Grandi mostre. 1
Inge Morath a Treviso

UN OCCHIOGUIDATO DALL’ANIMA

Un lavoro, una passione, una necessità. Così Inge Morath – entrata a far parte dell’agenzia Magnum Photos nel 1955 – ha vissuto il rapporto con la fotografia, per lei motivo di stupore, gioia e ricerca continua.
Nel racconto di uno dei curatori della prima retrospettiva italiana scopriamo il suo percorso.

Marco Minuz

Le fotografie di Inge Morath, prima di ogni cosa, sono la testimonianza di un rapporto, di una passione, di una necessità consolidatasi con questo meraviglioso strumento meccanico chiamato macchina fotografica. Un rapporto maturato negli anni attraverso esperienze e incontri, nonché parte integrante della vita di una donna che è riuscita, con coraggio e determinazione, ad affermarsi in una disciplina allora prettamente maschile. Un lavoro, il suo, sempre baciato dalla riconoscenza verso questa sco perta espressiva, come lei stessa evidenzia: «Nel mio cuore voglio restare una dilettante, nel senso di essere innamorata di quello che sto facendo, sempre stupita delle infinite possibilità di vedere e usare la macchina fotografica come strumento di registrazione». La macchina fotografica diventa, per lei, quasi uno strumento magico per ricercare risposte profonde e lontane: «La chiusura dell’otturatore è un momento di gioia, paragonabile alla felicità del bambino che in equilibrio in punta di piedi, improvvisamente e con un piccolo grido di gioia, tende una mano verso un oggetto desiderato». 

Inge Morath nasce in Austria, nel 1923, nella città di Graz. Dopo gli studi in lingue a Berlino, lavora prima come traduttrice, poi come giornalista e redattrice per “Heute”, una pubblicazione di servizi di informazione con sede a Monaco. Questa sua esperienza legata alla scrittura le permetterà di coltivare una duplice sensibilità sia rispetto alle parole che alle immagini. Per tutta la vita infatti sarà una prolifica autrice di diari, lettere e racconti. 

Amica del fotografo austriaco Ernst Haas, collabora con lui realizzando degli articoli di accompagnamento per alcune sue fotografie. All’epoca il lavoro di Haas era salito alla ribalta per un toccante lavoro sulle donne che, nella stazione di Vienna, andavano incontro ai treni dei reduci di guerra. 

Le fotografie fecero il giro del mondo e gli fruttarono un invito a unirsi allo staff della rivista “Life”, che Haas però declinò. Quelle stesse fotografie colpirono anche Robert Capa - impegnato in quegli anni nell’avvio di Magnum Photos -, che lo invitò a visitare la sede di Parigi dell’agenzia.


Donne musulmane velate, Shiraz (Iran) 1956.

«Nel mio cuore voglio restare
una dilettante, nel senso di essere
innamorata di quello che sto facendo»


Nel viaggio da Vienna alla capitale francese, accanto al fotografo Haas, c’era anche Inge Morath che, a breve, fu chiamata a collaborare con la nuova agenzia Magnum in qualità di redattrice e ricercatrice. 

Nel 1951 Inge Morath si trasferì a Londra dopo aver sposato un inglese; è in quel periodo che inizia a fotografare, oltreché a frequentare professionalmente Simon Guttmann, uno dei padri del fotoreportage moderno. 

La sua stessa testimonianza descrive al meglio quegli inizi: «Dopo aver venduto un certo numero di fotografie e reportage a diverse riviste, tornai a Parigi e le mostrai a Capa. “Va bene”, mi disse, “ora puoi entrare come fotografa”. Io accettavo qualunque lavoro mi venisse offerto. Dato che ero una novellina, i miei erano lavoretti di poco conto… Continuai anche a fare la ricercatrice per gli altri fotografi e a editare i loro provini a contatto, un eccellente esercizio visivo. Ho imparato molto dai provini di Cartier-Bresson, che fotografava con straordinaria economia e precisione. Mi faceva guardare le immagini a testa in giù, come fanno i pittori, per giudicare la composizione». 

