Studi e riscoperte. 3
Sofonisba Anguissola: il periodo siciliano

UN’EMIGRATADI RANGO

Documenti ritrovati negli ultimi vent’anni fanno luce sull’esperienza siciliana di Sofonisba Anguissola a seguito del matrimonio con Fabrizio Moncada, conte di Caltanissetta e Paternò. Esperienza non facile, soprattutto dopo l’oscura morte del marito, che non ha impedito tuttavia all’artista cremonese di dedicarsi alla pittura.

Maurizia Tazartes

Rimarrà sempre misteriosa la morte di Fabrizio Moncada, conte di Caltanissetta e di Paternò (Catania), annegato durante un naufragio il 27 aprile 1578 nei pressi di Capri. Era in viaggio verso la Spagna su una delle due navi che conducevano alla corte di Filippo II don Carlo d’Aragona, giunto alla fine del suo mandato presidenziale in Sicilia. Ma un violento attacco sferrato dai pirati provocò lo sbando dell’equipaggio di una galea e la cattura dell’altra. Molti passeggeri si salvarono a nuoto, ma don Fabrizio fu tra i pochi a non farcela, come racconta il 15 maggio successivo una lettera del marchese di Mondéjar a Filippo II. 

Fabrizio Moncada voleva forse rivendicare presso Filippo II il suo diritto dinastico come principe di Paternò al posto del defunto fratello Cesare, usurpato dalla cognata donna Luisa de Luna. Ipotesi che ha steso ombre sulla sua morte, ombre che studi più recenti tenderebbero a sgombrare. Certo è che la povera pittrice Sofonisba Anguissola, che di Fabrizio era moglie, si era trovata improvvisamente sola in una terra difficile, il feudo di Paternò, conteso dalla cognata. 

Sofonisba, la grande pittrice cremonese - nata intorno al 1532, che da adolescente aveva ricevuto i complimenti di Michelangelo,Vasari e di altri importanti artisti e letterati -, aveva sposato per procura nel 1573 a Madrid il nobiluomo Fabrizio Moncada. 

L’artista aveva ricevuto dal re di Spagna una ricca dote in denari, gioielli e una pensione annuale di mille ducati per i suoi tredici anni passati alla corte spagnola, dal 1560 al 1573, come dama di corte e insegnante di pittura delle due giovani regine, prima Isabella di Valois e poi Anna d’Austria.


Sofonisba Anguissola, Madonna dell’Itria (prima dell’aprile 1578), Paternò (Catania), Santissima Annunziata.

Una vita non facile per attriti e gelosie
col nuovo parentado e spese
per mantenere le tenute


Aveva vissuto con intensità quegli anni, affezionandosi alla famiglia reale, infanti compresi, e lavorando come ritrattista, stimata e ben compensata. Poi Filippo II aveva deciso che, ormai quarantenne, la pittrice doveva convolare a nozze: scelse per lei l’italo-spagnolo don Fabrizio, che viveva in Sicilia a Paternò. Così era cominciata nell’ottobre del 1573 la vita siciliana di Sofonisba, in una grande casa-castello, tra ulivi, grano e agrumeti. Una vita non facile per attriti e gelosie col nuovo parentado e spese per mantenere le tenute, cui contribuiva pesantemente la sua preziosa pensione spagnola riscossa nelle dogane di Palermo e Messina. 

Ai documenti pubblicati nel 1994 da Rossana Sacchi in occasione della mostra cremonese di quello stesso anno, Sofonisba Anguissola e le sue sorelle, in questi ultimi quindici anni se ne sono aggiunti altri che permettono di caratterizzare maggiormente il primo periodo siciliano della pittrice, durato dal 2 ottobre 1573 sino al 19 marzo del 1579. Si tratta di atti notarili ritrovati nell’Archivio di Stato di Catania dalla direttrice Anna Maria Iozzia in occasione della mostra La donna nei percorsi d’arte, tenuta in quella sede nel 2009. I documenti raccontano le difficoltà economiche dei due coniugi, che per pagare i debiti devono impegnare addirittura un prezioso anello di Sofonisba del valore di quattrocento onze. E fanno trasparire una vita difficile per la pittrice dopo la morte del marito, a causa della quale l’artista è costretta a chiamare in aiuto il fratello Asdrubale da Cremona, che giunge a Paternò nel novembre del 1578 aiutando la sorella a recuperare alcuni beni, tra cui la tenuta La Fata. Un documento del 26 luglio 1579, ritrovato dallo studioso Filippo Marotta Rizzo e riletto nei dettagli dalla direttrice dell’archivio catanese, informa poi come a Sofonisba sia stata corrisposta una somma di centoventi onze il 26 luglio 1579 per aver retto per circa nove mesi lo Stato di Paternò, in sostituzione del marito. 

