LE ULTIME IMPRESE
(1301/1302 CIRCA - 1318)

Francesca Girelli


Una volta rientrato a Pisa dopo il lungo soggiorno senese (1284-1297), Giovanni rimase ben poco nella sua città natale, se, come pare, la realizzazione del pulpito di Sant’Andrea a Pistoia fra il 1298 e il 1301 fu condotta in prevalenza tra le cave di marmo in Lunigiana e quest’ultima città toscana.

Con il volgere del secolo la situazione mutò e fino alla sua morte (avvenuta intorno al 1318) lo scultore soggiornò piuttosto stabilmente a Pisa, dove fece fronte a numerosi impegni.

Il 14 dicembre 1297, infatti, Giovanni era stato nominato “caputmagister” dell’Opera del duomo, l’istituzione che sovrintendeva all’erezione e alla cura delle fabbriche architettoniche dipendenti dalla cattedrale pisana: un incarico che lo rendeva di fatto il responsabile - e non solo l’artefice in senso stretto - delle molte imprese avviate da Burgundio di Tado che, col titolo di Operaio, dal 1298 fino al 1319, ne fu il regista “politico” e amministrativo.
È verosimile che, tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento, Giovanni, alla testa di una grande maestranza di scalpellini e muratori, si sia trovato a dirigere anche il cantiere del Camposanto, il monumentale cimitero fondato nel 1277 dall’arcivescovo pisano Federico Visconti per trasferirvi le sepolture che, in ordine sparso e spesso in stato di abbandono, circondavano la cattedrale fin dal momento della sua fondazione (1063). Riconoscere il suo intervento, però, non è semplice, dato che l’edificio avrebbe assunto l’aspetto attuale solo agli inizi del Quattrocento; verosimilmente, però, a inizio Trecento ne era già stato completato un primo nucleo, quella «Ecclesia Sancte Trinitatis» che, ricordata nei documenti, oggi non è più visibile, anche perché in parte inglobata nel Camposanto.
Resta aperto il problema di una vera e propria attività di Giovanni come architetto. A volte si tratta di ipotesi della critica (la chiesa di San Domenico a Perugia), ma altri casi sono meglio argomentabili: si pensi alla prosecuzione dei lavori all’esterno del battistero di Pisa e agli interventi, rispettivamente, di Massa Marittima e forse di San Quirico d’Orcia, tutti cantieri di natura tanto scultorea quanto propriamente architettonica. Competenze “ingegneristiche”, a ogni modo, dovette averne e dovevano essere note: nel 1298 Giovanni attendeva infatti con altri maestri alla misurazione della pendenza del campanile della cattedrale pisana (quello che oggi è universalmente noto come Torre di Pisa, iniziata nel 1173 da Bonanno Pisano), che da tempo aveva denunciato problemi di ordine statico.
I lavori di riordino della piazza, comunque, procedevano: le operazioni di sterro e spostamento delle sepolture andavano infatti di pari passo con la realizzazione di uno zoccolo marmoreo in forma di gradino che perimetrava il duomo. Per accentuarne la monumentalità, ne era stata prevista una decorazione scultorea che fu affidata a Giovanni e alla sua bottega: si trattava di una serie continua di rilievi - detti “gradule”- con motivi fitomorfi e teste umane, zoomorfe e mostruose, inquadrati in cornici rettangolari. L’insieme di queste figure, colte in atteggiamenti diversi ma sempre assai animate, costituisce, non solo in senso iconografico ma anche tipologico - trattandosi di una sorta di bordura - quanto di più vicino alla “drôlerie” gotico-oltralpina si possa riscontrare nella produzione giovannea: quello spirito che ritroviamo, per esempio, nelle oreficerie senesi tra Due e Trecento. Questi rilievi furono rimossi nel 1857 perché dissestati e le porzioni sopravvissute, assai consunte, sono oggi esposte presso il Museo dell’Opera del duomo di Pisa.