Tra il 1953 e il 1954, su indicazione dello stesso Robert Capa, Inge Morath ricopre il ruolo di ricercatrice, interprete e assistente per Henri Cartier-Bresson in molti dei suoi viaggi. Nel 1955 diventa a pieno titolo membro dell’agenzia Magnum Photos. Negli anni seguenti, Morath viaggia molto in Europa, Nord Africa e Medio Oriente; realizza reportage su Venezia, Iraq e Iran, Romania, Austria, Germania e Inghilterra. Le fotografie di questi viaggi sono caratterizzate da una grande capacità di immedesimazione, come lei stessa scrive in un testo del 1975: «Prima di buttarmi su un progetto, voglio conoscere il contesto, immergermi nella civiltà in cui mi devo muovere e conoscere almeno i rudimenti della lingua. In quel momento riesco ad arrivare con grande libertà a quello che Henri Cartier-Bresson definisce l’atteggiamento decisivo del fotografo: scattare la fotografia con un occhio ben aperto, che osserva il mondo attraverso il mirino, mentre l’altro è chiuso e scruta nella sua anima». 

Dal 1956 inizia la serie di curiosi ritratti fotografici realizzati con le maschere del disegnatore americano Saul Steinberg. 

Nel 1960 viene inviata sul set del film The Misfits (Gli spostati) di John Huston, dove conosce il drammaturgo Arthur Miller, all’epoca legato a Marilyn Monroe. L’unione di Inge Morath con Miller si ufficializzerà nel 1962 con il matrimonio, a seguito del quale la fotografa si stabilisce prima a New York e quindi a Roxbury, nel Connecticut, nella dimora che lo scrittore americano aveva acquistato. Nel 1965 si reca per la prima volta in Unione Sovietica.


Senza titolo (dalla serie delle Maschere con Saul Steinberg) (1962).


Un lama a Times Square, New York 1957.

Le fotografie mostrano
chiaramente la sua capacità
di creare un legame profondo

con la persona ritratta


Nel 1972 comincia a studiare il mandarino e dopo aver ottenuto un visto per la Cina, nel 1978, compie il primo di molti viaggi nel paese. 

Tra i soggetti più importanti di Inge Morath ci sono i ritratti, in cui immortala con uguale acume passanti e celebrità. Tra queste ultime ricordiamo Henry Moore, Jean Arp, Pablo Picasso, Athina Onassis, André Malraux, Doris Lessing, Igor Stravinskij, Louise Bourgeois, Audrey Hepburn, Marilyn Monroe, Pierre Cardin, Fidel Castro. Le fotografie mostrano chiaramente la sua capacità di creare un legame profondo con la persona ritratta: «La fotografia è un fenomeno strano... Ti fidi dei tuoi occhi ma non puoi fare a meno di mettere a nudo la tua anima». 

Morath diventa anche una fotografa di luoghi dove riesce sempre a cogliere, con sensibilità, le trasforma zioni in atto: «Sono particolarmente interessata a fotografare paesi in cui una nuova tradizione emerge da una antica». 

Nel 1984 è la prima fotografa ad aver ottenuto il premio austriaco Großer Österreichischer Staatspreis (dato agli artisti nati o residenti in modo pemanente nel paese per l’eccezionalità del loro lavoro); riceve anche la laurea honoris causa in Belle Arti dall’Università del Connecticut. Inge Morath scompare a New York il 30 gennaio 2002. 

Le sue immagini sono un percorso che riflette le sue più intime necessità, come lei stessa scrive: «Fotografare era diventata una necessità e io non volevo rinunciare a nulla». Fotografie frammenti di realtà, ma allo stesso tempo pagine del suo personale diario di vita: «La fotografia è essenzialmente una questione personale: la ricerca di una verità interiore».


Autoritratto, Gerusalemme 1958.


Eveleigh Nash a Buckingham Palace, Londra 1953.

Inge Morath. La vita, la fotografia

Treviso, Casa dei Carraresi
a cura di Brigitte Blüml-Kaindl, Kurt Kaindl e Marco Minuz
fino al 9 giugno
orario 9-19, sabato, domenica e festivi 10-20, chiuso lunedì
catalogo Silvana Editoriale
www.mostramorathtreviso.it

ART E DOSSIER N. 364
ART E DOSSIER N. 364
APRILE 2019
In questo numero: L'anno di Rembrandt : le celebrazioni di Amsterdam e dell' Aja. Segni impalpabili : la raffigurazione del gesto casuale. L'ombra e la pittura. In mostra : Morath a treviso, Van Gogh a Londra, Ottocento a Forlì, il nudo a Basilea.Direttore: Philippe Daverio