I CODICI

Anche se il numero dei codici di cui si dispone per capire la cultura azteca è molto limitato, la loro importanza assieme al complesso delle fonti etnostoriche non potrà mai essere sopravvalutato. Infatti è solo grazie a questi documenti che riusciamo ad andare, come ha sottolineato lo scrivente, oltre la «barriera del significato », a dare un senso e far parlare un complesso di monumenti e di siti archeologici altrimenti inevitabilmente destinati a restare muti. 

Il numero dei codici di cui si dispone è piuttosto limitato a causa: 1) della loro intrinseca fragilità, dello scorrere del tempo e dell’incuria degli uomini; 2) dello zelo di alcuni missionari nel cancellare ogni traccia del passato “idolatrico” delle popolazioni indigene; 3) dal fatto che dopo la vittoria contro Azcapotzalco il re Itzcoatl e i più alti esponenti dell’oligarchia di Tenochtitlan fecero bruciare i codici che raccontavano la storia dei Mexica per non farli cadere nelle mani del “volgo”. 

Alcuni codici sono di epoca precolombiana, altri sono del periodo del contatto pur essendo sostanzialmente preispanici, altri ancora sono del Primo Periodo Coloniale, cosa, però, che non inficia la loro attendibilità perché in genere non è difficile capire se sono copie fedeli di originali indigeni. Alcuni trattano temi storici, altri temi sociali o tributari, altri ancora sono dedicati ai rituali e ai calendari. Da quest’ultimo punto di vista di solito sono presi in esame anche codici delle regioni vicine alla Valle del Messico, che condividevano, per questi aspetti, i tratti culturali dei Mexica. Nel complesso offrono uno spaccato sorprendente, anche dal punto di vista artistico, dell’abilità degli scribi. Accanto ai codici preispanici o che sono copie fedeli di originali preispanici, una posizione a parte e fondamentale è occupata dal Codex florentinus (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana), una vera e propria enciclopedia della cultura azteca. Il codice è il risultato del lavoro di Bernardino de Sahagún, che condusse una sorta di ricerca antropologica “ante litteram”, pensata per conoscere in dettaglio il mondo indigeno e sradicare più efficacemente le sopravvivenze pagane.


Alcune delle oltre duecento immagini del Codex florentinus, conservato nella Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze. Artigiani specializzati nella realizzazione di oggetti decorati con penne, f. 369r.

Danza dei giovani della “Casa del Canto”, f. 278r.


Festa per la nascita di un figlio, f. 312r.


Esecuzione delle sentenze capitali, f. 276r.

I mosaici

Le rarissime opere decorate a mosaico rappresentano una delle espressioni di più grande impatto dell’arte azteca, anche se in questo caso sarebbe opportuno scrivere azteca-mixteca, dato che i Mexica nella realizzazione di queste opere dipendevano in parte dagli artisti mixtechi. Si caratterizzano per l’assoluta prevalenza del turchese, anche se sono presenti altri materiali (conchiglia, giadeite, malachite, pirite, ossidiana ecc.). Le tessere del mosaico venivano incollate su una base, in genere di legno, mediante una resina vegetale. 

Il ventaglio di queste realizzazioni è abbastanza ampio e va dalle maschere ai coltelli di selce, dagli scudi alle piccole sculture. Altrettanto vario è il ventaglio dei soggetti rappresentati che può andare dalle divinità alle scene di guerra.


Coltello rituale con impugnatura a mosaico, realizzato da artisti mixtechi per committenti aztechi; Londra, British Museum.


Impugnatura a mosaico di coltello rituale, realizzato da artisti mixtechi per committenti aztechi; Roma, Museo delle Civiltˆ.

Maschera a mosaico (1428-1519); Roma, Museo delle Civiltà.


Maschera a mosaico, probabilmente raffigurante Xiuhtecuhtli, realizzata da artisti mixtechi per committenti aztechi; Londra, British Museum.

