere il riflesso dell’anima bensì l’ombra di questo volto. Se l’espressione riflette i moti momentanei dell’anima, i lineamenti rimandano alla sua struttura profonda, e quello che la persona può nascondere, l’ombra lo svela(10).


Joseph-Benoit Suvee, LÕinvenzione del disegno (1791), Bruges, Groeningemuseum.

(8) C. Calcagnini, op. cit., p. 6.
(9) N. Gardini, op. cit., p. 13.
(10) Il grande valore dell’ombra, il suo essere sostituto dell’anima nonché sede dell’identità dell’individuo si legge in A. von Chamisso, Peter Schlemihl: «Durante il breve istante che ho avuto la felicità di passare accanto a voi, ho davvero osservato diverse volte – permettetemi di dirvelo, signore – con un’ammirazione indicibile la così bella, così bella ombra che voi proiettate al sole, con una specie di nobile sdegno, senza prestarvi attenzione, sì quell’ombra magnifica ai vostri piedi. Vogliate perdonarmi una proposta indubbiamente temeraria. Vi ripugnerebbe poi molto cedermi quest’ombra?».

Masaccio, Cacciata dall’Eden (1424-1426 circa), Firenze, Santa Maria del Carmine, cappella Brancacci.


Johann Kaspar Lavater, Studio fisiognomico di personaggi noti dell’epoca, in Essays on Physiognomy, Londra 1792.

Alla fine del secolo XVIII in altra dimensione si muove l’interesse per il “colore” dell’ombra, basato sulla varietà degli effetti della luce all’aperto, tema ripreso più tardi con particolare attenzione dalla pittura impressionista. Ma se nel secolo successivo, anche per influenza dell’arte giapponese, il ruolo significativo dell’ombra si riduce a tutto vantaggio della composizione decorativa, e la pittura fauve e cubista non sembrano restituirle importanza, è il surrealismo che ci riconduce al “sentimento inafferrabile” dell’ombra, funzionale ad accentuare la dimensione del mistero e del non detto: ricordiamo le ombre vaganti di Magritte o le immagini visionarie di De Chiricoe le sue piazze cittadine deserte, dove «le ombre nette proiettate da statue e figure solitarie accrescono il senso di inquietudine»(11)

Lo studio della sua complessità anche simbolica, oltre che nella sfera artistica, compare a pieno titolo Ombra e luce, il fascino profondo dei contrasti, la complessità espressiva dell’una, la più evidente serenità dell’altra nell’ambito degli studi psicoanalitici: Gustav Jung ha elaborato l’archetipo dell’Ombra, ovvero tutti quegli aspetti della personalità relativi a colpe, vergogne, auto-svalutazione, infantilismi: è il nostro Alter Ego, il Nemico, l’Antagonista, quello che nei miti e nelle fiabe interpreta il ruolo del cattivo e che spesso viene rappresentato sotto forma di mostro, drago o demone. 

Il mistero dell’inconscio collegato all’ombra diviene centrale in un quadro di Edvard Munch, Pubertà. Il centro del dipinto è occupato da una ragazza, nuda e seduta sul letto, ritratta come se si fosse appena svegliata o nell’atto di alzarsi. Ha le mani conserte a nascondere il pube, il volto incorniciato da capelli disordinati, lo sguardo di allarmato stupore. Domina un senso di paura e di dolore e gli occhi sbarrati non sono quelli di un’adolescente piena di speranza ma rimandano a un oscuro presentimento del futuro, tristi e insieme diretti verso lo spettatore, nessun compiacimento sensuale, piuttosto un intenso sentimento di angoscia. Il nudo, forse simbolo di una condizione indifesa nei confronti della vita, proietta sul letto e sul muro la sua ombra ingigantita a dismisura: quell’ombra lunga, inquietante e quasi liquida non deve intendersi in modo naturalistico, ma come una sorta di proiezione indistinta e minacciosa della donna stessa, di un doppio della stessa persona, di una torbida e misteriosa identità: l’inconscio.


Ombra e luce, il fascino profondo dei contrasti, la complessità espressiva dell’una, la più evidente serenità dell’altra


Vilhelm Hammershøi, Interno con piano e donna in nero (1903-1904). Copenaghen, Randerskunstmuseum.

(11) E. H. Gombrich, Ombre. La rappresentazione dell’ombra portata nell’arte occidentale, Torino 1996, p. 24.

Quasi coetaneo di Munch, pittore tra i più enigmatici e affascinanti, Vilhelm Hammershøi si presenta come il solitario precursore dell’intimismo borghese di Hopper(12) e partecipe di quella sorta di “horror pleni” presente in Vermeer. Hammershøi è l’“inventore” della donna vista di spalle, a metà tra vestale e fantasma (la moglie-modella Ida Ilsted); e, in silenziosi intimi interni, attraverso chiarori alternati a zone oscure, il creatore di quell’“ombra luminosa” che contribuisce a rendere ancora più suggestiva la sua arte. Le tonalità sono sempre le stesse, con zone di luce alternate a pozze d’ombra, pochissimi oggetti, un’immobilità indecifrabile che gli valse la definizione di «poeta del silenzio»(13). Le scene domestiche, come gli interni e le figure nelle stanze, diventano indizi di investigazione nello spazio pittorico, e l’intimità della pittura si confonde con l’introspezione fino a suggerire un “sensuous appeal”(14)

Anche L’ombra di Pablo Picasso è costruita con pochi colori: il cielo azzurro che si intravede da una finestra, la luce che irrompe in un ambiente oscuro, la modella nuda e bianca, l’ombra nera di una sagoma maschile, verosimilmente vista di spalle, come ritagliata, che invade lo spazio. L’ombra rappresenta un autoritratto al negativo, una sorta di riflesso mentale: Picasso guarda se stesso, la sua vita, la sua opera e, quasi rivitalizzando il mito pliniano sull’origine della pittura, sembra tracciare sul muro il profilo di una figura amata, forse lontana. 

Ombra e luce, il fascino profondo dei contrasti, la complessità espressiva dell’una, la più evidente serenità dell’altra: una compresenza talora esaltata dall’arte della fotografia come nella suggestiva foto di Inge Morath Arthur Miller nel suo studio con la figlia Rebecca.


Inge Morath, Arthur Miller nel suo studio con la figlia Rebecca (1962).


Pablo Picasso, L’ombra (1953), Parigi, Musée National Picasso - Paris.

(12) Cfr., di chi scrive, Le vite degli altri, in “Art e Dossier”, n. 334, luglio-agosto 2016, pp. 32-37.
(13) Vilhelm Hammershøi The Poetry of Silence, catalogo della mostra (Londra, Royal Academy of Arts, 28 giugno - 7 settmbre 2008), Londra 2008.
(14) K. Monrad, Hammershøi and Europe, Copenaghen 2014, p. 201.

ART E DOSSIER N. 364
ART E DOSSIER N. 364
APRILE 2019
In questo numero: L'anno di Rembrandt : le celebrazioni di Amsterdam e dell' Aja. Segni impalpabili : la raffigurazione del gesto casuale. L'ombra e la pittura. In mostra : Morath a treviso, Van Gogh a Londra, Ottocento a Forlì, il nudo a Basilea.Direttore: Philippe Daverio