Grandi mostre. 2
Tesfaye Urgessa a Firenze

CORPI
INCERTI

Il corpo è il protagonista della pittura di Urgessa. Un corpo, a volte scomposto e innaturale, è ciò che resta dell’esperienza che la vita propone a ciascuno. Una presenza rassicurante e salvifica, salda e luminosa al di là dell’apparente frammentazione. Venata da una nota di ricorrente ironia.


Federica Chezzi

Esperire. Parola chiave per Tesfaye Urgessa, termine che da solo quasi riesce a spiegarne l’intera opera. Urgessa è nato in Etiopia, ad Addis Abeba, nel 1983 e vive in Germania dal 2009. Il 18 dicembre di quest’anno ha inaugurato una sua personale alle Gallerie degli Uffizi a Firenze, in un’Italia governata da politiche xenofobe.

Non riesco a non chiedergli se ritenga che questa mostra possa avere un valore politico oltreché artistico. «I miei lavori sono senz’altro influenzati dalla politica. Ma non perché io voglia trasmettere un “messaggio”», risponde Urgessa. «Ho un problema con questa definizione; non la ritengo utile all’arte. Parlerei piuttosto di “esperienza”. Vorrei che il pubblico, sostando con calma di fronte alle mie opere, prendesse idealmente il posto delle figure ritratte.

È l’esperienza dell’arte che può cambiare le cose. Solo in questo senso l’artista può avere un ruolo politico e sociale». E i dipinti di Urgessa sembrano interrogare gli spettatori, formulando delle domande senza univoca risposta. Sono corpi disarticolati, aggrovigliati e finanche mutilati; talvolta non sono neanche corpi ma soltanto parti di questi ultimi. Uomini e donne assumono posture innaturali e rivolgono allo spettatore uno sguardo attonito, quasi stupito. I corpi sono tutti, sempre, nudi. Non sono le nudità eroiche e invincibili della statuaria classica ma neanche i nudi corrotti delle avanguardie germaniche.

La scelta dei corpi nudi rimanda a una vulnerabilità manifesta ma che assume una valenza spirituale e, di fatto, universale. Urgessa racconta che in loro non vede delle vittime «ma quelli che ce l’hanno fatta. Figure che danno conforto».

È l’esperienza dell’arte che può cambiare le cose


I corpi che appaiono sulla tela sono, per l’artista, quelli che hanno guadagnato un posto alla luce: «C’è una bellezza immensa nel dare ragion d’essere alle immagini nella tua testa mettendole in pittura», racconta lo stesso Urgessa. «Anche quando non hai idea di cosa te l’abbia messe in testa».

È quel processo insondabile che il “re” dei surrealisti aveva definito come metodo “paranoico-critico” e al cui confine sembra spingersi anche Urgessa quando, all’osservatore attento, svela particolari incongrui disseminati nelle sue composizioni. Ironiche suggestioni e metafisici enigmi sollecitati da oggetti “fuori posto”, come la presenza delle babbucce a forma di coniglio in The Artist 1 (2012) e le salviette gialle ai piedi di quella che sembra essere una sacra famiglia in Die Waschlappen (2018); oppure come la ripetizione insistente di parti isolate del corpo, per esempio delle natiche, che sembrano suggerire, non senza ironia, presenze occulte non ben identificate.


The Artist 1 (2012).

Anche la gestualità dei personaggi lascia allo spettatore il compito di decifrarne i multipli, possibili significati. Nel dipinto Ich halte dich fest halten 2 (2018) una mano copre il volto di una figura appena abbozzata. Chi sta proteggendo, con questo gesto? Lo spettatore o la misteriosa figura al suo fianco? Interrogativi che si ripetono con frequenza nelle opere di Urgessa e nel cui spiazzamento cognitivo risiede la loro più grande bellezza.

Nella scomposizione dei corpi, nella simultaneità di visione, nei cortocircuiti mentali con i quali Urgessa provoca lo spettatore si può leggere tutta la sua esperienza dell’arte delle avanguardie e della pittura del Novecento: Egon Schiele, Pablo Picasso (si veda anche la citazione mutila della Testa di toro in Auszeit 1, 2017), Lucian Freud e Francis Bacon compresi. Una conoscenza resa possibile dalla borsa di studio, vinta dal giovane etiope, che lo avrebbe portato, allora ventiseienne, a studiare in Germania e a iscriversi poi all’Accademia di Belle arti di Stoccarda. La violenza delle pennellate e dei colori espressionisti è però mitigata, nelle opere di Urgessa, da un attento bilanciamento cromatico, piacevolmente sofisticato. Così come le composizioni e la definizione dei corpi - seppure scompaginati - riescono a evocare una solidità quasi classica. I quadri di Urgessa nascono da un lavoro assiduo - veloce soltanto nel gesto della pennellata - di rielaborazione costante, di sovrapposizioni, rifacimenti, ripensamenti, cancellature.


Die Waschlappen (2018).

«Quando dipingo mani, senza farci caso, con la mano sinistra compio lo stesso gesto che sto ritraendo», racconta Urgessa, «e faccio lo stesso con le mie spalle o con i piedi. A volte la tensione è tale da procurarmi dolore e devo passare a dipingere oggetti, che mi coinvolgono meno emotivamente ». Verrebbe da pensare che anche le celebri Accumulazioni di Arman abbiano lasciato il segno su queste tele: Auszeit 2 (2017), Five Shades of Gold (2018), la serie No Country for Young Men (2018); uomini apparentemente sereni sono costretti in un risibile spazio vitale, sicuramente claustrofobico, ma forse più mentale che fisico. Un affollamento che evoca, inevitabilmente, la sovraesposizione massmediale della nostra società.

I suoi quadri, spiega ancora l’artista, non sono da considerarsi finiti, ma opere delle quali è stata “sospesa” l’esecuzione. Un’esperienza, fisica e mentale, che potrebbe riprendere in qualsiasi momento. Impossibile costringere a una progettualità predeterminata un artista che lavora a più tele contemporaneamente, nelle quali le figure affiorano e migrano senza soluzione di continuità.

«Rifuggendo, come nella vita, i limiti e le definizioni imposti a priori», registra Chiara Toti, curatrice della mostra assieme al direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, «Urgessa trasforma dunque l’arte in un viaggio avventuroso e pieno di incertezze». Una migrazione che non conosce confini né identificazioni etniche.


Five Shades of Gold (2018).


Ich halte dich fest halten 2, (2018).


Auszeit 1 (2017).

No Country for Young Men 7 (2018).


No Country for Young Men 8 (2018).


Under the Moonlight (2018).

Tesfaye Urgessa. Oltre

a cura di Eike Schmidt e Chiara Toti
Firenze, Gallerie degli Uffizi
Palazzo Pitti, Andito degli Angiolini
fino al 3 febbraio; orario 8.15-18.50, chiuso il lunedì
catalogo Giunti Editore (disponibile in italiano e in inglese)
www.uffizi.it

ART E DOSSIER N. 361
ART E DOSSIER N. 361
GENNAIO 2019
In questo numero: La Zingara infelice. Una lettura per la Tempesta di Giorgione. In mostra: Cai Guo-Qiang e Urgessa a Firenze, Renzo Piano a Londra, Gio Ponti a Parigi, Klee a Milano, Lotto nelle Marche. Europa di contrasti. Poveri e girovaghi nell'arte olandese del XVII secolo. Il linguaggio internazionale degli scalpellini medievali.Direttore: Philippe Daverio