Pagina nera

I RESTI DI UN PASSATO
CHE NON C’È MAI STATO

Il decoro non è affar nostro. In questa frase è racchiusa la situazione italiana, da Nord a Sud. È desolante osservare il degrado diffuso nelle città: infrastrutture mai utilizzate, rifiuti di ogni tipo lasciati marcire per giorni e giorni, strade dissestate, luoghi d’arte violati. E dire che la bellezza dovrebbe essere la nostra maggiore fonte di ricchezza.

Fabio Isman


Nelle nostre strade ci sono abbondanti tracce d’infrastrutture dimenticate, o mai entrate in funzione, o da tempo superate e obsolete. Sono state costruite e installate; ma poi, sono rimaste lì: quasi che questi luoghi fossero “res nullius”, terra di nessuno. E quindi, di caccia: ognuno può disfarsi liberamente di rifiuti tecnologici abbandonati; magari, i relitti di un passato mai divenuto presente, perché non è neppure esistito. Parafrasando un antico film di Sydney Pollack, premio Oscar nel 1970, invece che i cavalli, “non si uccidono così anche le città?”. Accade dappertutto. Per esempio, a Roma: in un centinaio di metri, si susseguono adel misterioso, e non sono neppure mai entrati in funzione; cassette per smistare la posta a cui nessuno più accede; relitti di cablature iniziate e mai compiute; posti riservati a chi non esiste più da qualche decennio, e così via. A tutto questo, nella capitale vanno poi aggiunte le infinite buche stradali, perfino impossibili da contare; o la spazzatura, assai spesso non raccolta anche per cinque giorni, e che, poiché i contenitori pieni straripano, forma eleganti “collinette”, più o meno piramidali, ai punti di prelievo.

Ma andiamo con ordine, e iniziamo vedendo se, per caso, di Fido mi fido. Non sempre. Attorno al 1995, questo era il nome di un innovativo sistema di Telecom che avrebbe dovuto trasformare i telefoni fissi e senza fili in apparati semimobili e permettere agli utenti di conversare anche stando fuori casa. Perciò, in alcune grandi città furono disseminate apposite antenne. Perfino tre in duecento metri, se una strada era piena di curve. Il 26 ottobre 1996, il “Corriere della Sera” titolava: «Fido estende all’intera area urbana la zona di copertura del cordless». Invece no: anche se l’esperimento aveva totalizzato in venti giorni milletrecento contratti, diffondendosi in ventotto città, dopo poche prove, è abortito: dismesso ufficialmente il 30 giugno 2001. Sembra che fosse poco affidabile addirittura dentro gli edifici; parlare in movimento era abbastanza precario; e, soprattutto, ogni comunicazione, in entrata o in uscita, costava 170 lire in più, mentre si stavano ormai imponendo i cellulari. Non si sa quanto Telecom abbia perduto: c’è chi ha scritto mille miliardi.
Ma, ancor peggio, nessuno ha rimosso quei pali e le antenne ormai del tutto inutili. Sono rimasti dove erano, a testimoniare un fallimento industriale, insieme a una grave incuria ambientale. Pare che Telecom non intendesse investire altro per eliminarli. Più o meno nel medesimo tempo, c’è stato un ulteriore tentativo di comunicazione urbana: nel 1995, un’altra società, la Stet, prometteva d’investire in cinque anni 13mila miliardi (sempre di lire), per portare la fibra ottica in dieci milioni d’abitazioni. Strade a lungo sconquassate, per collocare i tubi corrugati in cui fare passare la nuova tecnologia; fino a portarla agli ingressi dei palazzi. Di questo sistema mai nato, sono sopravvissuti però i moncherini azzurri d’uscita. Talora, ormai sepolti (senza lapidi) dal rifacimento dei marciapiedi; talaltra, invece, ancora visibili. Bisogna stare attenti a non inciampare; in compenso, sono un comodo ricettacolo di qualunque sporcizia. Per dirne una, a Trieste, sul marciapiede di via del Lazzaretto Vecchio, in pieno centro, una scatola contiene un’inutile “batteria” di sei terminali che fanno capolino dal terreno, qualcuno con ancora il suo tappo di chiusura, e un altro è loro accanto: ovviamente, non “cablano” nulla: ostacolano chi cammina, intralciano e basta. Spesso, accanto a questi reperti, si vedono anche strane cassette postali, sorrette da un’impalcatura metallica. Sono rosse, e c’è su scritto «Posta»; però, mancano di un elemento fondamentale: la fessura in cui imbucare le missive. Sono «cassette di servizio»: i distributori postali vi stivavano plichi di corrispondenza, che i portalettere poi prelevavano e recapitavano nella zona. Ormai, arrivano assai meno lettere: le hanno sostituite internet e i recapiti autorizzati. Se il postino non ha mai “suonato due volte” (se non nel film originale del 1946 di Tay Garnett e nel “remake” del 1981 di Bob Rafelson), un tempo, passava almeno per le case appunto due volte al giorno; poi, una soltanto; oggi, arriva ogni tre, perfino cinque giorni. E le rosse cassette di distribuzione (o «di servizio») sono abbandonate. Non servono più. Però, restano anch’esse al loro posto, sebbene non abbelliscano certamente l’arredo urbano.


