Siamo attirati da un dipinto ben prima di sapere quello che è supposto significare? Al di là della ricerca dei significati allusi, nelle opere non cerchiamo innanzitutto di soddisfare anche il nostro piacere estetico? Tra desiderio di avere una rivelazione dall’opera d’arte, o lasciarsi portare dalla contemplazione assorta, o sentire altre possibilità, il senso si trova nell’esperienza di uno spostamento ulteriore. E il senso è comprendere la polivalenza di questo piacere, che in un frangente nasce da un riferimento concettuale e in un altro dalla qualità estetica dell’opera, oppure dallo stupore o dallo shock o da qualcosa che si capirà più avanti nel tempo, da un messaggio rivelatore.
Da lungo tempo gli aspetti fuori dalla norma esercitano un’attrattiva sul grande pubblico. Al di là di tutte le letture filologiche che sono state prodotte nel corso dei secoli, cosa rappresentano per noi, ora, le opere di Arcimboldo? L’artista utilizza alcuni espedienti per attrarre l’attenzione, con l’intenzione di far agire, nell’animo di coloro che ha catturato, una serie di pensieri e considerazioni. Il metamorfismo organico che dispone nature morte in forma di teste e volti può essere considerato anche un’ulteriore indagine della psiche, attraverso le cose del reale che circondano l’essere umano, e uno studio fisiognomico pre-surrealista. L’“opus” di Arcimboldo è un caso particolare e mirabolante di pareidolia - un fenomeno psicologico in cui si riconosce una forma familiare in una nuvola, un paesaggio, una roccia, una macchia d’inchiostro - o è una declinazione di artefatti che si mostra nel suo eccesso di senso? Forse l’artista meneghino desiderava solo tradurre in immagini la sua esperienza del mondo e mostrare un’epifania di apparizioni e visioni. Quali sono i precedenti iconografici che possono avere influenzato Arcimboldo?
È molto probabile che le suggestioni venissero dalle maschere carnevalesche o dai pupazzi composti in occasione delle feste agricole e di piazza, come per esempio i fantocci della Quaresima, costruiti con ortaggi, frutti, dolciumi e oggetti. Nell’area della pianura Padana, sono sopravvissute tradizioni contadine legate ai riti che scongiurano il freddo dell’inverno e invocano l’imminente primavera: ancora oggi viene bruciato il fantoccio della vecchia annata, simulacro anche di tutte le cose brutte che sono accadute e che si vogliono esorcizzare (chiamato “La vècia”, “La egia”).
Prima di Arcimboldo sono documentate due invenzioni che mostrano teste di profilo composte da molti falli: in un disegno attribuito a Francesco Salviati, realizzato tra il 1530 e il 1540, e nel piatto di maiolica attribuito a Francesco Urbini, datato al 1536, ora all’Ashmolean Museum di Oxford. Altri artisti avevano già immaginato figure composite, dove più animali formavano il corpo di un altro animale. Nel Taccuino per artisti (XVI secolo) - conservato a Venezia, nella biblioteca di San Lazzaro degli Armeni, (ms. 1434, cc. 11v-12r) - è visibile un mostro ibrido, caratterizzato da elementi immaginifici: animali e uomini vanno insieme a ricreare una belva dall’aspetto caleidoscopico. Sempre nella stessa biblioteca è presente anche il manoscritto Kourdian, in cui compare il medesimo mostro ibrido (280, c. 75v).