L'oggetto misterioso


SULLE TRACCE DI TEODORA:
DA ISTANBUL A RAVENNA
(O VICEVERSA)

di Gloria Fossi

La Teodora immortalata nei mosaici del San Vitale di Ravenna è il simbolo più famoso dell’arte bizantina. Chi era davvero? Da Ravenna a Costantinopoli, siamo andati sulle sue tracce.

Istanbul, ex basilica di Santa Sofia. Vaghiamo sulle tracce di Teodora: moglie di Giustiniano, indimenticabile “basilissa” dagli occhi di ghiaccio dei mosaici di Ravenna (547 d.C.). Teodora però era di Costantinopoli. Oggi c’è chi la esalta come antesignana della liberazione femminile, perché voleva liberare la società bizantina dalla prostituzione (lei stessa fu prostituta). Gli storici più avveduti, però, vanno cauti. Vediamo perché.

Era nata verso il 500 d.C. da un guardiano di orsi dell’ippodromo di Costantinopoli. Divenne attrice come la madre. Dissoluta, incolta, volubile. Intelligente, ma imprevedibile e crudelissima. Ne sono certi gli studiosi di oggi, che pur mitigano le affermazioni scandalose di Procopio di Cesarea, che nel VI secolo fece di Teodora la protagonista di un libello denigratorio, ai limiti della pornografia: La storia arcana. Non si sa come la bellissima Teodora - sul suo fascino tutti concordano - conobbe Giustiniano, futuro imperatore d’Oriente, più grande di vent’anni. Si innamorarono.

Teodora abbandonò la vita dissoluta. Giustiniano la sposò, forzando la legge che gli impediva di prendere in moglie un’attrice. Quando ascese al trono, nel 527, incoronò anche lei. Teodora morì di cancro, nel 548, ormai irreprensibile nella morale ma fautrice di vendette efferate contro chiunque sospettasse suo nemico. Committente di torture e delitti inimmaginabili, capace di intrighi “bizantini”, appunto.

In Santa Sofia, dove la grande cupola pare galleggiare nello splendore dei mosaici, le sue tracce sono labili, ma sappiamo che c’erano. Mentre ammiriamo i fasci di luce che paiono riflettori di un set cinematografico, intravediamo su alcuni capitelli a traforo i monogrammi di Teodora e del marito. Ci imbattiamo poi nella sublime porta di marmo, con anelli e perfino chiavi a trompe-l’oeil. Pare separasse le stanze private degli imperatori (“metatorion”) dall’area dei sacerdoti. Qui stava la loggia dell’imperatrice. Sfioriamo i battenti: li avrà sfiorati anche Teodora? È questo l’oggetto misterioso, misterioso nonostante sia oggetto dei selfie dei turisti, perlopiù ignari della sua storia. Tutti la fotografano, pochi la guardano veramente. È il vizio da smartphone.


Belve feroci, particolare dei mosaici del Gran palazzo imperiale (VI secolo), Istanbul, Museo dei mosaici.

Ora scendiamo verso il mare, nella moschea che fu un tempo basilica dei Santi Sergio e Bacco, più antica di Santa Sofia (è chiamata la Piccola Santa Sofia) e modello per il San Vitale di Ravenna. Camminiano scalzi sulla moquette. In alto, i marmi ricamati dei capitelli di Teodora e Giustiniano, i cui monogrammi furono in gran parte scalpellati (di Teodora ne è rimasto uno).

Visitiamo poi il Museo dei mosaici del Gran palazzo imperiale, dove vediamo, seppure sbiaditi, in uno stile imbevuto di ellenismo, belve e gazzelle impietosamente sventrate: scene crudeli simili a quelle che si svolgevano nell’ippodromo, proprio dove Teodora e Giustiniano fecero uccidere, nel 532, in un solo giorno, trentamila rivoltosi. Decapitati e gettati nel Bosforo. Belve o uomini era la stessa cosa. Accade spesso anche oggi, come si sa, qui e nel resto del mondo. Per questo “bizantino” significa bellezza, sfarzo, sintesi di cultura greca e romana, ma anche ambiguità, intrighi, delitti. I bizantini si dicevano “romaioi”, romani, eredi dell’antico impero d’Occidente; fra splendori e crudeltà, contraddizioni e corruzione. Come Teodora e Giustiniano, poi sepolti nel mausoleo dei Santi Apostoli a Costantinopoli (poi distrutto). A Ravenna, a proposito, non sono mai stati.


La Porta del cielo e della terra, fra la galleria ovest e la galleria sud, presso la Loggia dell’imperatrice Teodora (VI secolo), particolare, Istanbul, Santa Sofia.

ART E DOSSIER N. 361
ART E DOSSIER N. 361
GENNAIO 2019
In questo numero: La Zingara infelice. Una lettura per la Tempesta di Giorgione. In mostra: Cai Guo-Qiang e Urgessa a Firenze, Renzo Piano a Londra, Gio Ponti a Parigi, Klee a Milano, Lotto nelle Marche. Europa di contrasti. Poveri e girovaghi nell'arte olandese del XVII secolo. Il linguaggio internazionale degli scalpellini medievali.Direttore: Philippe Daverio