TESTE COMPOSTE

Con le sue invenzioni Giuseppe Arcimboldi, detto Arcimboldo, intendeva dare corpo all’atmosfera e agli elementi, materializzarli attraverso le sostanze visibili?

Probabilmente desiderava suggerire più chiavi di lettura, da offrire allo spettatore per evocare il mistero che sta dietro/dentro gli elementi, lo sconosciuto e l’inconoscibile della Natura-Cultura(1), mediati TESTE COMPOSTE attraverso la lente dell’incontro tra punti di vista diversi e complementari. Tutti gli sforzi delle partecipate “ekphrasis” messe in azione dai critici d’arte a proposito delle Teste composte contribuiscono a tradurre le visioni in iconologia, innescano ulteriori possibilità d’interpretazione. Queste figure hanno preso forma nell’immaginazione di Arcimboldo, così come capita di muovere figure mentali quando si vedono “aleamorph” (ovvero immagini acheropite, non dipinte né scolpite da mano umana) che si ritrovano in natura, nelle nuvole, nei geodi, nel legno pietrificato, nei minerali, nelle lastre di pietra adorate nei templi o nelle chiese. Ogni opera che funziona innesca un sofisticato esercizio dello sguardo e della mente, perché vedere richiede tempo, soprattutto per andare oltre la prima apparenza e ogni giudizio troppo istantaneo e frettoloso. 

Al di là di una sola lettura simbolica, scardinando l’assunto iconologico per cui le opere mostrano quello che significano e significano quello che mostrano, cosa vogliono evocare davvero le immagini di Arcimboldo?


Autoritratto (1571-1576 circa); Praga, Národní Galerie.


Francesco Salviati (attribuito), Testa composta (1530-1540).

(1) Cfr. Natura-Cultura. L’interpretazione del mondo fisico nei testi e nelle immagini, atti del convegno internazionale di studi, a cura di G. Olmi, L. Tongiorgi Tomasi, A. Zanca, Firenze 2000; Donna Haraway, Manifesto Cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, a cura di L. Borghi, introduzione di R. Braidotti, Milano 1995. Secondo Haraway, non è più possibile parlare di “natura” e di “cultura” come fossero dimensioni separate.

Siamo attirati da un dipinto ben prima di sapere quello che è supposto significare? Al di là della ricerca dei significati allusi, nelle opere non cerchiamo innanzitutto di soddisfare anche il nostro piacere estetico? Tra desiderio di avere una rivelazione dall’opera d’arte, o lasciarsi portare dalla contemplazione assorta, o sentire altre possibilità, il senso si trova nell’esperienza di uno spostamento ulteriore. E il senso è comprendere la polivalenza di questo piacere, che in un frangente nasce da un riferimento concettuale e in un altro dalla qualità estetica dell’opera, oppure dallo stupore o dallo shock o da qualcosa che si capirà più avanti nel tempo, da un messaggio rivelatore. 

Da lungo tempo gli aspetti fuori dalla norma esercitano un’attrattiva sul grande pubblico. Al di là di tutte le letture filologiche che sono state prodotte nel corso dei secoli, cosa rappresentano per noi, ora, le opere di Arcimboldo? L’artista utilizza alcuni espedienti per attrarre l’attenzione, con l’intenzione di far agire, nell’animo di coloro che ha catturato, una serie di pensieri e considerazioni. Il metamorfismo organico che dispone nature morte in forma di teste e volti può essere considerato anche un’ulteriore indagine della psiche, attraverso le cose del reale che circondano l’essere umano, e uno studio fisiognomico pre-surrealista. L’“opus” di Arcimboldo è un caso particolare e mirabolante di pareidolia - un fenomeno psicologico in cui si riconosce una forma familiare in una nuvola, un paesaggio, una roccia, una macchia d’inchiostro - o è una declinazione di artefatti che si mostra nel suo eccesso di senso? Forse l’artista meneghino desiderava solo tradurre in immagini la sua esperienza del mondo e mostrare un’epifania di apparizioni e visioni. Quali sono i precedenti iconografici che possono avere influenzato Arcimboldo?

È molto probabile che le suggestioni venissero dalle maschere carnevalesche o dai pupazzi composti in occasione delle feste agricole e di piazza, come per esempio i fantocci della Quaresima, costruiti con ortaggi, frutti, dolciumi e oggetti. Nell’area della pianura Padana, sono sopravvissute tradizioni contadine legate ai riti che scongiurano il freddo dell’inverno e invocano l’imminente primavera: ancora oggi viene bruciato il fantoccio della vecchia annata, simulacro anche di tutte le cose brutte che sono accadute e che si vogliono esorcizzare (chiamato “La vècia”, “La egia”). 

