Studi e riscoperte. 1
Mendicanti e vagabondi nell’Olanda del Seicento

L’ARMATA
DEI PEZZENTI

Il problema dei migranti economici - da una nazione all’altra, ma anche da una città all’altra - non è una questione recente. Nel corso dei secoli è accaduto più volte che gruppi consistenti di persone si trovassero a dover cercare fortuna fuori dalla propria terra o a doversi scegliere un mestiere girovago. Nell’arte olandese del Seicento si trovano tracce significative di questo fenomeno, rivelatrici di convinzioni e convenzioni sociali e religiose.


Claudio Pescio

Tra XVI e XVII secolo un fantasma si aggira per l’Europa: è l’orda di vagabondi, mendicanti, ambulanti che una lunga serie di guerre, epidemie e carestie ha lasciato senza casa e senza lavoro. Migranti senza patria in cerca di un po’ di cibo, di una sistemazione, di uno stratagemma per arrivare al giorno dopo.

Nel Cinquecento la povertà aveva iniziato ad assumere dimensione di massa. Nelle città la media del numero di mendicanti sul totale degli abitanti raggiungeva il venti per cento. In Inghilterra i proprietari terrieri iniziarono ad espellere i contadini privandoli della terra (è il fenomeno delle “enclosures”). Dilagavano epidemie, furti, rapine, truffe; aumentavano il timore di rivolte sociali e la paura dei poveri: da cui repressioni e respingimenti. È quella che Marx, nel Capitale (libro I, sez VII, cap 24) chiama «legislazione sanguinosa»: la maniera in cui in Inghilterra si manifestarono i primi costi sociali dell’incipiente capitalismo. Le pene per chi aveva perso casa, lavoro e terra erano la prigione, la gogna e la frusta «finché il suo corpo non sia insanguinato» (statuto di Enrico VIII, 1531); pochi decenni dopo si passò alla marchiatura a fuoco con una V (“vagabond”). La condizione di vagabondo, in una società impoverita e senza lavoro, non aveva molte alternative.

Nel Seicento si passò alla reclusione; nacquero gli Alberghi dei poveri; in molte città si dette inizio a una rieducazione coatta al lavoro per vagabondi, prostitute, accattoni. Nella casa di lavoro di Amsterdam un ingegnoso sistema riabituava al lavoro i più pigri: chi rifiutava il lavoro veniva posto in un sotterraneo in cui veniva fatta salire l’acqua. Per sopravvivere il malcapitato doveva azionare una pompa incessantemente.

La soglia è luogo di incontri, ma anche di possibili scontri, confronti e attriti


La figura del vagabondo era da tempo al centro di un dibattito fra fautori della “pietas” e rigoristi custodi della pubblica quiete. Già dalla fine del XV secolo circolava in Europa, in latino e in volgare, il Liber Vagatorum(1), testo anonimo (forse concepito a Basilea nel 1475) che descrive le varie tipologie di mendicanti, ambulanti, musicanti che si aggiravano tra città, paesi e campagne. Correda il testo anche un glossario dei termini più diffusi nella lingua franca dei “gueux”, gli straccioni. L’intento è mettere in guardia i buoni cittadini dalle truffe e invitarli a non cedere al buon cuore se non dopo un’attenta disamina di chi si ha di fronte. La casistica è varia, si va dai mercanti di reliquie ai finti pellegrini, ai finti malati, ai bambini che vengono picchiati in modo da mostrare segni che muovano a pietà, ai ladri di polli, ai falsari, ai tagliagole. Un’edizione diffusissima nel mondo protestante ebbe un editor d’eccezione, Martin Lutero(2), che nel 1528 la corredò di un proprio testo introduttivo in cui affermava che il libro poteva far capire come il diavolo regnasse potentemente nel mondo e rendeva quindi indispensabile muoversi con prudenza: il rischio era di aiutare falsi poveri e trascurare quelli veri. Il riformatore scriveva anche di essere stato egli stesso ingannato da malfattori travestiti. In ogni caso, l’elemosina doveva essere limitata nella sua entità, quanto basta a togliere la fame, in modo da non indurre il povero nella tentazione di vivere tout-court di accattonaggio.

E qui emerge come il problema, oltre che di ordine pubblico, fosse anche di ordine morale ed economico. Nei paesi protestanti si cercava di evitare che nelle pieghe della società si annidassero sacche di inoperosità, da un lato; dall’altro era assolutamente da evitare un uso improduttivo della ricchezza come l’elemosina. Chi non produce va escluso: solo il lavoro può far scomparire la miseria. Il messaggio era trasmesso dalle prediche dei pastori e si fondava sui testi sacri. In san Paolo si legge: «Noi non abbiamo vissuto tra voi oziosamente, né abbiamo mangiato gratis il pane di nessuno, ma con fatica e con stenti abbiamo lavorato notte e giorno, per non essere a carico di nessuno di voi. [...] Noi vi abbiamo dato quest’ordine: chi non vuol lavorare non mangi»(3).