Appunto per l’Opera, e più precisamente per la cattedrale, Giovanni realizzò alprincipio del principio del Trecento una delle imprese più impegnative della sua carriera: un nuovo, monumentale pulpito marmoreo, configurato come una struttura autonoma, elevata su colonne.Destinato alla lettura delle Sacre scritture, era munito di due leggii; posto alla destra del recinto presbiteriale, ne sostituiva uno precedente - eseguito nel 1159-1162 da maestro Guglielmo -, che fu trasferito in quell’occasione nel duomo di Cagliari, nella parte di Sardegna allora controllata dai pisani.
Fu approntato, con pause e interruzioni, tra il 1301-1302 e il 1310; smontato nel 1595 dopo un disastroso incendio che funestò l’edificio, divise e riutilizzate in maniere differenti le sue parti, fu ricomposto in duomo solo nel 1926, nella sua attuale configurazione, probabilmente non del tutto conforme a quella originale. Si pone in linea di continuità con i pulpiti creati da Nicola Pisano (per il battistero di Pisa, 1258-1260, e per la cattedrale di Siena, 1265-1268) e con quello realizzato da Giovanni stesso per Pistoia (1298-1301), costituendone tuttavia un ulteriore sviluppo. Da un lato, infatti, rispetto a questi precedenti, il numero dei rilievi narrativi che circondano la cassa aumenta e sale a nove (sette disposti in maniera poligonale e due a fiancheggiare il ballatoio di accesso) mentre il loro profilo diviene curvo, per cui la forma del pulpito si approssima a quella di un anello in cui le specchiature si leggono in maniera continua. Al contempo, Giovanni trasforma l’intera struttura in una sorta di macro-scultura: alle sei colonne che reggono la cassa, di cui due poggianti su energici leoni stilofori che conculcano le loro prede, si accompagnano cinque sostegni figurati. Queste maestose cariatidi costituiscono la novità più vistosa di tutto l’insieme e il segno, da parte di Giovanni, di un interesse ininterrotto per il tema della statua libera di matrice classica: ormai abbandonata la consueta, insistita, violenta animazione dinamica tipica delle figure giovannee, le cariatidi pisane si fanno invece portatrici di un’emotività calma e riflessiva e con la loro stessa presenza, fisica e psicologica, quasi fossero persone di pietra, inducono lo spettatore a instaurare con la storia sacra un rapporto intimo e personale. Tra di esse spiccano l’immagine allegorica polisemica, snella ed elastica, della Pisa-Ecclesia-Caritas, con i due putti nervosi che suggono dal seno materno, e soprattutto il monumentale nudo sessuato di Ercole; qui le regole compositive della “ponderatio” e del contrapposto, ben lungi dall’attribuire un’aura di classica serenità alla figura, conferiscono invece all’eroe un atteggiamento malinconico, da profeta biblico, e la sua fisicità, atletica ma a un tempo asciutta, quasi prosciugata, tradisce con un brivido di sottile inquietudine il controverso rapporto di Giovanni Pisano con l’Antichità