Prima di Arcimboldo sono documentate due invenzioni che mostrano teste di profilo composte da molti falli: in un disegno attribuito a Francesco Salviati, realizzato tra il 1530 e il 1540, e nel piatto di maiolica attribuito a Francesco Urbini, datato al 1536, ora all’Ashmolean Museum di Oxford. Altri artisti avevano già immaginato figure composite, dove più animali formavano il corpo di un altro animale. Nel Taccuino per artisti (XVI secolo) - conservato a Venezia, nella biblioteca di San Lazzaro degli Armeni, (ms. 1434, cc. 11v-12r) - è visibile un mostro ibrido, caratterizzato da elementi immaginifici: animali e uomini vanno insieme a ricreare una belva dall’aspetto caleidoscopico. Sempre nella stessa biblioteca è presente anche il manoscritto Kourdian, in cui compare il medesimo mostro ibrido (280, c. 75v).


Francesco Urbini (attribuito), piatto in maiolica con Testa composta di peni (1536); Oxford, University of Oxford, Ashmolean Museum.

Anonimo, Bucefalo, miniatura, versione armena del Romanzo di Alessandro (1544), ms. 3, fol. 42v; Manchester, University of Manchester, John Rylands Library.


Anonimo, Mostro ibrido, in Taccuino per artisti (XVI secolo), ms. 1434, cc.11v-12r; Venezia, isola di San Lazzaro degli Armeni, biblioteca.

Ma le opere che cerchiamo di comprendere suggeriscono anche molto altro, rispetto ai prodotti della fantasia popolare, delle combinazioni ironiche, degli aspetti grotteschi presenti nelle Teste caricate leonardesche? Le Teste composte di Arcimboldo hanno qualcosa in più rispetto ai precedenti tentativi combinatori di matrice occidentale o a quelli immaginati in altre culture? Sebbene nel XVI secolo i contemporanei di Arcimboldo definissero le sue opere «invenzioni bizzarre», «quadri ghiribizzosi», «capricci», «grilli», le teste delle Stagioni e degli Elementi testimoniano ancora oggi un equilibrio tra qualità pittorica e significato allegorico di natura polisemica. Erano invenzioni sorprendenti e nuove per i suoi contemporanei, o nella corte di Rodolfo II erano già a conoscenza delle invenzioni armene, degli animali compositi indiani e mediorientali? E poi la qualità delle opere risiede solo nel valore dell’invenzione, dei messaggi esoterici, nella massima libertà compositiva dell’ironia o nell’equilibrio tra lo stile, la scelta compositiva e la resa pittorica? Qual è il segreto che conferisce un’aura seducente alle invenzioni fantastiche delle figure composite, in grado di creare incanto, attrazione e reazioni di meraviglia? Ciò che colpisce è la cura dei dettagli compositivi, la lenticolare descrizione veristica degli oggetti, la qualità della stesura dei colori e la trama dei meta-significati lasciati intuire. Gli elementi che compongono le teste si combinano in maniera mirabile, con maestria sia formale sia concettuale, tanto che nonostante la complessità strutturale non si percepisce una forzatura. Tutti gli oggetti, i frutti, gli animali, i fiori sono resi al contempo nella loro propria eccezionale singolarità e come frammenti di un insieme più articolato. L’artista è riuscito solo a trarre in inganno gli spettatori delle sue opere, a stupirli, o è riuscito anche a muovere in loro pensieri e approfondimenti al di là del primo sorriso divertito? L’alterazione delle fattezze di un volto umano, per esempio quello di Rodolfo II raffigurato nelle sembianze di Vertunno, comporta anche una carica di humor, di ridicolo, di spiritosa ironia, dove la destrutturazione dei tratti fisiognomici passa poi attraverso il gioco infantile e scherzoso della ricomposizione in forma di oggetti naturali. C’è qualcosa di più profondo dentro le Teste composte o basta fermarsi alla loro superficie esteriore? La concezione dell’arte al tempo di Arcimboldo era versata per la possibilità di numerose spiegazioni, diversi livelli di comprensione, molteplicità di riferimenti: le immagini non erano solo da intendere e da leggere nell’immediato, ma concepite per rilasciare nel tempo più significati, come in un gioco di scatole cinesi.


