Studi e riscoperte
La figura umana in Albrecht Dürer, Maurits Cornelis Escher e Otto Dix

giochi
di mani

Albrecht Dürer - protagonista della mostra milanese a Palazzo reale, presentata nel numero scorso di “Art e Dossier” - torna nelle nostre pagine insieme a Maurits Cornelis Escher e Otto Dix. L’intento, questa volta, è esaminare l’abilità dei tre artisti nel riprodurre la psicologia dei personaggi ritratti, dotati di una forte carica espressiva
già solo nel loro gesticolare.

Roberto Middione

Alla luce delle nostre conoscenze non emergono rapporti diretti tra Leonardo e Abrecht Dürer in occasione dei due viaggi che il tedesco compì in Italia, nel 1494-1495 e nel 1505-1507. Eppure tra questi due giganti dell’arte è possibile individuare qualche punto di “collusione”. Entrambi furono esploratori delle realtà naturali, interessati a scendere al di sotto della pelle delle cose, grandi maestri della grafica: Leonardo si propose soprattutto come scienziato volto all’indagine, per lui il disegno era fonte di ricerca e mezzo di codifica, ed entrambi furono calamitati dagli studi di natura, in particolare di fisionomie, animali, piante. Assume inoltre rilievo che Leonardo abbia soggiornato a Venezia nel corso del 1500 - secondo la testimonianza di Luca Pacioli - dunque poco prima del secondo soggiorno del tedesco, circostanza che potrà aver favorito l’assimilazione di qualche spunto del genio toscano.

Fermiamoci ora alla celebre tavola con Cristo tra i dottori di Dürer datata 1506, nel pieno del secondo soggiorno in laguna (Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza, acquistata nel 1934, già passata per la raccolta Barberini a Roma). Secondo parte della critica l’opera venne donata a Giovanni Bellini, presso il quale fu poi vista da Lorenzo Lotto che la tenne presente per una delle figure della Sacra conversazione della Galleria Borghese di Roma. Dipinto singolare, finito in soli cinque giorni - come si legge nel cartiglio con monogramma e data infilato tra le pagine del librone tenuto dal primo personaggio a sinistra - durante una pausa dei lavori per la pala della Festa del rosario (ora a Praga, Národní Galerie).
La rapidità di esecuzione emerge dall’andamento nervoso delle pennellate ampie e fluide, simile al trattamento grafico dei disegni e delle incisioni. Priva di una calibratura prospettica e di una precisa ambientazione, la scena è costipata per via dei sette protagonisti, il Cristo dodicenne e i sei dottori del tempio di Salomone, dicotomia etica ed estetica tra bellezza e sapienza da un lato e bruttezza ottusa e aggressiva dall’altro. È evidente il riferimento fisiognomico dei personaggi - soprattutto quello di profilo alla destra di Cristo - agli studi di teste caricaturali di Leonardo, conosciuti per tracce rimaste pochi anni prima in laguna o per repliche di seguaci. Ma è altrettanto interessante l’attenzione al gioco delle mani, con quell’intreccio centrale che coinvolge Cristo e il grottesco dottore sulla destra, un vortice di movimento e comunicazione sottolineato dalle dita lunghe e ossute, ove ugualmente si riconosce l’eco degli studi anatomici di Leonardo. E pure di estremo rilievo sono le ruvide mani appoggiate sulle legature dei libri dei due barbuti personaggi in primo piano. Quanta importanza - grafica ed emotiva - Dürer abbia attribuito al tema delle mani balza all’occhio grazie anche ad alcuni strepitosi studi datati 1506, tra i pochissimi relativi a questo dipinto, in particolare per il dettaglio del primo dottore a sinistra e per il Cristo (altri differenti esempi, precedenti o successivi, si conservano all’Albertina di Vienna). Questa sottolineatura di interesse si spiega facilmente in quanto in linea con alcuni “leitmotiv” dell’arte e della stessa psicologia delle aree centro europee: nella pittura e scultura medievale e rinascimentale, infatti, il ruolo, lo stato psicologico e la forza argomentativa dei personaggi sono affidati spesso tanto all’espressione del volto quanto al gioco delle mani.