Pulpito (1301/1302 circa - 1310); Pisa, cattedrale di Santa Maria Assunta.

Frammenti delle cosiddette “gradule” (1298-1300 circa), dalla zoccolatura che circondava la cattedrale pisana; Pisa, Museo dell’Opera del duomo.

Pulpito (1301/1302 circa - 1310), particolare con un Leone stiloforo; Pisa, cattedrale di Santa Maria Assunta.

Pulpito (1301/1302 circa - 1310), colonna centrale con la Pisa-Ecclesia-Caritas e Virtù; Pisa, cattedrale di Santa Maria Assunta.


Pulpito (1301/1302 circa - 1310), particolare con Ercole; Pisa, cattedrale di Santa Maria Assunta.

Il continuo bisogno dello scultore di superarsi, se da un lato lo conduce a sperimentare un registro grandioso nella parte basamentale del pulpito (si veda in tal senso la statua dell’Arcangelo Michele), dall’altro lo porta, invece, a estremizzare la sua ricerca sull’espressione impetuosa dei sentimenti nell’elaborazione delle specchiature, in cui fu assistito da un vasto stuolo di collaboratori. Un’umanità brulicante, che non trova pace neanche nel giorno del Giudizio, pervade i rilievi; gli astanti, piccoli e animati, si moltiplicano, le forme si allungano, divengono a tratti scarnificate e come traballanti, il sintetismo plastico raggiunge livelli inusitati per cui spesso le figure sono delineate con pochissimi, ben assestati colpi di trapano e scalpello. Il pathos, che raggiunge il culmine nella scena grandiosamente spaziata della Crocifissione squassa e deforma i corpi dei protagonisti.
Il senso, spiccatissimo e sofferto, che Giovanni dovette avere della dignità e del valore della propria ricerca artistica emerge con tutta evidenza nelle due epigrafi che corredano il pulpito, una alla base e l’altra attorno alla cassa; quest’ultime sono fedeli nel contenuto a quelle originali, seppur realizzate “ex novo” durante il rimontaggio del 1926, in quanto esemplate su trascrizioni antiche. Vi si lodano la sua grandezza artistica, che non gli avrebbe permesso di creare nient’altro che bellezza («tetra sculpere nescisset, vel turpia si voluisset»), lo sperimentalismo («plurima temptando»), la capacità di lavorare differenti materiali («sculpens in petra, ligno, auro splendida»; si vedano a tal proposito il giovanile Crocifisso in avorio, 1275 circa, e la Madonna col Bambino eburnea, già parte di un più ampio complesso per l’altare del duomo di Pisa, 1300 circa), e la sua generosità verso le generazioni future di artisti («gratis discenda parando»). Vi si rende conto, inoltre, delle pene che dovettero grandemente affliggerlo a causa delle invidie suscitate, nonché di una certa insofferenza dovuta alla percezione di un ingiusto divario tra i propri meriti e il riconoscimento economico che gli veniva tributato. Si tratta di una straordinaria e innovativa attestazione di autocoscienza, che fa di Giovanni, per certi aspetti, un artista moderno, aprendo uno spiraglio sulla sua psicologia e sul suo temperamento, una condizione eccezionale a cui corrisponde lo speciale interesse dimostrato dalle istituzioni del Comune per il suo lavoro. Ai dissapori intercorsi tra lo scultore e il già ricordato Burgundio di Tado, con il quale Giovanni entrò in rotta quasi subito, si rimediò in modo del tutto inusitato: nel 1305 nel Breve del Comune (cioè gli statuti) fu inserito un codicillo che prescriveva, qualora tra i due fossero sorti contrasti, di affiancare al primo Operaio un’altra figura, con la stessa carica, “ad interim”, che avrebbe gestito i rapporti con lo scultore al fine di portare a termine il pulpito.


Pulpito (1301/1302 circa - 1310), particolare con l’Arcangelo Michele; Pisa, cattedrale di Santa Maria Assunta.

Pulpito (1301/1302 circa - 1310), particolare con la Natività; Pisa, cattedrale di Santa Maria Assunta.


Pulpito (1301/1302 circa - 1310), particolare della Strage degli innocenti; Pisa, cattedrale di Santa Maria Assunta.


Pulpito (1301/1302 circa - 1310), particolare con la Crocifissione; Pisa, cattedrale di Santa Maria Assunta. Nel pulpito per la cattedrale pisana Giovanni sperimenta un nuovo modo, sintetico e graffiante, di lavorare il marmo e riesce a infondere nei protagonisti delle scene sacre un senso di dolore universale; il dramma assume forme grandiose da tragedia, sottoponendo uomini e animali a un’inedita deformazione espressiva.

In questi stessi anni Giovanni ebbe occasione di tornare a confrontarsi svariate volte con il tema - da lui già affrontato in giovinezza - della Madonna col Bambino. Al 1305 circa risale l’insieme di statue approntate dal maestro per un committente d’eccezione, Enrico Scrovegni, mercante padovano celebre per avere commissionato a Giotto la decorazione della propria cappella privata; destinate forse all’altare di questo edificio - come sono oggi esposte - o alla tomba di Enrico, la Madonna col Bambino e i due Angeli cerofori costituiscono uno dei più riusciti esperimenti dello scultore sul tema della statua libera in movimento: carichi di peso, quasi grevi, in rotazione verso la figura di Maria i due angeli; lei slanciatissima e quasi immateriale nel lieve “hanchement” che le conferisce un’eleganza regale. Intorno al 1306 (ma secondo alcuni ben prima della fine del Duecento), Giovanni, coadiuvato da più aiuti, compose per la porta orientale del battistero pisano un gruppo - corredato di firma e iscrizione - con al centro una Madonna col Bambino, San Giovanni evangelista sulla destra e sulla sinistra il Battista che presenta il committente, forse l’Operaio dell’Opera di San Giovanni, Piero di Cione, effigiato con sintesi efficace e impietoso verismo in uno dei pochi ritratti propriamente detti che si possano attribuire allo scultore. Intorno al 1312- 1313 risalirebbero invece la Madonna della Cappella della cintola del duomo di Prato, una Vergine conservata presso la Skulpturensammlung und Museum für Byzantinische Kunst di Berlino, dal cipiglio severo, e, secondo alcuni, anche un’altra oggi al Museo nazionale di San Matteo a Pisa ma proveniente dalla chiesa di Santa Maria della Spina. 
Madonna col Bambino tra san Giovanni evangelista e un donatore (Piero di Cione?) presentato da san Giovanni Battista (1306 circa), dalla lunetta del portale est del battistero pisano; Pisa, Museo dell’Opera del duomo.