Leonardo da Vinci (copia da, attribuito a Francesco Melzi), Sette teste grottesche (1490 circa); Venezia, Gallerie dell’Accademia, Gabinetto disegni e stampe.

Arte persiana (attribuito), Cammello composito con attendente (terzo quarto del XVI secolo); New York, Metropolitan Museum of Art.


Arte indiana (attribuito), Elefante composito (inizio del XVII secolo), New York, Metropolitan Museum of Art.

Arcimboldo conosceva Orazio, Vitruvio e altri scrittori classici, i racconti a proposito delle creature fantastiche e di altre «grottesche e confuse cose», ovvero di animali nati da combinazioni, quali sfingi, centauri, grifoni, chimere. Anche le suggestioni che hanno preso corpo dalle letture dei classici e dalle sperimentazioni alchimistiche hanno contribuito alla formazione di queste Teste composte. Sono il valore aggiunto, il legante metaforico. 

Si diceva più sopra della composizione ironica, che tanto piacerà a Duchamp. Un esempio è la scelta di utilizzare uno squalo eterodentiforme, una specie non molto pericolosa che nuota in fondo al mare con funzioni di spazzino, per rendere la forma della bocca nella personificazione dell’Acqua (probabilmente con i tratti somatici dell’imperatrice). 

Ma dovevano essere scherzi seri, e quindi con altri significati allusi, e significati profondi evidentemente, per essere apprezzati dagli imperatori, tanto da non urtare la sensibilità dei reggenti, che perdonavano la vena umoristica del loro pittore di corte, perché molto probabilmente i dipinti dovevano esprimere le ambizioni cosmologiche e politiche del sovrano. I dipinti ebbero un enorme successo, sia alla corte degli Asburgo a Vienna e a Praga sia nelle altre corti europee, tanto che Arcimboldo dovette eseguire molte versioni dei suoi originali, e la richiesta era così elevata che alcune copie vennero eseguite da altri pittori. Anche dopo la sua morte, gli arcimboldeschi delle generazioni successive cercarono di sviluppare ulteriormente le idee originali del maestro, ma il risultato nella maggior parte dei casi fu solo una declinazione meccanica tesa a voler stupire con stravaganze, che portò a mere figurazioni con effetto decorativo e divertente.


Primavera (1555-1560 circa); Monaco di Baviera, Bayerische Staatsgemäldesammlungen - Alte Pinakothek.

Primavera (1563); Madrid, Real Academia de Bellas Artes de San Fernando.


Estate (1563); Vienna, Kunsthistorisches Museum Wien, Gemäldegalerie.

Roland Barthes individua una struttura molto più complessa nelle Teste composte, come se Arcimboldo fosse un retore che esprime i suoi discorsi per mezzo di immagini, intese come trasferimenti di senso, di “metabole”, entro un laboratorio di tropi: «Una conchiglia sta per orecchio: è una Metafora. Un ammasso di pesci sta per l’Acqua (dove vivono): è una Metonimia. Il Fuoco diventa una testa fiammeggiante: è un’Allegoria. Enumerare frutti, pesche, pere, ciliegie, fragole, spighe per lasciare intendere l’Estate: è un’Allusione. Ripetere un pesce per farne qui un naso, là una bocca: è un’Antanaclasi (ripetizione di una parola con senso mutato)»(2). L’artista nasconde e non nasconde al contempo i suoi messaggi cifrati nei dipinti, lascia che lo sguardo dei fruitori delle sue opere guardi e veda, cambiando i livelli percettivi, tra significato complessivo e indagine dei dettagli, tra l’insieme della testa umana e tutti gli animali (o frutti, fiori, cose) aggrovigliati nell’insieme del soggetto dipinto. Il sistema di sostituzione imposto dall’artista fa in modo che un essere vivente, un frutto o una cosa siano anche intesi come parti del volto umano, entro un meccanismo di trasposizione, che si muove dall’insieme al particolare e viceversa. In questo doppio o molteplice movimento lo spettatore è spinto a sostare tra un linguaggio cifrato e il gioco della decifrazione.


Estate (1572); Denver, Denver Art Museum.

(2) R. Barthes, Arcimboldo, Milano 2005, p. 23.

