GLI DÈI
DELL’INDUISMO

Pur innestandosi sulla tradizione brahmanica, l’induismo mette in scena divinità e forme di culto nuove, forse peraltro, almeno in parte, di origine molto antica, ma che solo nei secoli intorno all’inizio dell’era comune emergono appieno per dominare poi per sempre il panorama religioso indiano.

le divinità principali sono Vishnu con le sue “discese” (avatara) sulla terra, fra le quali Krishna e Rama, che nei due grandi poemi sanscriti, il Mahabharata e il Ramayana, sono rispettivamente un personaggio centrale e il protagonista; Shiva, dio dall’immenso potere erotico e allo stesso tempo inarrivabile asceta; e Devi, la Dea, in molteplici forme, nomi, miti e manifestazioni. Numerose sono poi le figure divine sussidiarie o minori. Non troppo diversamente dalla tendenza che rinnova ora anche il buddhismo, il rapporto fra l’individuo comune e la divinità si configura come bhakti (“devozione”, alla lettera “partecipazione”), cioè come reciproco afflato affettivo, in genere nei confronti di un essere supremo che per il fedele è il suo Dio con la maiuscola e del quale le altre divinità costituiscono una specie di contorno, in un’attitudine generale cui le definizioni sia di monoteismo sia di politeismo vanno strette. Prende dunque ora forma l’edificio che presto, nelle sue parti e nell’insieme, diventerà il veicolo fondamentale e il capolavoro dell’arte indiana, cioè il tempio hindu con le sue immagini, dove per il devoto è possibile incontrare la divinità che qui benevolmente si manifesta. All’inizio, ma non solo, è imitata la scelta buddhista di scavare sale di culto nella roccia, quindi templi di pietra sono propriamente costruiti, e il processo comincia a emergere appieno durante il regno dei Gupta (320-550 circa) e nell’area dell’India settentrionale e centrale dominata da questa grande dinastia. Le strutture di culto jaina partecipano essenzialmente della medesima vicenda, e spesso si affiancano a quelle hindu, anche se in numero minore. La fioritura è accompagnata dalla redazione dei testi definiti con il nome collettivo di Shilpashastra, “Trattati sulle arti applicate”, dove, in bilico fra teoria e pratica, è illustrato come rappresentare gli esseri superiori e sono descritte le forme possibili dei monumenti.

Grossomodo dall’inizio del primo millennio, e con forme e iconografie che si consolidano appunto in epoca Gupta, le divinità dell’induismo sono raffigurate in modo antropomorfo e così campeggiano nei rilievi che adornano i monumenti.


Vishnu dai tre passi (Trivikrama) sconfigge il demone Bali, dopo averlo illuso fingendosi un Nano (Vamana), tempio in grotta numero 3 (arte dei Primi Chalukya Occidentali, fine del VI secolo); Badami (Karnataka).

Vishnu nella sua discesa (avatara) come Varaha, Il Cinghiale, grotta numero 5 (arte Gupta, inizio del V secolo); Udayagiri (Madhya Pradesh).


Shiva Nataraja (“Re della danza”), tempio in grotta numero 1 (arte dei Primi Chalukya Occidentali, fine del VI secolo); Badami (Karnataka).

Di frequente l’immagine è la riproduzione condensata di un evento mitico: un motivo ricorrente prevede l’intervento e la lotta della divinità contro un asura, un “antidio”, in modo da ristabilire il giusto ordine (dharma) nel mondo. Si tratta comunque di un antropomorfismo relativo; come avviene per il Buddha, il corpo umano è infatti modificato allo scopo di esprimere una condizione e significati di ordine superiore. In particolare, per rendere visivamente esplicito il dominio che esercitano su ogni direzione dello spazio e la pluralità dei loro aspetti e delle loro funzioni, agli esseri divini sono normalmente attribuite molte braccia e in alcuni casi anche diverse teste. Le loro mani compiono varie mudra, come quelle del “non temere” (abhayamudra) oppure del dono (varadamudra), e sorreggono oggetti caratterizzanti, spiegati dai testi come simbolici di poteri e di virtù. Proprio di ciascuna divinità è un vahana, cioè un “veicolo” distintivo, di solito un animale: a Shiva appartiene il toro Nandin (o Nandi, il “Gioioso”), la cui statua sta di norma dinanzi ai templi a lui dedicati, il grande uccello Garuda accompagna Vishnu, dio solare, e il leone o la tigre è la cavalcatura della Dea maggiore, Durga. Alcune divinità hanno forma composita, in parte animale: così per esempio Ganesha, popolare dio dalla testa di elefante.
Esistono divinità che, con comoda terminologia, possono essere definite shanta, “pacificate”, oppure ugra, “terribili”, per propria natura, o perché assumono l’una o l’altra forma, e sono dunque raffigurate di conseguenza. In particolare alcune dee, come Kali o Chamunda, che l’induismo “ufficiale” ha assorbito da culti di comunità marginali, evocano nelle loro fattezze e nei loro attributi la distruzione e la morte. Con rarissime eccezioni, nella cella dei suoi templi Shiva è invece rappresentato per mezzo di una pietra fallica, il linga, che può essere adorno di uno o più volti del dio (mukhalinga, “linga con volto”). Il significato primario di linga è “segno”: da intendersi nei termini sia di identità sessuale, sia di presenza di Shiva. Il suo fusto si erge da un basamento considerato la vulva, yoni, della dea consorte, la quale è poi metafisicamente l’energia creatrice, la “potenza” (shakti) del dio. In aggiunta ricordiamo, di nuovo, l’attenzione costante per il concetto di buon auspicio. I monumenti sono intessuti del valore apotropaico della bellezza, veicolata soprattutto dai corpi per sempre giovani e riccamente ornati degli esseri sovrannaturali e delle figure di contorno: tutte le manifestazioni artistiche e culturali dell’India classica, d’altra parte, identificano nell’“ornamento” (alamkara) un complemento indispensabile per raggiungere un ideale di bellezza. Nella scultura templare evocano rigoglio e prosperità le apsaras, le splendide cortigiane degli dèi, le onnipresenti coppie umane e divine, gli altrettanto ubiqui fiori di loto e i vasi traboccanti di fogliame. Alcuni edifici sacri hindu, e segnatamente a Khajuraho e nell’Odisha, inscenano un esplicito erotismo: che è probabile riflesso di culti esoterici, o forse mira soprattutto a evocare la fecondità e il piacere.

La dea Lakshmi su un lago di loti, tempio monolitico del Kailasanatha (arte Rashtrakuta, VIII secolo); Ellora (Maharashtra).


Durga Mahishasuramardini, la dea che uccide il demone Bufalo, tempio in grotta noto come Mahishasuramardini Mandapa (arte Pallava, VII secolo); Mahabalipuram (Tamil Nadu).


La dea Kali-Chamunda, tempio di Kedareshvara (arte Hoysala, XII secolo); Halebid (Karnataka).

ARTE INDIANA
ARTE INDIANA
Cinzia Pieruccini
L’India è un Paese dalla lunghissima civiltà e dalla poderosa identità culturale, che un tempo coinvolgeva territori ancora più vasti del pur immenso Stato odierno. Il suo ricco patrimonio artistico esercita su di noi un fascino straordinario. Questo dossier offre un panorama della sua fase più antica, dalla remota civiltà sorta nella Valle dell’Indo alle massime creazioni artistiche ispirate alle religioni del subcontinente indiano (buddhismo, jainismo e induismo), fino agli esempi più spettacolari della grande architettura templare.