Dentro l'opera 


L'ARTE È UN GIOCO
«PERICOLOSO»

di Cristina Baldacci

Un primo piano su opere meno note dal secondo Novecento a oggi, per scoprirne il significato e l’unicità nel continuum della storia dell’arte: Giulio Paolini, Mimesi

Per Giulio Paolini (Genova, 1940) l’arte è un gioco «pericoloso», non perché, come sosteneva Platone, è un’imitazione della realtà, dunque di per sé ingannevole, ma all’opposto perché, come primo strumento di conoscenza, annulla ogni altra visione, quindi anche interpretazione, del mondo. Anche per Paolini le immagini sono entità astratte, pure forme di idee preesistenti a cui però l’artista, diversamente da quanto sosteneva Platone, dà corpo attraverso un processo che si definisce più come rivelazione che come mimesi.
Il confronto con l’antico, e soprattutto con l’idea del bello, è uno dei temi centrali della sua poetica. La bellezza è per Paolini un concetto che muta continuamente e per questo non può che rimanere «intellegibile» e «ideale», come attestano una serie di lavori del 1978 (Del bello intellegibile) e una mostra (Giulio Paolini. Del bello ideale, fino al 10 febbraio alla Fondazione Carriero di Milano). È una sorta di sospensione metafisica della realtà che a volte può far sentire in esilio e altre può essere di grande consolazione. Più che una copia di forme e stilemi del passato, le sue frequenti riprese dell’arte classica valgono come personali traduzioni e riattualizzazioni.
Ne è un esempio il doppio calco in gesso della testa dell’Hermes di Prassitele - lo scultore greco del IV secolo a.C. -, che Paolini ha significativamente intitolato Mimesi (1975). Insieme al calco dell’occhio del David di Michelangelo (Elegia, 1969), con cui partecipa alla Biennale di Venezia del 1970, e ai due piedi e una mano del Proteo (1971), si tratta di una delle prime prove che citano la statuaria antica (nel primo caso rinascimentale), pratica poi diventata ricorrente nel suo lavoro. La parte per il tutto allude qui all’idea di rovina, quindi nello specifico alla memoria del classico e più in generale alla relazione con un passato che può essere afferrato soltanto per frammenti.
Le due teste di Ermete, invece di essere l’una di fronte all’altra, sono leggermente sfalsate in modo da creare un silenzioso dialogo. L’una fa da specchio all’altra, come un doppio di sé ma anche come un altro da sé, nel senso di alter ego o “Doppelgänger”. Il calco è anch’esso, come tecnica e dal punto di vista metaforico, un doppio in assenza, perché costituisce una traccia in negativo di un originale non più presente, di un’immagine mitica che segna una distanza temporale. Mimesi non è pertanto né una semplice ripetizione, né una mera citazione, bensì una riappropriazione che vale come affermazione di una rinnovata presenza.
Il tempo inteso come un “qui e ora” che sfugge di continuo, come una dimensione in cui il tutto e il niente - cioè l’insieme di promesse che mai si avvereranno - coesistono, è un altro dei grandi leitmotiv di Paolini. Così come il sé e l’altro, tema in parte presente anche in Mimesi e sviluppato lungo tutta la sua carriera in una serie di ritratti e autoritratti il cui perno è l’idea di autorialità, spesso sottratta, se non addirittura negata; perché, come Paolini stesso afferma, «un’opera, per essere autentica, deve dimenticare il suo autore». Ma anche la prospettiva come forma geometrica e simbolica legata alla visione; l’infinito come catalogo di possibilità e continua variazione sul tema, per cui il lavoro di Paolini è sempre, vicendevolmente, in fieri e in potenza (nel tempo così come nello spazio); l’esporre l’arte (messa in scena) come tautologia, ovvero pratica autoriflessiva.



Giulio Paolini Mimesi (1975), due calchi in gesso, h 37 cm ciascuno; due basi bianche, 120 x 40 x 40 cm ciascuna, Torino, Fondazione Giulio e Anna Paolini.

ART E DOSSIER N. 362
ART E DOSSIER N. 362
FEBBRAIO 2019
In questo numero: Zerocalcare L'anima antagonista di una generazione in mostra a Roma. Avanguardie inattese. Astrattismo rinascimentale. Finestre surrealiste. In mostra : Picasso a Basilea; Bonnard a Londra; I kimono a Gorizia; Van Dyck a Torino; Rinascimento ticinese.Direttore: Philippe Daverio