Ognuno poi è libero di interpretare secondo il registro che più gli si confà, attraverso l’ironia, la lettura ludica(3), la metafora, l’allegoria, i rimandi esoterici o altro. Arcimboldo lascia intendere quello che sta tra la cosa rappresentata e la sua rappresentazione. Con la sottigliezza che piacerà molto ai surrealisti, cerca di spiazzare l’oggetto, sbalzandolo da un regno a un altro, dalla tautologia a un ulteriore significato alluso da un’immagine duplice, dal regno del reale a quello cerebrale: i denti nel volto della personificazione di Acqua sono quelli reali di un piccolo squalo, e l’occhio del soggetto umano alluso è quello reale del pesce luna, ma qualcos’altro ha preso corpo tra il trucco tautologico e la formazione di un nuovo essere. 

Il “salto arcimboldesco” rende visibile la possibilità magica di impossessarsi di tutti gli oggetti e di tutti gli esseri dei mondi animali, vegetali, minerali, e dare vita a nuovi collegamenti, a nuovi sensi, a dare spazio a inedite figure, che appartengono alla natura mostruosa di ciò che ancora non si conosce. Estrae l’ulteriore possibilità, l’apertura al fantastico, partendo da ciò che è noto, attraverso il medium dell’analogia e l’uso sapiente della semantica viva.


Autunno (1572); Denver, Denver Art Museum Collection.

(3) Nel cosiddetto Carnet di Rodolfo II, conservato presso il Gabinetto disegni e stampe delle Gallerie degli Uffizi a Firenze, centoquarantotto disegni eseguiti da Arcimboldo testimoniano il suo corposo impegno come coreografo degli eventi ludici alla corte viennese, per l’organizzazione delle mascherate, dei giochi e cortei fantastici, che allietavano la vita della famiglia imperiale e dei nobili.

Inoltre, i soggetti che divengono immagini reversibili (un cuoco in un senso e un piatto di carni nell’altro, un ortolano in un verso e al contrario invece una natura morta) alludono anche alla complessità della lettura di ogni cosa del mondo. Qual è la verità in un’immagine che pare avere un certo aspetto, ma che poi se viene capovolta sembra qualcos’altro? Tutto può assumere un senso diverso nella stessa immagine, e questo significato non è mai lo stesso? Il nuovo senso che prende forma nasce da combinazioni di elementi, che prima avevano un significato e una presenza viva nella realtà naturale e ora sono diventati segni di una nuova visione e di una ulteriore intellegibilità. Le nature morte reversibili si animano di figure umane, ribadendo però anche l’ossessione per la visione antropocentrica. Il bibliotecario (1566 circa), ora a Hâbo, nel castello di Skokloster (Svezia), copia di un originale che si trovava a Praga, è una testa composta fatta quasi esclusivamente di libri, col mantello costituito da una tenda, i capelli resi con le pagine mosse di un volume aperto, la barba suggerita da un piumino per spolverare, la mano imitata da segnalibri che sporgono dai volumi. Non è improbabile che l’artista abbia realizzato il ritratto satirico di un personaggio noto nella corte degli Asburgo, un bibliofilo o un collezionista appassionato di libri antichi, che preferiva raccogliere e accumulare i libri piuttosto che leggerli.

Autunno (1573); Parigi, Musée du Louvre. Secondo l’umanista Giovanni Battista Fonteo, autore del poema Carmen cum Distichis et Divinatio, cui titulus Clementia est, le serie delle Stagioni e degli Elementi sono da interpretare come allegorie politiche dello straordinario regno di Massimiliano II , considerando il reggente della casa degli Asburgo colui che governa con equilibrio sui vari paesi dell’Europa. Al contempo viene evocata anche l’inarrestabile e ciclica ripresentazione dei fenomeni naturali, nel mistero delle stagioni e degli elementi, le corrispondenze tra micro e macrocosmo. La serie conservata al Louvre è la prima replica delle Stagioni, eseguita per il principe elettore Augusto di Sassonia, realizzata nel 1573.


Inverno (1563); Vienna, Kunsthistorisches Museum Wien, Gemäldegalerie.

