L'oggetto misterioso


SULL’USCIOL’OCCHIO S’INGANNA

di Gloria Fossi

Roma, chiostro grande di Santa Maria degli Angeli: un artista del XIX secolo realizzò un “trompe-l’oeil” raffigurante Fercoldo, un certosino del XIII secolo (ma non uno qualunque)

Chi si trovi dalle parti della stazione Termini a Roma, e abbia in uggia il caos che l’avvolge, può trovare attimi di silenzio alle Terme di Diocleziano (306 d.C.), oggi sede museale. E da lì, attraverso il chiostro piccolo di Santa Maria degli Angeli, affacciarsi in quell’oasi di pace che è il chiostro grande dell’antica certosa, eretto nel corso della trasformazione delle Terme voluta da Pio IV. Restaurato nel 2000, occupa il corpo centrale dell’antico “tepidarium”. 

Molti lo chiamano chiostro di Michelangelo, anche se ormai è dimostrato che l’attribuzione al grande maestro toscano è priva di fondamento. Dal 1581 al 1873, nelle loggette del chiostro i certosini ebbero le loro celle. E ancora oggi, sulla parete sinistra, vicino all’ingresso attuale, ci s’imbatte in una strana porta. 

Inquadrata da una cornice modanata, la porta pare aperta. Anzi, è aperta davvero, perché l’anta è reale, costituita da una tavola di legno dipinta a “trompe-l’oeil”, con colori a olio. Sul lato interno gli scomparti ospitano gli oggetti tipici di una cella certosina, congregazione austera che abbina lavoro a studio, silenzio, preghiera: un teschio, per riflettere sulla caducità della vita terrena; un crocifisso da tavolo, per meditare sulla Passione di Cristo.
Inoltre, appesi a un chiodo, gli occhiali “pince-nez” e il cilicio che ogni certosino portava sulla pelle nuda. Poi la clessidra, il calamaio, due penne per scrivere, la candela appena spenta. E ancora, un piatto col pasto frugale da consumare in solitudine nella cella: una pagnotta, due carote e altri ortaggi (i certosini non mangiano carne). Si capisce che il monaco in questione è un uomo dotto giacché negli altri scomparti, oltre a una cesta con la legna da ardere, ci sono grossi volumi. Vi abbiamo riconosciuto le Consuetudines Guigonis, la legislazione certosina raccolta dal monaco Guigo nel 1121, e le Institutiones coenobiorum, le istituzioni cenobitiche scritte da Giovanni Cassiano nel IV secolo. Poi, naturalmente, i libri del Vecchio e del Nuovo testamento. 


Filippo Balbi, Padre Fercoldo col ritratto del figlio, papa Clemente IV (1855), Roma, chiostro grande di Santa Maria degli Angeli.

Che si tratti della cella di un monaco illustre, lo si capisce anche dalla figura di certosino ritratto a “trompe-l’oeil” direttamente sulla parete del chiostro, rivolto allo spettatore, sull’uscio della finta cella. L’anziano indica cose che il micio ai suoi piedi certo non può comprendere. Per noi è più semplice, perché l’autore del dipinto, il napoletano Filippo Balbi (1806-1890, che si firma sulla porta, e data l’opera al 1855), segnala sui cartigli ciò che vien voglia di sapere. Il personaggio raffigurato è il converso certosino Fercoldo (Pierre Foucois), padre di Guy, futuro Clemente IV, papa dal 1265. Pierre era un notabile della provincia narbonense in Gallia, e dopo aver perduto la moglie si fece monaco, vivendo per molti anni serenamente, come indica il foglietto accanto alla serratura. La scritta reca l’anno 1265, data dell’elezione pontificale di Clemente IV ritratto a sua volta nell’ovale a stampa nel riquadro superiore della porta, che Fercoldo segnala con l’indice. Il biglietto che tiene in mano riporta invece il passo dei Proverbi (29,17): «Correggi il tuo figliolo; egli ti darà conforto e procurerà delizie all’anima tua». Le fonti ci dicono che Pierre Foucois fu giudice del conte Raimondo V di Tolosa e tra 1185 e 1196 cancelliere a Saint- Gilles. Divenuto vedovo, si ritirò nel monastero della Grande Chartreuse nella Val d’Isère, dove morì attorno al 1210. Non poté certo vedere il figlio diventare papa né, com’è ovvio, fu mai nel chiostro romano, sorto tre secoli dopo. Tuttavia, nel 1855 Balbi immortalò proprio qui il monaco francese, forse perché aveva dato i natali a un papa. E forse, pensiamo, fu Pio IX, per il quale Balbi lavorava, a incaricarlo di questo gradevole “trompe-l’oeil”. 

Rigido conservatore, Balbi è caduto in oblio, ma va menzionato almeno per un altro dipinto: una stupefacente Testa anatomica “all’Arcimboldo” composta da decine di corpi nudi, nei quali riuscì a non mettere in evidenza la benché minima impudicizia. Più facile a dirsi che a farsi.


Filippo Balbi, Padre Fercoldo col ritratto del figlio, papa Clemente IV (1855), Roma, chiostro grande di Santa Maria degli Angeli. Particolare

Filippo Balbi, Padre Fercoldo col ritratto del figlio, papa Clemente IV (1855), Roma, chiostro grande di Santa Maria degli Angeli. Particolare


Filippo Balbi, Testa anatomica (1854), Roma, Museo di storia della medicina dellÕUniversitˆ La Sapienza.

ART E DOSSIER N. 363
ART E DOSSIER N. 363
MARZO 2019
In questo numero: Expat: artisti senza patria. Anguissola, una cremonese in Sicilia. Cassatt, dalla Pennsylvania a Parigi. Ribera, uno 'Spagnoletto' a Napoli. In mostra: Hokney e Van Gogh ad Amsterdam. Futuruins a Venezia. Hammershoi a Parigi. Boldini a Ferrara. Hollar a Vinci.Direttore: Philippe Daverio