Ma che cosa faceva Sofonisba, al di là di questa vita tra notai e nobili siciliani, senza più la pompa e le amicizie della corte spagnola e gli incontri con i grandi artisti del tempo? Dipingeva in solitudine? Una prima risposta la dà una grande pala d’altare (olio su tavola, 162 x 230 cm), con la Madonna dell’Itria, conservata nella chiesa della Santissima Annunziata di Paternò, attribuita alla pittrice nel 1995 dal medico, studioso e critico d’arte Alfio Nicotra. Ipotesi confermata dal ritrovamento nel 2002, da parte di Filippo Marotta Rizzo, dell’atto con cui l’artista donava l’opera il 25 giugno 1579 ai frati francescani del convento di Paternò, nella persona del guardiano Vincenzo Caruso. 

La tavola, che si trovava in origine nella chiesa di San Giovanni Evangelista di Paternò, rappresenta la Madonna Odigitria, patrona della Sicilia, il cui culto aveva origini bizantine.


Antoon van Dyck (attribuito), Ritratto di Sofonisba Anguissola (1624), Sevenoaks (Inghilterra), Knole House.


Antoon van Dyck, Ritratto di Sofonisba Anguissola (1624), disegno del Taccuino italiano, Londra, British Museum.

A Palermo finisce i suoi giorni
ultranovantenne ritratta
più volte da Van Dyck


L’iconografia, tipica, è caratterizzata dalla Madonna trasportata su una cassa da due anziani, in questo caso da due frati e da alcuni angeli alla presenza di autorità religiose e di un gruppo di persone. Sullo sfondo il mare e alcune navi. Molte le varianti iconografiche a seconda dei luoghi, dei significati e degli artisti. 

Una lettura parziale del documento aveva inizialmente fatto pensare ad alcuni storici che Sofonisba, con quella cassa simile a una bara, volesse rappresentare il trasporto del marito, morto un anno prima tra i flutti marini. Ma un esame del testo pubblicato nella sua interezza, nel 2012, da parte di Anna Maria Iozzia rivela un’altra cosa. Nell’atto si dice infatti che il quadro fu «constructum et factum in tabula per eandem dominam donatricem et dittum quondam dominum don Fabricium eius virum […] participio de eorum manibus». La tavola era stata dunque dipinta da Sofonisba e dal marito ancora in vita, che aveva collaborato con lei. Notizia curiosa, che svela uno squarcio intimo e domestico. Immaginiamo Sofonisba dipingere con i suoi tratti caratteristici la grande Madonna tardomanieristica, mentre don Fabrizio la aiuta nei modesti angioletti, in qualche figura della folla, o nel paesaggio. L’omaggio al marito morto è stata la donazione del dipinto ai frati per porlo nella tomba dei Moncada nella chiesa del convento, con l’aggiunta di una serie corposa di messe a suffragio imposte ai francescani. 

Ancora da mettere a punto è il secondo e ultimo periodo siciliano della pittrice, dal novembre del 1615, quando compra una “domus magna” a Palermo in “strata Pilerij”, e dove finisce i suoi giorni ultranovantenne il 16 novembre 1625, ritratta più volte da Van Dyck. Nel frattempo se ne era andata dalla Sicilia, si era risposata con il comandante di nave genovese Orazio Lomellini, più giovane di lei di una quindicina d’anni. Un colpo di testa, risultato felice, che sfidava le ire di Filippo II e di Francesco de’ Medici, con soggiorni tra Livorno, Pisa e Genova. Poi, un lungo periodo genovese con ripresa di contatti con la corte di Spagna, attraverso le giovani infante, i loro matrimoni e trasferimenti. Viaggi a Torino e amicizia con principi savoiardi. Infine il ritorno da anziana in Sicilia per seguire meglio i suoi interessi nei feudi dell’ex marito defunto. 

Il suo linguaggio artistico (dopo il soggiorno siciliano) si è certamente evoluto. A testimoniarlo potrebbe esserci un pugno di opere, essenzialmente ritratti dei membri dell’aristocrazia spagnola e savoiarda, realizzati nei primi del Seicento tra Genova e Torino, la cui attribuzione è ancora ipotetica. Non sappiamo se negli ultimi anni di vita in Sicilia, vecchia e quasi cieca, Sofonisba abbia dipinto ancora, probabilmente sì, visto che aveva «la memoria et l’servelo prontissimo », come scrive nel suo taccuino Van Dyck il 12 luglio 1624.


Antoon van Dyck, Sofonisba Anguissola sul letto di morte (1625), Torino, Musei reali, Galleria sabauda.


Sofonisba Anguissola, Autoritratto al cavalletto (1556-1565), Łan´ cut (Polonia), castello di Łan´ cut.

ART E DOSSIER N. 363
ART E DOSSIER N. 363
MARZO 2019
In questo numero: Expat: artisti senza patria. Anguissola, una cremonese in Sicilia. Cassatt, dalla Pennsylvania a Parigi. Ribera, uno 'Spagnoletto' a Napoli. In mostra: Hokney e Van Gogh ad Amsterdam. Futuruins a Venezia. Hammershoi a Parigi. Boldini a Ferrara. Hollar a Vinci.Direttore: Philippe Daverio