Nell’Autoritratto (1587), invece, l’ideatore affida la memoria della sua immagine(4) a un sottile trasferimento tautologico, a un gioco metalinguistico, dove la figura è formata da fogli rappresentati sul foglio: le fattezze fisiognomiche e il vestito dell’artista sono resi attraverso strisce di carta, che si arrotolano, sovrappongono, arricciano, attraverso fogli, intesi anche come strumenti dove egli sviluppa le sue idee e delinea i suoi progetti, nel proprio mestiere. 
Le serie delle Stagioni e degli Elementi (realizzate tra il 1555 e il 1573) si caratterizzano per essere colte come busti di profilo, dove le teste e i volti appaiono alquanto grotteschi, quasi caricaturali, ma rivelano al contempo la cultura di quel tempo nella corte degli Asburgo(5), intrisa di studi naturalistici dal vero e con una propensione a creare “Wunderkammern” e “Kunstkammern”: l’Acqua, l’Aria, la Terra, le personificazioni delle Quattro stagioni, Flora e Vertunno sollecitano gli osservatori a cercare di riconoscere ogni dettaglio di cui è composto il ritratto, reso secondo la cura lenticolare dei particolari di evidente ascendenza nordica, e a scavare nelle proprie conoscenze naturalistiche per riconoscere ogni singolo animale, uccello, pesce, pianta, fiore, arbusto, fungo e oggetto raffigurato. Probabilmente i volti di profilo erano appesi alle pareti della residenza imperiale in modo che sembrassero fronteggiarsi per dialogare silenziosamente fra loro, a coppie, ogni stagione rivolta a un elemento, secondo quelle corrispondenze tra microcosmo e macrocosmo, creando ulteriori connessioni e suggestioni. Allora le opere dilatano la loro componente concettuale e diventano macchine mobili, animate dall’energia dello spiazzamento e della relativizzazione dello spazio del senso, che inducono il fruitore alla visione da lontano e a quella da vicino, e di nuovo all’allontanamento e all’avvicinamento, per indurre a intrattenere un rapporto sempre attivo con le immagini e per entrare sempre più in profondità nella costruzione polisensa dei dipinti. Barthes intuisce che «includendo lo sguardo dello spettatore nella struttura stessa della tela, Arcimboldo passa virtualmente da una pittura newtoniana, fondata sulla fissità degli oggetti rappresentati, a un’arte einsteiniana, in cui lo spostamento dell’osservatore entra nello statuto dell’opera»(6).

(4) Sul colletto compare l’anno di esecuzione, mentre al di sopra della radice del naso è segnalata la sua età, come se l’artista avesse elaborato una sorta di carta di identità moderna: nella seconda metà del 1587 Arcimboldo torna nella sua città natale, lasciando la corte praghese all’età di sessantun anni, dopo aver lavorato al servizio dell’imperatore per lungo tempo.
(5) I busti compositi sono anche omaggi alla casata asburgica: nell’Inverno sono raffigurati la corona e la lettera M di Massimiliano II, cuciti sul mantello di paglia; nel Fuoco la doppia aquila e il collare dell’ordine del Toson d’oro, ordine fondato da Filippo il Buono, duca di Borgogna e antenato degli Asburgo; nell’Aria l’aquila e il pavone asburgici; l’imperatore del Sacro romano impero Rodolfo II, figlio di Massimiliano II, è rappresentato nelle vesti di Vertunno, dio romano delle mutazioni stagionali. La rigogliosa presenza di frutti e fiori rimanda anche alle aree diverse del mondo e alle terre conquistate degli Asburgo, che hanno costituito nel tempo un impero di prosperità. Copie e varianti delle ammiratissime invenzioni di Arcimboldo vennero donate a nobili e regnanti europei, come parte della diplomazia di Massimiliano II e Rodolfo II.
(6) R. Barthes, op. cit., p. 41.

Aria (dopo il 1566).


Fuoco (dopo il 1566); Vienna, Kunsthistorisches Museum Wien, Gemäldegalerie.


Terra (dopo il 1566).

