Studi e riscoperte. 1 
L'oreficeria prodotta dalla famiglia Musy

Le gioie
del re

Una storia di eccellente artigianato, iniziata nel Settecento, che ha avuto nell’Otto-Novecento un’importanza internazionale.
Orologiai e gioiellieri, i membri della famiglia Musy diventano tra i fornitori più accreditati di casa Savoia senza temere il confronto
con i grandi protagonisti del settore.

Daniela Brignone

Esiste un patrimonio di manualità e di eccellenza poco noto le cui testimonianze sono spesso nascoste presso archivi o presso le collezioni di chi nel tempo ha saputo vedervi una maestria di altissimo profilo.
Tra questi, i documenti della famiglia Musy, orologiai e gioiellieri torinesi sin dal 1707, conservati presso l’Archivio di Stato del capoluogo piemontese, raccontano una storia di regnanti e di cerimoniali, di sfarzi e di passioni, di raccolte, di relazioni e di reciproche influenze, segnando epoche e indirizzando i gusti.
Nella storia della gioielleria italiana tra Ottocento e Novecento la produzione Musy rappresenta un patrimonio, materiale e immateriale, dall’enorme valore artistico, oltre che economico, più volte messo a confronto con i noti esempi internazionali quali Lalique, Cartier, Gaillard, Mellerio “dits Meller”. La ditta «rivaleggia con i primi artisti al mondo nella produzione di gioielli e dei lavori in metalli preziosi», scriveva la rivista americana “The Keystone Holiday Number” nel 1905.
Designer, modellatori, artisti, smaltatori collaboravano all’interno della bottega dove vigeva il rigore più assoluto per favorire un’organizzazione tecnica che assicurasse la perfezione del prodotto, rispettando i desideri della committenza.

Ogni singolo pezzo narrava
la storia del committente

In una città, Torino, considerata all’epoca una piccola Parigi, Musy diventò uno dei fornitori più stimati di casa Savoia. La collocazione della sede e dell’abitazione della famiglia nel cosiddetto Padiglione reale che, in origine, collegava palazzo Madama alla sede dei principi e dei sovrani sabaudi, consentiva la piena disponibilità professionale della ditta. A seguito di un incendio scoppiato nel Padiglione, nel 1811 la ditta si stabilì nei locali di via Po, apponendo nel 1865 l’insegna «Musy père et fils horlogers et jouilliers de S.M. le Roi, de la Royale Famille, et de S.A.R. le Prince de Savoie Carignano», in una facciata severa ed elegante che, ancora oggi esistente, venne descritta un secolo dopo, in un articolo apparso su “Gazzetta Sera” di giugno 1955, come «tutta nera e filettata d’oro zecchino, come un abito per ricevimento a corte, da gran sera, da gran gala; e lasciare che dalla sua vetrina [...] soltanto un piccolo astro, una semplice raggiera di brillanti, mandi il suo discreto richiamo».


Placca per “corsage” in platino, diamanti e perle a goccia, disegno acquerellato su cartoncino nero (primi del Novecento), Torino, Archivio di Stato.

“pendentif” con motivo a nastri in platino, diamanti e zaffiri, disegno acquerellato su cartoncino nero (1908);


placca per “corsage” in diamanti e platino, disegno acquerellato su cartoncino nero (1908), Torino, Archivio di Stato.


diadema realizzato con cinquecentoquarantuno diamanti e perle commissionato da re Umberto I per la regina Margherita, disegno acquerellato su cartoncino nero, datato 29 dicembre 1883, Torino, Archivio di Stato.