Le maschere potevano essere collocate sulle statue delle divinità o potevano essere portate dai più alti sacerdoti e dagli stessi imperatori durante i rituali. Tra le più straordinarie realizzazioni delle opere a mosaico senza dubbio si devono segnalare lo Xiuhcoatl e il coltello di selce del Museo delle Civiltà di Roma e il Serpente bicefalo e lo Xiuhtecuhtli del British Museum a Londra. La maschera del Museo delle Civiltà raffigura il volto di una divinità che emerge dalle fauci di un serpente, porta una “nariguera” e presenta sulla fronte due “xiuhcoatl” intrecciati. Potrebbe rappresentare la divinità mixteca 9 Canna, le cui equivalenti azteche potevano essere Chalchiuhtlicue, la dea delle acque terrestri, oppure Tlazolteotl, la dea degli amori carnali. Non si può, tuttavia, escludere che la maschera nel suo complesso rappresenti uno “xiuhcoatl”, dato che è abbastanza simile alle teste dei due “serpenti di fuoco” della parte inferiore del cerchio più esterno della Pietra del Sole

Il Serpente bicefalo del British Museum era probabilmente usato come pettorale. Il corpo del serpente è decorato a mosaico solo sul lato esterno, mentre la parte interna, originariamente, era dorata. Nelle teste, invece, la decorazione è a tutto tondo. Dato che Maquizcoatl (“Serpente bicefalo”) è anche uno dei nomi di Huitzilopochtli, è probabile che l’oggetto fosse associato al dio etnico dei Mexica.


Serpente bicefalo (1428-1519); Londra, British Museum.

La scultura

Parlando della scultura azteca è doveroso partire da quanto scrisse Henry Moore, sia per la posizione che l’artista britannico occupa nel quadro dell’arte del Novecento, sia perché tra i grandi che hanno ripreso gli stilemi delle culture “altre” Moore è il solo a riconoscere e a spiegare il rapporto tra le sue opere e quelle che lo avevano ispirato, durante le sue frequentissime visite al British Museum degli anni Venti: «Nel momento in cui scoprii l’arte messicana, essa mi apparve vera e valida, in parte perché fui all’improvviso colpito dalle sue somiglianze con le sculture dell’XI secolo che avevo visto da bambino nelle chiese dello Yorkshire. La sua “pietricità”, termine col quale intendo la sua veridicità nei confronti del materiale, il tremendo potere senza perdita di sensibilità, la sua sorprendente varietà e fertilità nelle scoperte formali, il suo avvicinarsi a una concezione piena, tridimensionale della forma, la rende, a mio avviso, insuperata nei confronti della scultura in pietra di qualsiasi altro periodo». 

In particolare queste parole di Moore sono utili perché col termine “pietricità” (in inglese: “stoniness”) esse colgono effettivamente l’affinità tra gli artisti aztechi e questo materiale (basalto, andesite, diorite, arenaria, calcare ecc.). Individuare le ragioni di questa sintonia potrebbe essere difficile. Oppure, al contrario, potrebbe essere molto facile. E in questo caso, ricordando che la committenza voleva utilizzare la scultura e in particolare le sculture monumentali come strumento di propaganda, si può ipotizzare che per circa due secoli abbia concentrato nella scultura i migliori artisti di Tenochtitlan e delle città conquistate, mettendo a loro disposizione tutte le risorse necessarie.


Pietra di Motecuhzoma Ilhuicamina (1460-1470); Città del Messico, Museo Nacional de Antropología.

In ogni caso, quali che siano le ragioni della straordinaria fioritura della scultura in pietra, occorre ricordare che essa, oltre a rendere più efficaci le preghiere rivolte agli dei, doveva servire a celebrare i Mexica e la loro città. Pertanto non stupisce che le opere migliori siano posteriori al 1430 o al 1480 (Bankes e Baquedano, 1992; Pazstory, 1983; Umberger, 1981). 

Peraltro, bisogna anche aggiungere che la nostra percezione delle sculture azteche è condizionata dal fatto che non vediamo sempre le loro opere come le vedevano loro, non tanto per l’abisso culturale che ci separa (cosa che ovviamente non cancella valutazioni oggettivamente convergenti sul piano strettamente estetico, cioè della percezione del gioco delle forme e dei volumi), ma perché molte erano dipinte o erano ornate di elementi decorativi che non si sono conservati e che erano significanti essenziali per la committenza. 