La figura del povero appare spesso nell’arte dei secoli XVI-XVIII, basti pensare a Callot, Murillo, Caravaggio, al Pitocchetto, a Le Nain, spesso con intenti pietistici o moralistici, fino a divenire un genere pittorico. In Olanda, nella parte più erasmiana della società civile protestante, il rigore moralistico è attenuato dalla consapevolezza di una contraddizione interna al messaggio cristiano: come si possono invocare misericordia e fratellanza e al contempo punire chi vive di elemosine?

Nell’Olanda del XVII secolo la casa è un luogo fortificato, baluardo della rettitudine di chi ci abita e della prosperità familiare; il luogo fondamentale per la sua difesa è la porta di ingresso: è necessario individuare attentamente chi si avvicina a quel limite, e con quali intenzioni. La soglia è luogo di incontri, ma anche di possibili scontri, confronti e attriti.


Rembrandt van Rijn, Acchiapparatti (1632), Boston, Museum of Fine Arts.

Adriaen van Ostade, Venditore ambulante di occhiali (1646), Washington, National Gallery of Art.

La pittura di genere olandese del XVII secolo, a partire dalla fine degli anni Quaranta e soprattutto nei due decenni successivi, evidenzia un buon numero di dipinti e incisioni che ambientano il loro soggetto al di qua o al di là dell’ingresso principale di un’abitazione privata. Un’analisi di alcune di queste opere può fornire una chiave interpretativa di alcuni meccanismi sociali attivi nell’Olanda del tempo.

Queste opere tendono in genere a dare conto delle categorie sociali che per ragioni economiche si spingono a bussare a una porta di casa. Tra i soggetti ricorrenti figurano mendicanti, storpi, suonatori ambulanti, venditori itineranti. In qualche caso l’accento è posto più sulla condizione miserevole di chi bussa, altrove prevale invece la sottolineatura per contrasto di un benessere raggiunto e conservato, in pratica di come scelte “giuste” possano mettere al riparo dall’indigenza e dalla riprovazione morale dei concittadini.

Tra gli artisti che raffigurano mendicanti e vagabondi troviamo Rembrandt, che realizza diverse incisioni sul tema. Nell’acquaforte del 1648 con Poveri ricevono l’elemosina a una porta di casa un uomo, una donna con un bambino sulle spalle e un cesto al braccio, un ragazzo ricevono una moneta da un uomo anziano che si sporge dalla mezza porta che delimita il suo spazio domestico. Si percepisce qui un sentimento di comprensione e vicinanza nei confronti dei tre poveri viandanti. Nell’incisione con l’Acchiapparatti, di molti anni prima (1632), prevaleva invece il grottesco, la messa alla berlina di un inquietante straccione dalla barba arruffata che inalberava una corolla di topi morti sul bastone da cammino e portava un topo vivo sulla spalla, mentre proponeva il suo preparato antiratti alla porta di una casa di campagna. I poveri alla porta del 1648 non sembrano rappresentare più una minaccia per nessuno, hanno il capo chino, un atteggiamento dimesso e tengono le corrette distanze dalla soglia del buon cittadino cui si rivolgono per un’elemosina.

Al 1646 appartiene una scena di vendita porta a porta, il Venditore ambulante di occhiali di Adriaen van Ostade. Il venditore porta una cassetta assicurata al collo e offre la sua merce a una donna affacciata alla sua mezza porta, mentre un bambino (la consueta figura di aiutante che compare in molte scene analoghe), di spalle, osserva la scena; la donna sembra interessata all’acquisto, e anche qui l’atmosfera generale appare rilassata. Un’altra versione, ancora di Ostade, mostra l’ambulante che porge i suoi occhiali a una donna anziana che fila davanti alla porta di casa, tra bambini che giocano, carri che passano, cani che abbaiano.

Nella versione di Jan Steen i personaggi acquistano una coloritura più da farsa paesana, nei volti dei due protagonisti principali - l’anziana donna che prova un paio di occhiali e il venditore stesso - e nel personaggio seduto che ride guardando verso di noi, una figura la cui fisionomia diventa presto familiare a chi conosce i dipinti di Steen, un autoritratto dell’artista, un modo complice per condividere il divertimento con chi guarda.


Adriaen van Ostade, Venditore di occhiali mostra la sua merce a una donna davanti alla porta di casa (1646 circa), Amsterdam, Rijksmuseum.

Jan Steen, Venditore ambulante di occhiali (1650-1655), Londra, National Gallery.

La figura del venditore di occhiali era molto popolare, nei Paesi Bassi, e oggetto di stampe diffuse fin dal secolo precedente. Un’incisione di Pieter van der Heyden da Pieter Bruegel il Vecchio (1562), Venditore ambulante addormentato derubato dalle scimmie, mostra una versione umoristica del personaggio: assopito in un bosco lascia la sua cesta di cianfrusaglie in balia degli abitanti della foresta che ne approfittano e spargono in giro guanti, strumenti musicali, bottoni, giocattoli; e occhiali: una scimmietta prova anche a metterli sul naso.

