CATALOGHI E LIBRI

MARZO 2019

L’OMBRA LUNGA DEGLI ETRUSCHI

Di Martina Corgnati si è già parlato anni fa per la sua monografia su Meret Oppenheim (2014) pubblicata da Johan & Levi, fra i più interessanti editori di saggistica d’arte. Anche oggi non delude, grazie a questo studio ben articolato sulla fortuna degli etruschi, o meglio sull’«ombra lunga» così poeticamente rievocata a suo tempo da scultori come Giacometti. Gli «echi e le suggestioni» etrusche nell’arte del Novecento, come recita il sottotitolo, toccano un gran numero di artisti e critici del secolo scorso, non solo italiani. Anzi, non solo del secolo scorso. Basti pensare a quella singolare impresa grafica che fu Mary Cassatt al Louvre. Galleria etrusca, concepita nel 1879 da Edgar Degas (che aveva parenti italiani), della quale a ragione la Corgnati qui parla, o delle allusioni etrusche di André Derain, assai più spesso citato per la sua eventuale “scoperta” dell’arte africana, e di conseguenza considerato l’antesignano di quel primitivismo del quale ancora oggi, soprattutto in Italia, si parla di frequente senza cognizione di causa, ignorando studi più recenti d’oltralpe e d’oltreoceano, anzi d’oltreoceani, visto i recenti approcci a questi temi da parte di studiosi africani e del Sud Pacifico. Dunque gli etruschi, la nostra cultura antica, tutt’altro che “primitiva”, tanto amata dal Gio Ponti degli anni Venti, da Arturo Martini e Marino Marini, dai pittori della Scuola romana come Scipione, fino a Leoncillo, Pinot Gallizio, Matta (basti pensare alle sue ceramiche italiche), che ha vissuto a lungo nel nostro paese. E poi Schifano con la Chimera, opera enorme dipinta “in diretta” nel 1985 a Firenze in piazza Santissima Annunziata. E Pistoletto, Chia, Paladino. Il libro è tutt’altro che una mera lista di nomi e opere come stiamo qui enumerando, ma piuttosto una sapiente ricognizione che dai tempi dell’indimenticabile Progetto Etruschi del 1984, ideato a Firenze da Franco Borsi, attendeva una meditata e diversa attenzione. Come per altre culture rivisitate nel Novecento, gli etruschi sono diventati “altro”, ed è interessante capire il processo di tale trasformazione.

Martina Corgnati Johan & Levi, Milano 2018 240 pp., 32 ill. b.n. € 24

IDOLI

Curata per la Fondazione Giancarlo Ligabue da Annie Caubet, conservatore emerito delle antichità orientali al Louvre, la mostra veneziana Idoli, a palazzo Loredan, ha riscosso nei mesi scorsi molto successo. Oltre cento oggetti testimoniavano la rappresentazione della figura umana fra Occidente e Oriente, nel corso della rivoluzione neolitica (4000-2000 a.C.). Siamo agli albori di quella che chiamiamo Storia, anche se l’idea di Preistoria come lunghissimo periodo privo di “cultura” viene oggi ridimensionato dagli studiosi, sempre più convinti che i nostri antenati Cro-Magnon furono già capaci nel Paleolitico, almeno ventimila anni fa, di elaborare un pensiero simbolico. Per chi non avesse visitato la bella rassegna veneziana, resta il catalogo, con splendide fotografie e un interessante confronto fra opere antropomorfe, via via sempre più concrete e umanizzate, prodotte nell’arco di duemila anni, dalla valle dell’Indo alla penisola iberica. Resta fitto il mistero sull’effettiva funzione e il significato simbolico di tali “idoli” (dal greco “éidõlon”, immagine).