Spazzatura e rifiuti vari in piazza Carità a Napoli.

cassetta postale di servizio abbandonata a Roma.

Una delle antenne installate a Roma da Telecom negli anni Novanta per realizzare Fido, un sistema innovativo che avrebbe dovuto trasformare i telefoni fissi e senza fili in apparati semimobili e consentire così agli utenti di parlare anche fuori casa. Il progetto non è mai stato realizzato e le antenne, presenti pure in altre città, non sono mai state rimosse.

Luoghi che sembrano “res nullius”, terra di nessuno.
Un’immensa sciatteria: civica, ma certo non civile

Insomma, nelle nostre città viene scaricata qualsiasi cosa inutile. Un’ecatombe di rifiuti inamovibili. Senza alcun riguardo a come le strade dovrebbero invece essere mantenute. Un’immensa sciatteria: civica, ma certo non civile; uno spregio assoluto a qualsiasi decoro, che all’estero non esiste. Lo definiremmo “roba da Terzo mondo”, se il Terzo mondo non fossimo invece noi. Torniamo a Roma, perché c’è un luogo mirabile, che serve come cartina di tornasole. Piazzale Socrate, a Monte Mario, è un balcone naturale sulla città. Vi si traguarda il “Cupolone”, e un tempo vi approdavano i pellegrini, facendosi sfuggire un «oh» di meraviglia davanti all’inatteso e spettacoloso panorama. Bene: per anni, ha costituito una rimessa all’aperto della nettezza urbana. Tempo fa, tra i siti prediletti per trasferire la spazzatura dai mezzi più piccoli a quelli più grandi, diretti poi nelle discariche, c’era perfino uno slargo sulla passeggiata di viale Trinità dei Monti: una delle più ambite e frequentate di Roma. Si godeva il panorama tra olezzi maleodoranti. Proteste, e campagne di stampa. Alla fine, trasferimento del trasbordo. Ma dove? In piazza del Popolo: l’aveva denunciato anche una “Pagina nera”(*). Invece, per un lungo periodo, sul “balcone” di piazzale Socrate, lungo il marciapiede ha stazionato una colonna di dieci mezzi della nettezza urbana. Il panorama erano diventati le spazzatrici e gli autocarri, non la vista su uno dei più mirabili capolavori michelangioleschi. La municipalizzata che si occupa dei rifiuti si chiama Ama; ma l’Ama ci ama? Anche qui, proteste. E i mezzi sono finiti in una strada laterale: dieci posteggi riservati, indicati con tanto di segnali e delimitati dalle strisce gialle. Ormai da anni, quei veicoli se ne sono andati anche da lì; ma il loro “parking” riservato, e debitamente segnalato e delimitato, resta invece intatto. Nessuno ci fa più caso: né chi vi posteggia; né chi, ovviamente, non eleva alcuna contravvenzione.
Succede anche non lontano. C’è una clinica privata; fallita da tempo e ormai abbandonata, è divenuta regno dei “writers”; è stata occupata da un centro sociale, presto sgomberato; si è trasformata in ritrovo di clandestini che, ogni tanto, le forze dell’ordine cacciano via: l’indomani, qualcuno viene a murare gli accessi dell’immobile. Che però, conserva l’ingresso riservato per le ambulanze (così è scritto), con alcuni posti di sosta giustamente previsti perché gli handicappati potessero agevolmente raggiungere il luogo di cura, sparito da oltre un decennio. Recentemente, i solerti amministratori comunali ne hanno anche fatto ridipingere le strisce gialle.
Da sindaco, Francesco Rutelli raccontava che per l’allora milione e duecentomila veicoli della città (più quelli che ogni giorno vi arrivano), esistevano trecentocinquantamila posti di sosta legali. Oggi, è certamente peggio. E così, i semplici divieti, a Roma non valgono: nessuno li rispetta, senza essere, di solito, minimamente sanzionato. Si evita di parcheggiare solo dove vige il “divieto di sosta con rimozione”. Ma se vi si posteggia succede poco: nella Capitale, l’apposito servizio è infatti sospeso da anni, perché l’appalto non è stato rinnovato. Sembrano vicende da poco; piccole cose: ma siamo proprio sicuri che queste, e non altre, debbano essere le nostre città?



clinica romana dismessa da oltre un decennio, regno dei “writers”, occupata da un centro sociale poi sgomberato.

clinica romana dismessa da oltre un decennio, regno dei “writers”, occupata da un centro sociale poi sgomberato.

ART E DOSSIER N. 355
ART E DOSSIER N. 355
GIUGNO 2018
In questo numero: PHILIPPE DAVERIO Quando l'arte annuncia le rivoluzioni: i primi sintomi del Sessantotto. SAVE ITALY Il sito di Casignana in Calabria. IN MOSTRA Franco Fontana a Bergamo, Black & White a Düsseldorf, Abscondita a Bassano, Cassatt a Parigi.Direttore: Philippe Daverio