Cosa percepiamo del loro simbolismo? Che affetti ed effetti smuovono in noi? Le nostre emozioni sono culturali, il corpo e la mente sono ammaestrati da una serie di riferimenti sociali, le nostre convinzioni hanno un retaggio stratificato, ereditato da un sistema di valori storici. I busti composti avevano determinati effetti sui fruitori contemporanei di Arcimboldo. E a distanza di qualche secolo noi come reagiamo di fronte a queste opere? Proviamo ancora la gioia di un’unità sovrannaturale nella mischia delle cose viventi, stipate in un’altra figura composita immaginata da Arcimboldo? Percepiamo ancora il fluire unitario e gli effetti simbolici innescati dai suoi dipinti? Le opere degli artisti contemporanei sono ancora vicine al sapere di ordine classificatorio - il quale viene allargato e modificato attraverso la sperimentazione, che con operazioni audaci intende sovvertire le classificazioni a cui siamo abituati nella quotidianità - e al potere sovversivo delle trasformazioni alchemiche o magiche? Se leggiamo questi soggetti come esseri che trasgrediscono la separazione dei regni, che mescolano animali, vegetali, minerali col sovrannaturale, che mettono in azione una metamorfosi capace di far passare da un ordine all’altro, un mostruoso che crea meraviglia, sbalordisce e fa riflettere, non trovo molta distanza con il repertorio di mostri che hanno fortuna nella letteratura e nel cinema del nostro tempo. Inoltre, le teste costituite da tante monadi richiamano temi, suggestioni e metafore molto studiate dagli intellettuali degli anni più recenti e attuali.


Acqua (1566); Vienna, Kunsthistorisches Museum Wien, Gemäldegalerie.

Rodolfo II come Vertunno (1590-1591); Håbo (Svezia), castello di Skokloster.


Il bibliotecario (1566 circa), Håbo (Svezia), castello di Skokloster.
L’immagine qui riprodotta è la copia di un originale che si trovava a Praga.

È molto suggestiva la lettura di Barthes, che trova una consonanza tra le opere di Arcimboldo e le miniature indiane raffiguranti animali (cammelli, elefanti, cavalli) costituiti da un mosaico di forme umane e animali allacciate, interpretabili come raggruppamenti simultanei di incarnazioni successive, rimandando alla dottrina indù sull’unità interiore degli esseri: «Anche le Teste di Arcimboldo potrebbero essere lo spazio visibile di una trasmigrazione che, sotto i nostri occhi, conduce dal pesce all’acqua, dalla fascina al fuoco, dal limone al pennacchio e da tutte le sostanze alla figura umana (a meno che non preferiate prendere questo percorso in senso inverso, e scendere dall’Uomo-Inverno al vegetale che gli è associato)»(7). Arcimboldo è nato, cresciuto e si è formato nel ducato di Milano, educato secondo la visione occidentale di fede cristiana, quindi non incline alla credenza della trasmigrazione dell’anima, ma la lettura del filosofo francese sposta la questione oltre le credenze religiose, in direzione di visioni più allargate, verso una prospettiva che si inoltra al di là del tempo e dello spazio, verso questioni indagate dalla scienza contemporanea, come se ogni elemento che compone un pezzetto delle teste avesse analogie con gli atomi che compongono la materia e al processo di trasformazione perenne nell’universo. 

Si può intuire una rivelazione moderna e intrigante nelle Teste composte, ovvero un complesso rapporto di interconnessioni fra un’unità e un insieme, entro un sistema mutevole di relazioni, in cui tutto è un po’ simile e tuttavia differente, qualcosa di difficilmente visualizzabile ed esprimibile: qui si vuole scoprire una verità rapportandola a tutto l’universo, e cioè che il mondo è un sistema di sempre mutevoli relazioni e strutture.


Autoritratto (1587); Genova, Palazzo rosso, Gabinetto disegni e stampe.

(7) Id., ivi, pp. 52-53.

ARCIMBOLDO
ARCIMBOLDO
Mauro Zanchi
A trentadue anni dalla pubblicazione del primo dossier Arcimboldi (ormai esauritissimo) abbiamo deciso di dedicare all’artista lombardo un dossier totalmente nuovo. Giuseppe Arcimboldo, detto Arcimboldi (Milano 1526-1593), colto rampollo di una famiglia aristocratica, lavora ai cartoni per le vetrate del duomo della sua città natale, poi a un affresco nel duomo di Monza e inizia a interessarsi di soggetti rari e bizzarri. Nel 1562 è chiamato a Vienna, dove lavora per il futuro imperatore Massimiliano I d’Asburgo, e poi a Praga, col suo successore Rodolfo II, cultore di alchimia e appassionato collezionista. Tra le poche opere di Arcimboldi giunte fino a noi spiccano le celeberrime “teste composte”, volti e ritratti allegorici costituiti da accostamenti di elementi vegetali, oggettuali, animali. Fu anche regista e organizzatore di apparati per feste e spettacoli. La sua cultura parte dall’immaginario mostruoso del Medioevo e dalle teste caricaturali di Leonardo, repertorio che trasferisce nel pieno del gusto manieristico europeo del Cinquecento