Madonna col Bambino tra san Giovanni evangelista e un donatore (Piero di Cione?) presentato da san Giovanni Battista (1306 circa), dalla lunetta del portale est del battistero pisano, particolare del Donatore (Piero di Cione?); Pisa, Museo dell’Opera del duomo. A quasi trent’anni dalla realizzazione della Fontana maggiore di Perugia, Giovanni Pisano torna in questo gruppo di statue a confrontarsi con il tema del ritratto, da lui poco praticato nel corso della sua carriera. L’effigiato – forse Piero di Cione, Operaio dell’Opera di San Giovanni intorno al 1306 –, è qui rappresentato con crudo senso della realtà, nelle sue sgraziate ma precisamente riconoscibili fattezze.


Madonna col Bambino (1312 circa); Prato, cattedrale di Santo Stefano.


Madonna col Bambino (1312 circa); Berlino, Staatliche Museen zu Berlin, Skulpturensammlung und Museum für Byzantinische Kunst.

Intorno a queste stesse date, inoltre, il Comune di Pisa commissionò a Giovanni un gruppo marmoreo di tre statue per celebrare l’arrivo, il 6 marzo 1312, dell’imperatore Enrico VII in città. L’insieme, oggi conservato mutilo nel locale Museo dell’Opera del duomo ma un tempo collocato sul portale della cattedrale detto di San Ranieri, rappresentava al centro la Vergine con il Figlio seduta in trono, sulla sinistra l’imperatore stesso genuflesso presentato da un angelo e sulla destra, nella medesima posizione, una figura femminile, simbolizzante Pisa come Caritas nell’atto di allattare due putti.
Proprio alla committenza di quest’opera è legata l’ultima impresa documentata di Giovanni, compiuta tra il 1312 e il 1313- 1314 circa, quando lo scultore aveva ormai quasi settant’anni, in quello che per noi appare come un estremo, straordinario sussulto creativo. Si tratta del monumento funebre dedicato a Margherita di Brabante, moglie dell’imperatore Enrico VII, defunta nella notte fra il 13 e il 14 dicembre 1311 a Genova, dove la coppia si trovava sulla via verso Pisa; per questa ragione, e forse anche per altre, il sepolcro fu eretto nel capoluogo ligure e collocato nell’abside maggiore della chiesa di San Francesco di Castelletto. Nel corso dei secoli venne spostato, a quanto si sa, almeno una volta all’interno dell’edificio; diviso e alla fine disperso, è andato in buona parte distrutto, come la chiesa stessa. Se ne conoscono però alcuni elementi - in parte musealizzati (Genova, Museo di Sant’Agostino e Galleria nazionale di palazzo Spinola), in parte in collezioni private - che hanno permesso alla critica di avanzare ipotesi sulla sua originaria configurazione.

Madonna col Bambino e Pisa-Caritas (1312 circa), dal gruppo già sul portale del duomo di Pisa detto di San Ranieri; Pisa, Museo dell’Opera del duomo.


Madonna col Bambino e Pisa-Caritas (1312 circa), dal gruppo già sul portale del duomo di Pisa detto di San Ranieri; Pisa, Museo dell’Opera del duomo.