AA. VV. Skira, Milano 2018 288 pp., 100 ill. colore e b.n. € 60

LA PIÙ GIOCONDA VEDUTA DEL MONDO

Venezia/Pietro Aretino/Gianni Berengo Gardin: una città che è impossibile non amare /uno scrittore del Cinquecento che non si smetterebbe mai di leggere (specie nello strepitoso epistolario)/un fotografo fra i più poetici al mondo. Con questo trinomio (se ci è lecito un termine preso a prestito dall’algebra), nasce un libro bello, intelligente, colto. Da ammirare come i tre elementi che lo compongono. Anzi, ve n’è un quarto: la finestra «più gioconda del mondo», come scrive l’Aretino nel 1537 a Domenico Bollani. La finestra stava allora e sta ancora all’ultimo piano di palazzo Bollani Erizzo. Anzi, almeno oggi le finestre sono tre, in angolo a una sala luminosa, come si coglie sin dalla copertina del libro. In posizione spettacolare sul Canal Grande, fra rio di San Giovanni Grisostomo e rio dei Santi Apostoli, il palazzo ospitò a lungo l’erudito toscano, che morì a Venezia nel 1556, a sessantaquattro anni. Il 27 ottobre del 1537, l’Aretino scrisse una lettera a Bollani, grato del favore che gli faceva a vivere in quel sito «divino ». Come dargli torto: le vedute danno sulla Pescheria, il ponte di Rialto (allora di legno) e il Fondaco dei Tedeschi. L’ultimo proprietario, Renato Padoan, è mancato nel 2017 e lo ha lasciato al Fai (Fondo ambiente italiano). Lo racconta Berengo Gardin, che dal 2004, in diverse occasioni, ha fotografato da quell’angolo divino, nei giorni della Vogalonga o della Regata storica, e anche in situazioni “normali”. Di notte e di giorno, col sole o la pioggia. Dall’alto ha rubato baci a innamorati d’ogni età, a sposini sul motoscafo, a turisti di ogni razza e continente in gondola. Ha immortalato la massa scomposta di visitatori a Rialto, gli avventori e i camerieri nei locali sul Canal Grande, i musici con le fisarmoniche, l’ambulanza-motoscafo che sfreccia sull’acqua, i facchini al mercato. Insomma, «mi paria un paradiso», come scrive l’Aretino nella lettera qui riportata per esteso, che è un capolavoro al pari delle immagini di Berengo Gardin. Piacerebbero sicuramente a Friedrich e a Matisse, maestri della veduta psicologica, per così dire, dalla finestra.


Gianni Berengo Gardin Contrasto, Roma 2018 300 pagine, 11 figg. b.n. 120 pp., 80 fotografie b.n. € 45

TESORI E SEGRETI DI ROMA

Osvaldo Bevilacqua è arcinoto al pubblico televisivo: conduce Sereno variabile (Rai 2) da oltre quarant’anni, a conferma che un certo tipo di giornalismo popolare, ma rigoroso e garbato, trova ancora spazio. Bevilacqua ha una non banale esperienza di divulgatore delle bellezze italiane, e in questo libro lo scopriamo capace di trasmettere non solo la memoria di tante sue incursioni nella nostra capitale, ma anche passione e ammirazione per questa città oggi malandata - lui non lo dice -, che merita più cura e conoscenza (amore lo ha già da tutto il mondo). Questo libro può essere un vademecum anche per lo storico dell’arte o lo studioso che crede di sapere già tutto, perché con le sue curiose testimonianze, con le interviste ai personaggi più disparati, Bevilacqua rievoca percorsi inconsueti, fin dalle prime pagine. Nell’introduzione apprendiamo, per esempio, di un ritrovamento casuale sui Monti Prenesti ni, fuori Roma: ossa fossili di un dinosauro. Età: cento milioni di anni. Altezza: sei metri. Pare fosse un cucciolo o poco più. Lo hanno chiamato affettuosamente Tito. Bevilacqua fantastica, e noi con lui, immaginando che dove poi sorse il Colosseo c’erano elefanti, rinoceronti e dinosauri a “passeggiare”. Fa bene anche a rammentare che Roma permette un viaggio non solo nei duemilaottocento anni di storia, ma anche nella preistoria (a proposito, suggeriamo almeno una visita allo straordinario Museo preistorico etnografico Luigi Pigorini all’Eur, poco visitato). Ma torniamo al libro, che si legge con piacere sia quando l’autore si addentra nel cuore della città antica, sia quando rievoca film di culto come Vacanze romane (la “principessa” Audrey Hepburn riceve i giornalisti e incontra l’affascinante Gregory Peck nella Galleria di palazzo Colonna, a pochi passi da piazza Venezia), o quando racconta del quartiere Coppedé rivissuto da Dario Argento. E poi, gli anni della Dolce vita e il profumo di via Veneto, ma anche il meno noto Giulio Bendandi, uno degli ultimi “fiumaroli” di Roma: non un lavoro né un hobby, ma la passione di chi ha scelto di vivere, diremmo, “col” Tevere.


Osvaldo Bevilacqua Rai Libri, Roma 2018 288 pp. € 18; ebook € 9.99

ART E DOSSIER N. 363
ART E DOSSIER N. 363
MARZO 2019
In questo numero: Expat: artisti senza patria. Anguissola, una cremonese in Sicilia. Cassatt, dalla Pennsylvania a Parigi. Ribera, uno 'Spagnoletto' a Napoli. In mostra: Hokney e Van Gogh ad Amsterdam. Futuruins a Venezia. Hammershoi a Parigi. Boldini a Ferrara. Hollar a Vinci.Direttore: Philippe Daverio