XX secolo
La finestra nelle avanguardie del primo Novecento

UN QUADRO
NEL QUADRO

La finestra nel cubismo, nella Metafisica, nel surrealismo e nel futurismo è stata rappresentata con significati diversi: elemento di rottura o di continuità, di accesso verso altri luoghi, elemento che permette una pura contemplazione o che apre alla vita così come al mondo delle emozioni.

Roberto Middione

la parola “finestra” oggi è alla base delle interfacce dei nostri computer. Molto prima per Leibnitz le “monadi” (dal greco “monos”, unico, singolo) erano mondi chiusi, privi di finestre, sorta di atomi psichici; ancora prima Leon Battista Alberti (De pictura) identificava il quadro come una finestra aperta sul mondo. Tra questi estremi troviamo immagini, concetti e memorie articolati e in divenire, tuttavia cadenzati su percorsi e moduli codificati. In pittura la finestra mette in relazione un dentro e un fuori, crea profondità o la annulla, è quadro nel quadro, separa il protagonista raffigurato, se c’è, dalla scena esterna come noi stessi dall’intera rappresentazione dipinta.
Le avanguardie del primo Novecento hanno riproposto questo tema in diverse sfaccettature e con significati divergenti. Il cubismo sintetico, la Metafisica, il surrealismo - nelle articolazioni di una pittura che non vuole riproporre la realtà oggettiva e nemmeno la realtà psicologica del soggetto - ci pongono, a fronte di immagini ferme, paradigmi visivi in cui gli strumenti della mente escludono quelli delle emozioni o dei sensi. Emblematiche le opere di Picasso del 1919-1920, successive al viaggio in Italia, come Il tavolo davanti alla finestra, che fa parte di una ventina di tele dipinte durante un soggiorno con la prima moglie Olga a Saint-Raphaël, sulla Costa Azzurra. Analoghi risultati in Juan Gris: Natura morta davanti a una finestra aperta, place Ravignan del 1915 e La finestra aperta del 1921. La finestra è qui trattata come medium, porta di accesso a un fuori configurabile come un altrove, in parallelo con la Metafisica e in anticipo sul surrealismo. In questi e in altri casi il tema è coniugato assieme a quello della natura morta, fusione tra due diversi modi di interpretare lo spazio: il primo proiettato sulla profondità, il secondo orientato sullo squadernamento in superficie.

La finestra insieme alla natura morta: fusione tra due diversi modi
di interpretare lo spazio



René Magritte, La condizione umana (1933), Washington, National Gallery of Art.

I futuristi credono invece in una pittura degli “stati d’animo”. Scriveva Boccioni: «La sensazione è quella che si può avere aprendo una finestra: tutta la vita, i rumori della strada, irrompono contemporaneamente come il movimento e la realtà degli oggetti fuori. Il pittore non si limita a ciò che vede nel riquadro della finestra, come farebbe un fotografo, ma riproduce ciò che può vedere fuori, in ogni direzione, dal balcone». Emblematico è Visioni simultanee, del 1911. Dinamismo e sensazione pongono il futurismo in antitesi con la Metafisica, ove il recupero della prospettiva e della forma, l’immobilità, il silenzio, sono corollari di una mera speculazione, senza contatti con una realtà naturale o storica. Nella sua ossessione per un infinito geometrico, de Chirico definiva i prodotti di varie avanguardie, dall’impressionismo in avanti, come «baldorie coloristiche ». Subito dopo Magritte si impegnò a definire lo spazio e a calcolare i volumi; e Paul Delvaux ne seguì le orme. Il poeta e il filosofo di de Chirico, del 1915, ci propone una finestra aperta su un altrove pietrificato che il personaggio-manichino di spalle tuttavia non guarda, preso dalle stelle infisse su una tela cobalto.