Il venditore di occhiali, nella tradizione locale, aveva una connotazione negativa supplementare, rispetto alla già scarsa reputazione degli ambulanti in genere, era malvisto perché le lenti potevano anche simboleggiare una distorsione della verità, uno strumento di inganno distribuito casa per casa da un truffatore intenzionale. Nella versione di Ostade cui accennavamo sopra il problema non sussiste, la lente - presenza fondamentale nella cultura “visiva” dei Paesi Bassi che, non dimentichiamolo, ospitavano ormai i più avanzati laboratori di ottica d’Europa - è definitivamente accolta come una cosa che consente di “vederci chiaro”, di penetrare nei segreti della realtà, favorendo anche una “pulizia” che è latamente morale.


Pieter van der Heyden, Venditore ambulante addormentato derubato dalle scimmie (1562), Amsterdam, Rijksprentenkabinet.

Molte abitazioni olandesi si aprivano sulla strada con una caratteristica doppia porta; la divisione era orizzontale, poteva aprirsi interamente oppure se ne poteva aprire la parte superiore soltanto (o quella inferiore). Se ne ha un esempio anche in La lattaia, di Nicolaes Maes (1657). Nel dipinto una donna, con un bambino al suo fianco, lascia una ciotola di latte a una donna più anziana che si sporge a darle un paio di monete dalla mezza porta che dalla sua abitazione affaccia direttamente sulla strada. La mezza porta introduce un nuovo elemento in questa nostra riflessione sulla funzione di diaframma simbolico rappresentato dalla porta; in questo caso apre e chiude al tempo stesso: apre alla vista dell’interno da parte di chi passa e chiude l’accesso selezionando chi può entrare e chi no, inoltre separa e “protegge” chi è di casa da chi non lo è; è per così dire un limite semipermeabile, sta lì a sottolineare ulteriormente una distanza sociale. Un’altra porta, quella della città, si staglia sul fondo a separare spazio urbano e campagna.

Nel dipinto di Jan Steen Adolf e Catharina Croeser sull’Oude Delft (1655) si riflettono in maniera esemplare, su una soglia, le tensioni sociali di un mondo in trasformazione, all’apice della sua ricchezza ma consapevole della necessità di un equilibrio tra classi diverse(4). Adolf Croeser siede al centro della composizione, è un ricco mercante di grano, vedovo; sua figlia, elegantemente vestita, scende i gradini di casa. Sulla destra, una mendicante col figlioletto. Questo dipinto esprime con chiarezza la dialettica tra ricchezza e povertà, le tensioni esistenti e le connesse implicazioni morali nella cultura e nella società olandesi del Seicento, i confini tra chi è “dentro” e chi è “fuori”. Un’analoga struttura della soglia appare nella scena in cui Gabriel Metsu ritrae una Donna che fa l’elemosina a un bambino (1660 circa). La donna siede su un pianerottolo sopraelevato rispetto al piano stradale; anche qui è evidente il desiderio di rimarcare una differenza di ceto attraverso lo stesso meccanismo di collocazione spaziale dei due soggetti.


Nicolaes Maes, La lattaia (1657), Apsley House.

Jan Steen, Adolf e Catharina Croeser sull’Oude Delft (1655), Amsterdam, Rijksmuseum.


Gabriel Metsu, Donna che fa l’elemosina a un bambino (1660 circa), Kassel, Gemäldegalerie Alte Maister.

(1) Liber Vagatorum, 1475?; ed. consultata Strasburgo 1862, copia della Bibliothèque Nationale, Parigi. Tra gli ipotetici autori Sebastian Brandt (Strasburgo 1458-1521), l’autore della Nave dei folli, o il francescano tedesco Thomas Murner (Obernai 1475-1537). Sul tema dei senza dimora molto interessante la tesi di laurea di William Negro, Università di Bologna, facoltà di Giurisprudenza, 2003-2004.

(2) L’edizione che contiene la prefazione originale di Lutero si trova nella Herzog August Bibliothek di Wolfenbüttel, nella Bassa Sassonia. Una traduzione in inglese è accessibile on-line su Project Gutenberg: The Books of Vagabonds and Beggars, trad. di J. C. Hotten, www.gutenberg.org.

(3) San Paolo, Seconda lettera ai tessalonicesi, 2, 7-10.

(4) Per un’analisi più approfondita di questo dipinto cfr., di chi scrive, Dentro e fuori dalla grazia di Dio, in “Art e Dossier”, n. 281, ottobre 2011, pp. 40-45.

ART E DOSSIER N. 361
ART E DOSSIER N. 361
GENNAIO 2019
In questo numero: La Zingara infelice. Una lettura per la Tempesta di Giorgione. In mostra: Cai Guo-Qiang e Urgessa a Firenze, Renzo Piano a Londra, Gio Ponti a Parigi, Klee a Milano, Lotto nelle Marche. Europa di contrasti. Poveri e girovaghi nell'arte olandese del XVII secolo. Il linguaggio internazionale degli scalpellini medievali.Direttore: Philippe Daverio