Organizzato su più livelli, è probabile che il monumento fosse concepito come una struttura indipendente dalla parete; il fulcro era costituito dalla celebrazione di Margherita come santa, rappresentata non giacente ma per ben due volte in maniera dinamica: una prima volta in atto di addormentarsi sorretta da due angeli, con un richiamo diretto all’iconografia della “Dormitio Virginis” (il Transito della Vergine), e una seconda, al di sopra, in atto di risvegliarsi davanti al Creatore. È proprio questa scena, composta di tre statue lavorate a tutto tondo, il frammento più importante sopravvissuto: la regina, dal volto radioso e increspato da un leggero sorriso, le labbra appena dischiuse in un dolce respiro, viene sollevata da due accoliti - con fatica, lottando contro la gravità - alla visione di Dio, in anima e corpo, un corpo glorioso, cioè carnale e spirituale insieme; una “elevatio” che avviene non alla fine dei tempi ma nel momento stesso del suo trapasso, come ricompensa immediata per un’esistenza spesa al servizio delle virtù cristiane. Questa immagine della sovrana - un “ritratto”, anche se non in senso stretto, perché effigiante non la Margherita terrena (che era, si sa, molto diversa) ma la sua “figura” celeste - costituisce un “unicum” nella storia della scultura gotica europea, e anche nella produzione di Giovanni. Qui per la prima volta lo scultore si trovò a misurarsi, giungendo a esiti eccezionali, con il tema del sepolcro monumentale, una tipologia spesso standardizzata che egli seppe tuttavia adattare a questo speciale contenuto, attingendo anche a un registro formale nuovo, sperimentando un’inedita distensione rispetto alla sua precedente carica espressiva, a tratti quasi brutale, e giungendo a un sintetismo nuovo, fatto di grandi masse compatte su cui la luce trascorre morbidamente.

Gruppo dell’Elevatio del corpo glorioso della regina Margherita di Brabante, dal suo distrutto sepolcro già nella chiesa genovese di San Francesco di Castelletto (1312/1313 - 1314 circa); Genova, Museo di Sant’Agostino.


Gruppo dell’Elevatio del corpo glorioso della regina Margherita di Brabante, dal suo distrutto sepolcro già nella chiesa genovese di San Francesco di Castelletto (1312/1313 - 1314 circa), particolare del volto di Margherita di Brabante; Genova, Museo di Sant’Agostino.

Anche se non sono eloquenti, le fonti ci informano comunque che esistevano molte altre statue di varie dimensioni. A oggi se ne conoscono una raffigurante la Giustizia, le sole teste della Fortezza e della Temperanza, una mutila Madonna col Bambino, un Dolente acefalo, uno integro e altri frammenti.
Nonostante la chiara fama di cui doveva godere a Pisa, prima del termine della sua vita, Giovanni tornò assai probabilmente a Siena; qui, dove già dal 1299 possedeva una casa, è documentato il 9 marzo 1314 e nel 1319 è dichiarato già morto. La sua sepoltura si ritrova, non a caso, sul fianco sinistro del duomo di Siena, in prossimità della facciata, forse l’impresa più complessa da lui mai gestita, e di certo la più sofferta, perché abbandonata in corso d’opera.
Alla sua morte il maestro dovette lasciare un’impressione profonda sugli scultori suoi contemporanei, specialmente pisani, più o meno giovani, e un’eredità formale complessa da gestire: il suo linguaggio era nutrito troppo profondamente della sua personale, veemente sensibilità; chi a lui si rifece riuscì senza dubbio a imitarlo, più o meno pedissequamente, oppure - ed è il caso di artefici come Tino di Camaino e Giovanni di Balduccio - partì dalla sua ricerca per cercare di emanciparsene, dando il via a un’altra stagione della scultura gotica in Italia.

La Giustizia, dal distrutto sepolcro di Margherita di Brabante già nella chiesa genovese di San Francesco di Castelletto (1312/1313 - 1314 circa); Genova, Galleria nazionale di palazzo Spinola.


Testa della Fortezza, dal distrutto sepolcro di Margherita di Brabante già nella chiesa genovese di San Francesco di Castelletto (1312/1313 - 1314 circa); Genova, Museo di Sant’Agostino.

GIOVANNI PISANO
GIOVANNI PISANO
Clario Di Fabio - Gianluca Ameri - Francesca Girelli
Giovanni Pisano (Pisa 1248 - Siena 1315 circa) è uno dei grandi protagonisti della rinascita delle arti in Italia tra XIII e XIV secolo. Scultore e architetto, si forma col padre Nicola a Pisa nel cantiere del battistero di Pisa, in quello del duomo di Siena e della Fontana maggiore a Perugia. Subentra al padre nella guida della bottega e conduce imprese importanti a Siena, a Pistoia (dove lascia il suo capolavoro nel pulpito di Sant’Andrea), a Pisa (pulpito del duomo), a Padova. La sua scultura rinnova il linguaggio artistico italiano fondendo la tradizione di solida monumentalità di origine romanica con la grazia stilizzata e decorativa della scultura gotica francese.