 

Un altrove pietrificato che il personaggio-manichino non guarda

                           

                               
                           
Magritte in La condizione umana, del 1933 (seguita da La condizione umana II, 1935, e da La passeggiata di Euclide, 1955), supera il confine tra realtà e rappresentazione. A prima impressione il panorama oltre la finestra è reale in quanto riprodotto nella tela sul cavalletto; in effetti è anch’esso finzione perché fa parte del quadro d’insieme che si sta osservando. Il panorama e il dipinto sul cavalletto esistono solo nel quadro e nell’occhio dell’osservatore. La condizione umana si basa su un equivoco: che la raffigurazione di una realtà corrisponda alla realtà stessa. L’immagine dipinta non è copia di una realtà preesistente, ma riflessione sul suo status di immagine: è “surrealtà”. Gli aspetti mimetici nella pittura mettono in crisi proprio la concezione mimetica della pittura stessa. Il tema della “finestra” ne è metafora. Gli approdi complessivi tuttavia sono vari, anche divergenti da quanto illustrato fin qui. Molti artisti infatti visitarono per vie indipendenti quel tema, entro la prima metà del Novecento. Matisse nel Violinista alla finestra, dipinto a Nizza nel 1918, ci regala una delle sue poche figure maschili, forse lo stesso artista o suo figlio Pierre. Raoul Dufy in Finestra a Nizza (Hotel Suisse) schizza di colore una promenade des Anglais che non ha nulla da invidiare a un naïf o a un fauve. Dalí in Ragazza alla finestra, del 1925, raffigura sua sorella Ana Maria, all’età di diciassette anni, nella casa al mare a Cadaqués.
La finestra dunque per alcune avanguardie è qualcosa di assai diverso da un semplice “trompe-l’oeil”; piuttosto viene sottolineata come focus metafisico e come concetto psicologico. In questo senso potrebbe richiamare esempi di un certo cinema, da quello espressionista a Hitchcock, a Il cielo sopra Berlino di Wenders, o di certa fotografia, da Kertész a Rodˇcenko, a Ferroni, Friedlander, Fontana. La difformità è invece totale rispetto a presentazioni di stampo realistico - anche fortemente interpretate - in cui una finestra è soprattutto un’apertura che lascia vedere qualcosa al di fuori o qualcos’altro al di dentro, come il Bacio alla finestra di Munch, del 1892, o come, in Italia, in Casorati, Sironi, Donghi, Oppi, Levi.


Juan Gris, Natura morta davanti a una finestra aperta, place Ravignan (1915), Filadelfia, Philadelphia Museum of Art.

Umberto Boccioni, Visioni simultanee (1911), Wuppertal, Van Der Heydt Museum.

Giorgio de Chirico, Il poeta e il filosofo (1915).


Salvador Dalí, Ragazza alla finestra (1925), Madrid, Centro de Arte Reina Sofia.

La finestra è cosa ancora diversa in Edward Hopper, per il quale pure ha rappresentato un leitmotiv costante, luogo dello sguardo per eccellenza, focus concettuale che consente un’apertura emotivamente distaccata da un interno a un esterno o viceversa: emblematico è Stanza a New York del 1932, quintessenza della solitudine inquadrata come nel fotogramma di un film. Tutte le finestre fin qui osservate sono spalancate, nessuna è socchiusa, oscurata o sbarrata. Per molte di esse (Picasso, Dalí, Magritte) avviene come per lo specchio di Alice, oltre il quale si va a precipitare entro frammenti di memorie appartenuteci ma di cui non si conserva consapevolezza.
Carl Gustav Jung nella sua autobiografia Ricordi così esordisce: «La mia vita è la storia di un’autorealizzazione dell’inconscio». Allo stesso modo, oltre quelle finestre, i pensieri dello spettatore e le suggestioni soggettive possono fluire liberamente ricostruendo uno stato d’animo universale.

ART E DOSSIER N. 362
ART E DOSSIER N. 362
FEBBRAIO 2019
In questo numero: Zerocalcare L'anima antagonista di una generazione in mostra a Roma. Avanguardie inattese. Astrattismo rinascimentale. Finestre surrealiste. In mostra : Picasso a Basilea; Bonnard a Londra; I kimono a Gorizia; Van Dyck a Torino; Rinascimento ticinese.Direttore: Philippe Daverio