È difficile dire se Moore (e noi con lui), vedendole dipinte o coperte in parte o in toto da decorazioni varie, avrebbe dato lo stesso giudizio e avrebbe parlato di pietricità. 

Poco importa, il risultato degli artisti che lavoravano la pietra è quello che vediamo, se poi la committenza avesse arricchito o rovinato le opere è un’altra questione. Una questione che non avrà mai una risposta. 

Se si analizza oggi la scultura azteca, applicando, come è inevitabile, i nostri strumenti interpretativi, si osserva che in essa coesistono due correnti artistiche molto diverse: la corrente del naturalismo e quella che, grosso modo, rinvia o combina alcuni degli “ismi” dell’arte occidentale del XX secolo e in particolare: il surrealismo, l’astrattismo, l’espressionismo astratto e il minimalismo. Dato che nella società azteca le sculture monumentali dovevano celebrare la potenza dei Mexica e la religione aveva una funzione pervasiva e totalizzante, ovviamente, gli artisti dovevano semplicemente limitarsi a mettere in pratica le indicazioni della committenza. Ma proprio il fatto che la committenza si concentrasse quasi esclusivamente solo sui contenuti e sui messaggi, lasciava agli artisti la più assoluta libertà sulle scelte espressive da utilizzare di volta in volta. E da questa assoluta libertà nasceva la ricerca delle soluzioni formali più adeguate al materiale che portava alla pietricità di cui parla Moore. 

Il naturalismo dell’arte azteca è piuttosto diverso dal naturalismo della scultura ellenistica o rinascimentale, perché non è interessato a personalizzare e individualizzare i soggetti rappresentati, ma si limita a renderli facilmente identificabili per mostrarne l’“essenza”. E proprio per questa ragione è più corretto chiamarlo: naturalismo idealizzato. 

Applicando a questa corrente la distinzione aristotelica tra “accidenti” e “sostanza”, si potrebbe dire che esso vuole rappresentare la sostanza e non è interessato agli accidenti, perché vuole mostrare un soggetto chiaramente identificabile, che possa comunicare un messaggio chiaro e facilmente comprensibile. Le sculture di divinità, personaggi ed elementi architettonici associati ai rituali, ovviamente, presentano tratti e dettagli ben precisi, ma questo avviene solo quando questi dettagli, che possono essere sovradimensionati, servono a specificare un particolare messaggio o distinguere una divinità dall’altra o a denotare una serie di contenuti.


Pietra di Tizoc (1482-1486); Città del Messico, Museo Nacional de Antropología.

Di solito l’esigenza di comunicare messaggi articolati è alla base delle opere che possono ricordare gli “ismi” citati più sopra. Le sculture con caratteristiche che potrebbero ricordare il surrealismo possono essere realizzate, per esempio, quando gli artisti riuniscono in una figura antropomorfa simboli di elementi zoomorfi o geometrici oppure quando inventano coltelli di selce antropomorfi solo con l’applicazione di piccoli elementi che rappresentano gli occhi e i denti. Parallelamente opere che potrebbero ricordare l’astrattismo e l’espressionismo astratto possono essere realizzate, per esempio, quando si concentrano in un’opera solo motivi stilizzati, a volte geometrici, che sono il risultato di processi di condensazione, compressione e stilizzazione in parte già presenti nelle culture precedenti e che possono essere utilizzati come sintagmi di un paratesto, che ha il compito di comunicare un determinato contenuto. 

Al contrario, le opere che ricordano per certi versi il minimalismo hanno un’origine diversa e nascono quando il naturalismo idealizzato a forza di togliere “accidenti” da un soggetto finisce per darne una sintesi essenziale estremamente sublimata. 