La Torino del XIX secolo era animata dall’affluenza dei regnanti e aristocratici provenienti da ogni parte d’Europa che si approssimavano alla corte dei Savoia. Salotti ed eventi mondani richiedevano “mise” di alto profilo e lo sfarzo di quegli ambienti procurava commissioni preziose e di elevata maestria. La produzione Musy introduceva in atmosfere lussuose, narrando, in ogni singolo pezzo, la storia del committente, legata al gusto e all’occasione per la quale veniva regalato o indossato.
Un’uniformità di motivi e l’utilizzo di pietre preziose su elaborate e quasi invisibili montature in platino richiamavano la produzione di gran pregio di note case, in particolar modo quelle di Cartier e Mellerio, anch’esse rivolte a una clientela internazionale facoltosa: i motivi a ghirlanda, a nastro e a ricamo, in diamanti e in pietre preziose, realizzati congrande perfezione tecnica, conferivano solennità e sobrietà di motivi, pur nella ricchezza dei materiali. A essi Musy affiancava il motivo del “nodo Savoia” che diventerà la cifra stilistica identificativa della ditta. Alcuni di questi capolavori, molto classici nella concezione, accrescevano il loro valore grazie alla difficile combinazione delle pietre, spesso incastonate in moduli smontabili da combinare in nuove fogge.
All’inizio del Novecento, la ditta avviava una collaborazione con la Società ceramica artistica fiorentina da cui acquisiva manufatti in ceramica progettati dal designer Giorgio Ceragioli sui quali applicava elementi in metallo (argento e peltro), creando così capolavori raffinatissimi di grande modernità.


Diadema con motivo a nodi Savoia realizzato per la duchessa Elena d’Aosta (1895), foto d’epoca, Torino, Archivio di Stato.

Dalla fine del XIX secolo
Musy veniva contagiato dalla febbre per il Liberty


In costante aggiornamento, alla ricerca delle novità più sorprendenti, dalla fine del XIX secolo Musy veniva contagiato dalla febbre per il Liberty, pur continuando parallelamente a produrre i pezzi più classici: viaggiando per l’Europa e visitando le esposizioni, nazionali e universali, la ditta creava sinergie professionali, sviluppando nuove linee di ricerca che la porteranno a confrontarsi con le realtà di tutto il mondo come accadde all’Esposizione internazionale d’arte decorativa moderna di Torino del 1902.
All’ingresso del padiglione Musy, premiato dalla giuria con diploma d’onore, la più alta onorificenza, campeggiava l’insegna floreale «Musy padre e figli» che introduceva in un’ampia sala decorata con i motivi liberty allora dominanti. Addossati alle “boiserie”, manichini femminili in cera, in pose languide, indossavano abiti di gran sartoria, ornati con i sontuosi e sorprendenti gioielli della ditta. Altri monili, argenti e vasi in ceramica, questi ultimi disegnati da Ceragioli, erano collocati all’interno di mobili nello stesso stile.
L’adesione alla nuova moda spingeva la ditta a riprodurre elementi insoliti quali le ninfee, i fiori di campo, le libellule, il gallo, motivi che il Liberty aveva rielaborato dalla contaminazione giapponese che infervorava l’Occidente “fin de siècle”. Un ritorno alla natura e alla tradizione in cui confluivano un’eccellenza estetica unita alla precisione e all’innovazione tecnica e che rispolverava anche stili del passato. Il “colpo di frusta” di matrice belga, a sua volta derivato dalla grafica giapponese, era applicato tanto negli oggetti quanto nei gioielli preziosi che assorbivano in modo discreto, ma deciso, la linea dinamica contornata da pietre preziose, richiamando gli elementi architettonici e decorativi liberty.
Dal Liberty all’Art Déco, la produzione si adeguerà via via ai nuovi stili regalando nuovi capolavori custoditi unicamente presso collezionisti privati.


centrotavola in argento con ninfee (primi del Novecento), foto d’epoca, Torino, Archivio di Stato.

ingresso del padiglione Musy all’Esposizione Internazionale d'arte decorativa moderna di Torino del 1902, foto d’epoca, Torino, Archivio di Stato.


Vasi disegnati da Giorgio Ceragioli per Musy (primi del Novecento).


centrotavola in argento con ninfee (primi del Novecento), foto d’epoca, Torino, Archivio di Stato.

ART E DOSSIER N. 362
ART E DOSSIER N. 362
FEBBRAIO 2019
In questo numero: Zerocalcare L'anima antagonista di una generazione in mostra a Roma. Avanguardie inattese. Astrattismo rinascimentale. Finestre surrealiste. In mostra : Picasso a Basilea; Bonnard a Londra; I kimono a Gorizia; Van Dyck a Torino; Rinascimento ticinese.Direttore: Philippe Daverio