Albrecht Dürer, Cristo tra i dottori (1506), Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza. L’opera è in mostra fino al 24 giugno (Milano, Palazzo reale, Dürer e il Rinascimento tra Germania e Italia).

Cristo tra i dottori (1506), particolare, Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza;

Studio di mani per il Cristo tra i dottori (1506), Norimberga, Germanische Nationalmuseum.

Albrecht Dürer, Studio di mani (1506), Norimberga, Germanische Nationalmuseum.


Maurits Cornelis Escher, Mani che disegnano (1948), Baarn (Olanda), Fondazione M. C. Escher.

Andamento nervoso delle pennellate ampie e fluide, simile al trattamento grafico dei disegni e delle incisioni



Tutto quanto detto finora ci suggerisce come nel ricordo e nella sensibilità artistica centro-nordeuropea certi rivoli formali ed emotivi possano essersi mantenuti nel tempo: sono scontati i tratti dell’incisività, espressività, carica patetica, sottigliezza grafica. Ne cogliamo echi fin nel corso del XX secolo. Guardiamo, per esempio, la ben nota litografia del 1948 di Maurits Cornelis Escher Mani che disegnano. In un perfetto modulo a chiasmo due mani che reggono matite si inseguono a disegnare l’un l’altra. Soggetto e oggetto apparentemente coincidono, in realtà l’oggettività della conoscenza è filtrata dalla soggettività del punto di osservazione. Compiendo uno scarto ardito - non dissimile dall’enigmatica esattezza del maestro olandese - andiamo a riguardare quel vortice delle mani di Dürer, soprattutto nello straordinario studio del dettaglio di Cristo: vi scorgiamo un innegabile principio di mimesi. Il paradosso grafico di Escher si nutre di elementi di relatività e autoreferenzialità innervati nella produzione artistica e nell’analisi scientifica del suo tempo (scalando di un secolo addietro si può sospettare un’attenzione al nastro di Moebius); ma sicuramente va anche alla ricerca di radici culturali lontane che, a parte le straordinarie assonanze sintattiche e grafiche frutto di osservazione diretta, scavano nell’humus di un retroterra antropologico comune.
Facciamo ora un altro salto nel vuoto e guardiamo il Ritratto dell’avvocato Hugo Simons di Otto Dix del 1925 (Montreal, Museum of Fine Arts). Siamo nel pieno del realismo crudo della Nuova oggettività eppure partecipiamo di una estrema eleganza formale, linee taglienti e colori vivi, in cui l’acutezza dello sguardo fa da contrappunto all’arpeggio aereo delle mani, affusolate e nervose (siamo lontani dalle dita tozze, dalle vene ipertrofiche del Ritratto dei genitori al Kunstmuseum di Basilea, di appena quattro anni precedente). Ritroviamo quell’impasto di cinismo, asciuttezza, emotività tipico dell’arte tedesca. E sotto il profilo formale risaliamo a Dürer e restiamo in attesa di Escher, confrontiamo i giochi di mani dei tre artisti, riconosciamo tratti ripetuti che attestano, percorrendo la linea dei secoli, probabili conoscenze dirette e un background comune.


Impasto di cinismo, asciuttezza,
emotività tipico dell'arte tedesca



Stranamente Escher sosteneva che il significato di un’opera si ferma alla sua mera rappresentazione. Non sappiamo fino a che punto ne fosse davvero convinto. Siamo convinti tuttavia che certi suoi enigmi grafici sono i segmenti, a noi più vicini nel tempo, di una linea - ad andamento sinuoso - che attraversa all’incontrario sensibilità psicologiche e formali maturate nei secoli.


Otto Dix, Ritratto dell’avvocato Hugo Simons (1925), Montreal, Montreal Museum of Fine Arts.


ART E DOSSIER N. 355
ART E DOSSIER N. 355
GIUGNO 2018
In questo numero: PHILIPPE DAVERIO Quando l'arte annuncia le rivoluzioni: i primi sintomi del Sessantotto. SAVE ITALY Il sito di Casignana in Calabria. IN MOSTRA Franco Fontana a Bergamo, Black & White a Düsseldorf, Abscondita a Bassano, Cassatt a Parigi.Direttore: Philippe Daverio