Non sappiamo se ci fossero artisti che preferivano esprimersi in un modo o nell’altro, certo è che le due correnti di cui si è parlato più sopra dipendono sempre dal messaggio che si voleva comunicare e, se necessario, esse possono coesistere senza problemi nella stessa opera. Lo dimostrano la Pietra di Motecuhzoma Ilhuicamina e la Pietra di Tizoc, che superiormente presentano gli elementi geometrici e stilizzati del classico motivo solare dei Mexica e sulla costa i quadranti che mostrano in modo subnaturalistico la cattura di un prigioniero. Questa coesistenza è ancora più evidente nella Pietra dell’Incoronazione di Motecuhzoma Xocoyotl dell’Art Institute di Chicago, che su un lato presenta una densa composizione astratta-surrealista e dall’altro la data 1 Coniglio dove la testa dell’animale è incisa in una delle più chiare e sintetiche espressioni del naturalismo idealizzato. In generale queste considerazioni valgono tanto per il tutto tondo quanto per l’altorilievo e il bassorilievo. 

In quest’ultimo caso, tuttavia, si può osservare che, a differenza di quanto avviene nei bassorilievi maya e soprattutto in quelli di Palenque, gli artisti aztechi non accostano quasi mai incisioni “pure” e isolate ai soggetti in bassorilievo. 

La scultura azteca, a differenza di quella di altre culture della Mesoamerica, non è affatto “omocentrica”. È ben vero che essa presenta parecchie raffigurazioni antropomorfe, ma, a ben vedere, si tratta di opere che rappresentano delle divinità, scelta che chiaramente è espressione del fatto che gli Aztechi pensavano di vivere in «un mondo instabile e minacciato» (Soustelle, 1977). 

Inoltre, a differenza di quanto avviene tra i Maya del Periodo Classico, nella scultura azteca sono molto rare le raffigurazioni dei sovrani. Quando questo avviene, essi sono rappresentati in modo essenziale, stilizzato, quasi marginale e assolutamente non celebrativo. Infatti, mentre tra i Maya del Periodo Classico esisteva il sistema politico della monarchia divinizzata, che faceva del re un vero e proprio dio, gli Aztechi avevano ereditato dalle precedenti culture dell’Altopiano Centrale una certa diffidenza nei confronti della divinizzazione del sovrano. Tra di loro, infatti, l’imperatore era un “primus inter pares” che, tra l’altro, era eletto (cioè scelto) dai più alti esponenti dell’oligarchia. Significativamente, non esistono sculture a tutto tondo o di grandi dimensioni di sovrani e gli imperatori sono raffigurati poche volte, solo in bassorilievo in opere di piccole dimensioni. 

Per contro, pur non essendo particolarmente frequenti, non sono rare le raffigurazioni di animali, che, probabilmente, erano utilizzate come simboli o alter ego di divinità o come sintagmi del paratesto costituito dal complesso delle altre sculture dell’ambiente originario. 

Per collocare nel tempo le sculture più importanti e più belle, si deve partire dalle date incise su queste opere e dalla consapevolezza che, in genere, esse rinviano ai sovrani di Tenochtitlan che le fecero realizzare.


Aquila cuauhxicalli; Città del Messico, Museo del Templo Mayor.

Giaguaro cuauhxicalli; Città del Messico, Museo Nacional de Antropología.


Pietra dell’Incoronazione di Motecuhzoma Xocoyotl (1503); Chicago, Art Institute Chicago.


Xochipilli di Tlalmanalco (1200-1521); Città del Messico, Museo Nacional de Antropología.

Particolarmente belle e interessanti sono alcune sculture che esamineremo adesso nel dettaglio. Iniziamo con lo Xochipilli di Tlalmanalco (1200-1521) conservato a Città del Messico nel Museo Nacional de Antropología. Si tratta della più celebre raffigurazione di Xochipilli e proviene da Tlalmanalco. Il dio porta una corona di penne d’airone, indossa una maschera e ha motivi floreali su tutto il corpo. Siede su di un trono decorato con il simbolo della preziosità e con fiori e farfalle, porta una maschera e una corona di penne d’airone. Xochipilli (“Principe Fiore”) era il Dio dei Fiori e rappresentava il piacere della danza, della musica, del gioco, della pittura e della creazione artistica, ma anche le derive alle quali poteva portare la mancanza di controllo delle pulsioni del piacere. Tuttavia Xochipilli non rappresentava solo i fiori che inebriano col loro profumo o i loro colori, ma anche i fiori destinati a trasformarsi in frutti. 

Sotto questo aspetto particolare si fondeva con Cinteotl (“Dio Pannocchia di Mais”) che rappresentava non solo il mais, ma in genere tutte le piante coltivate. Entrambi, dunque, erano espressione del potere generativo della natura. La scultura trova nel suo complesso un perfetto equilibrio tra la grazia del corpo e il volto deciso, forte, modificato dalla maschera.


Tlaloc sovrapposti (1390-1503); Città del Messico, Museo del Templo Mayor.

Un’altra scultura degna di nota è la Coyolxauhqui (“Adornata con Campanelli”) del Museo del Templo Mayor di Città del Messico. Raffigura il corpo smembrato della dea, i cui arti smembrati potrebbero alludere o rappresentare le fasi della Luna. 

Coyolxauhqui presenta palle di piume sui capelli e i campanelli che la caratterizzano e le danno il nome sulle guance. Porta un copricapo semilunato con ciuffo di penne e le cinge la vita una cintura di serpenti corallo a due teste con un cranio come pendente. 

Sugli arti smembrati compaiono serpenti corallo e teste di serpente stilizzate. La figura principale si caratterizza per il contrasto tra il torso della dea e gli arti, e quindi tra la figura trapezoidale al centro del disco e la corona circolare degli elementi che lo contornano, contrasto centro-periferia che è accentuato dalla contrapposizione tra la nudità-assenza di decorazione del torso e l’“horror vacui” degli arti e della testa. 

Ricordiamo quindi la Pietra del Sole (1479, Città del Messico, Museo Nacional de Antropología), costituita da una serie di cerchi o registri concentrici che si leggono dall’interno verso l’esterno. Al centro si trova il volto che raffigura la divinità solare, Tonatiuh, anche se alcuni ritengono che esso sia una combinazione di due divinità: Tlaltecuhtli, il dio della terra, e Tonatiuh. La lingua estroflessa, simbolo del coltello di selce, indica probabilmente che il Sole per muoversi nel cielo deve nutrirsi del sangue e del cuore delle vittime sacrificali.


Coyolxauhqui (“Adornata con Campanelli”) (1469); Città del Messico, Museo del Templo Mayor.


Pietra del Sole (1479); Città del Messico, Museo Nacional de Antropología.

Notevole è poi lo Xiuhcoatl (1480- 1521) conservato a Città del Messico, nel Museo Nacional de Antropología. 

Lo “xiuhcoatl” (“serpente di fuoco”) era l’arma usata da Huitzilopochtli per fare a pezzi Coyolxauhqui (la Luna) e permettere così la vittoria della luce sulle tenebre. Il nome stesso rivela che era associato a Xiuhtecuhtli, il dio del fuoco, del centro e dell’anno. 

Questo reperto è una delle più geniali creazioni di arte astratta degli Aztechi. 

È formato dalla parte superiore di una testa di serpente fortemente stilizzata, arricchita da motivi geometrici e da una proliferazione di denti, che si fonde con una piattaforma quadrata pure decorata con motivi geometrici. Sulla parte superiore della testa sono stati collocati elementi globulari, simbolo delle stelle e delle costellazioni. 

La scultura di Quetzalcoatl (1428- 1519) (“Serpente Quetzal”, “Serpente Piumato”) conservata a Parigi, al Musée du Quai Branly, rappresenta il dio - un dio soprattutto creatore, che ha dato vita agli uomini, ha dato loro il mais e partecipa alla creazione delle “anime” di tutte le persone - come un serpente con le penne avvolto nelle sue spire. Tra il ristretto numero (meno di dieci in tutto il mondo) delle opere simili che presentano un volto umano tra le fauci di un rettile, questa è l’unica che fa affiorare le mani e i piedi della divinità dal corpo del serpente. Il dio nel suo aspetto ofiomorfo presenta la lingua bifida e più sotto una cavità che doveva contenere il “cuore” della statua. Sopra la testa sono raffigurati due elementi a stuoia, che potrebbero essere associate alle piogge. Nel suo aspetto antropomorfo il dio presenta un volto giovanile con due orecchini discoidali con pendenti a voluta e mani e piedi che sembrano tenere e integrarsi con le spire. Tra le tipologie dei serpenti piumati questa è senza dubbio la più bella per l’equilibrio tra la staticità della figura e il movimento delle penne, tra l’espressionismo della composizione nel suo complesso e il naturalismo del volto e delle mani e dei piedi, tra l’“horror vacui” delle penne e l’essenzialità degli elementi umani, messi in evidenza da una levigatura che li rende luminosi. 

Concludiamo questo parziale elenco con il Teocalli della “Guerra Sagrada”, ora al Museo Nacional de Antropología di Città del Messico. Questo reperto raffigura la miniatura di una piramide con tempio sommitale al quale conduce una scalinata di tredici gradini. 

Fu scoperto nel 1831 tra le fondazioni del Palazzo Nazionale, ma fu recuperato solo nel 1926. Il monumento, attraverso un complesso linguaggio di simboli, proclama la centralità di Tenochtitlan nel cosmo. 

L’elemento che lo pervade e lo caratterizza è il glifo della guerra atl tlachinolli, che esce dal becco dell’aquila del glifo di Tenochtitlan e di tutti gli dei raffigurati. Il significato del messaggio è molto semplice: il dominio mexica è il fine ultimo del Quinto Sole e il sangue dei sacrificati è lo strumento di questo dominio.


Xiuhcoatl (“Serpente di Fuoco”) (1480-1521); Città del Messico, Museo Nacional de Antropología.

Quetzalcoatl (“Serpente Quetzal”, “Serpente Piumato”) (1428-1519); Parigi, Musée du Quai Branly Jacques Chirac.


Coatlicue Mayor (1491); Città del Messico, Museo Nacional de Antropología.


Monolito di Tlaltecuhtli (“Signore della Terra”) (1502); Città del Messico, Museo del Templo Mayor.

Teocalli della “Guerra Sagrada” (1507); Città del Messico, Museo Nacional de Antropología. In alto è raffigurato un tempio sommitale col glifo del Quinto Sole al centro del motivo solare azteco, che è collocato tra Tezcatlipoca e Huitzilopochtli. Sulle balaustre ai lati della scalinata compaiono, superiomente, due “cuauhxicalli” (vasi dell’aquila), i contenitori per i cuori dei sacrificati, e, inferiormente le date degli anni 1 Coniglio (1506) e 2 Canna (1507, anno della cerimonia del Fuoco Nuovo).


Ecco una delle più interessanti varianti del glifo di Tenochtitlan: dalla bocca del Dio della Terra (o di Chalchiutlicue) spunta un cactus dai frutti-cuori sul quale si trova un’aquila che tiene nel becco il glifo della guerra “atl tlachinolli”.


Ecco una delle più interessanti varianti del glifo di Tenochtitlan: dalla bocca del Dio della Terra (o di Chalchiutlicue) spunta un cactus dai frutti-cuori sul quale si trova un’aquila che tiene nel becco il glifo della guerra “atl tlachinolli”.

Le terrecotte

Anche per questi oggetti si deve considerare che per l’intrinseca fragilità del materiale si ha una visione molto parziale della produzione dell’arte azteca. 

Il quadro delle tipologie realizzate dagli artisti mexica è molto vario e va dalle sculture monumentali alle ciotole minute. 

Le sculture monumentali si collocano nella corrente del naturalismo idealizzato e si limitano a raffigurare divinità e guerrieri. Anche se ripropongono gli stessi stilemi delle sorelle in pietra, sul piano estetico si collocano a un livello nettamente inferiore. Bisogna considerare, tuttavia, che in alcuni casi, le sculture riportate alla luce sono un po’ dei “manichini”, che dovevano essere arricchiti con decorazioni di varia natura che non si sono conservate. Lo dimostrano, per esempio, i fori sulla testa dei due Mictlantecuhtli del Templo Mayor, in cui erano inseriti materiali che potevano rappresentare capelli o copricapi. 

È probabile che l’aspetto finale di questa scultura fosse simile a quello che appare nella pagina del Codex Magliabechianus che qui presentiamo. Tra i capolavori delle sculture in terracotta ci sono i Guerrieri-aquila (1440-1469), due reperti (oggi nel Museo del Templo Mayor di Città del Messico) trovati sulle panche del Recinto dei Guerrieri-Aquila, nel centro cerimoniale di Tenochtitlan. Raffigurano dei guerrieri che indossano il costume rituale del loro ordine. È probabile che tra le mani tenessero armi o scudi di materiale organico che non si sono conservati. L’esercito azteco presentava diversi corpi d’élite, ma quelli dei guerrieri-aquila e dei guerrieri-giaguaro erano i più importanti e i più prestigiosi e a loro era riservato il comando delle operazioni militari. La postura del busto, leggermente inclinato in avanti, le braccia appena aperte e le penne dispiegate, come sollevate da un vento leggero, conferiscono ai guerrieri un atteggiamento incombente, tanto da sembrare aquile pronte a spiccare il volo. Non a caso, recenti studi hanno suggerito l’ipotesi che i guerrieri fossero il simbolo del Sole all’alba.

Accanto alle sculture monumentali si possono collocare gli incensieri. Essi erano costituiti da un recipiente a forma di due larghi imbuti sovrapposti con una leggera strozzatura centrale (a volte quasi impercettibile) e con un bordo superiore dal quale di solito scendeva una teoria di elementi appuntiti e sottili, che, forse, rappresentavano foglie di agave stilizzate. Le tipologie più belle e di maggiore impatto potevano superare il metro di altezza ed erano sempre decorate in policromia. Di solito, dalla superficie esterna del contenitore emergeva la scultura di una divinità o di un guerriero morto in battaglia. 

Delle terrecotte di minore formato si può dire che sono caratterizzate da una pittura vascolare policroma che ha come centro di gravità le tinte rosso-arancioni e presenta simboli stilizzati e motivi geometrici, che, a volte, sono riuniti insieme con un certo “horror vacui” e, a volte, sono presentati isolati. Non mancano, tuttavia, poche opere con raffigurazioni grossomodo naturalistiche. Da queste tipologie, tuttavia, si differenziano molto, per stile e armonia, le Olle Tlaloc (il Dio della Pioggia) del Templo Mayor, caratterizzate da una policromia in cui prevale l’azzurro. 

Infine è opportuno segnalare le due urne funerarie ritrovate nel Templo Mayor con le ceneri di due personaggi di altissimo livello. Esse riprendono lo stile di alcune tipologie della Costa del Golfo e presentano un riquadro decorato in bassorilievo.


Urna funeraria; Città del Messico, Museo del Templo Mayor. Rappresenta un personaggio col pettorale del Dio del Fuoco, che tiene tre dardi nella mano sinistra e, forse, un “atlatl” nella destra.


Guerriero-aquila (1440-1469); Città del Messico, Museo del Templo Mayor.


Testa di guerriero-aquila; Città del Messico, Museo Nacional de Antropología.

ARTE AZTECA
ARTE AZTECA
Antonio Aimi
La nascita, lo sviluppo del più grande impero della Mesoamerica e la sua tragica fine per mano degli spagnoli nel XVI secolo. La storia di una civiltà vissuta più di duemila anni, complessa e ancora oggi misteriosa per il suo sistema sociale, la sua lingua e la sua cultura. Le vicende di un popolo antichissimo che ha immaginato forme artistiche e tecniche che hanno influenzato profondamente anche l’Occidente. Questo dossier racconta l’arte degli Aztechi dall’architettura dei grandi templi piramidali alla ceramica e all’oreficeria, passando per la grande varietà di sculture legate alle credenze religiose, alla mitologia, al simbolismo cosmico e alla peculiare visione del mondo di quel popolo.