Sculpture-morte (1959) di Marcel Duchamp rimanda anche alla rappresentazione di un volto umano, o almeno induce lo sguardo del fruitore a vedervi un effetto più sottile della pareidolia. Nella carta utilizzata come sfondo è indicato l’artigiano che ha realizzato queste verdure di marzapane: «pâtissier-confiseur Bonnevie, con sede a Perpignan». In questo caso il nome Bonnevie (“Buonavita”), maestro della natura morta, ispira Duchamp, che fa del gioco di parole uno dei fondamenti della sua arte, a innescare un rebus umoristico con un segreto nascosto, alla maniera dei giochi di parole di Brisset e Roussel. Assieme a Sculpture-morte, anche With My Tongue in My Cheek (1959), l’autoritratto disegnato di profilo e dotato di una guancia di gesso costituita dal calco della lingua(15), è da intendere come uno dei segni sarcastici della vita di Rrose Sélavy, che consegna a pezzi alcuni indizi del lavoro di elaborazione svolto in grande segreto, dal 1946, della sua futura grande opera Étant donnés: 1. La chute d’eau, 2. Le gaz d’éclairage (1969). Lo scarto tra apparenza e apparizione entro due modalità di simulacri e il dominio speculativo dell’infrasottile sono qui all’opera, così come la reversibilità mortale dello sguardo per Duchamp. Mario Merz indaga il mistero dell’organico e dell’inorganico nei suoi tavoli a spirale, costituiti da lastre di vetro e tubolari di ferro, dove spiccano i colori e gli odori della frutta e della verdura, e scorre l’energia delle forze originarie, che ha a che fare con l’acqua, il fuoco dei fulmini, lo spirito dell’aria, le zolle di terra, che si modificano. Nelle sue opere si sente la stessa forza intuita da Arcimboldo, quella realtà soggetta a un dinamismo costante; le forme viventi continuano a esistere e a proliferare anche quando apparentemente paiono morte o scomparse, in una progressione trasmutativa continua, dove i materiali prelevati dal mondo naturale e dalla vita quotidiana entrano nel mistero dei numeri e degli spostamenti di senso:
«Contare, fare la conta, incastrare numeri / l’uno dentro l’altro o l’uno nella massa degli / altri, incastrare il numero il frutto / l’oggetto nella massa degli altri. / La natura: spettacolare chiarezza e visione della / quantità, della validità irrimediabile della quantità / la vocazione a contare la frutta i pesci / tutto facendo qualcosa che essendo chiaro non è che / presente, bellissima visione della quantità come / incastro dei singoli frutti dei singoli esseri dei singoli numeri dei singoli frutti, ognuno / perfettamente colmo di sé, seme, frutto / diventato ritratto del numero delle cose»(16).
Se immaginiamo invece una marcescenza delle Teste composte e dei significati allusi nel Cinquecento da Arcimboldo, un collegamento e sviluppo si può trovare nelle composizioni “postrinascimentali” di Adrián Villar Rojas, dove massi e materiale organico fossilizzato costituiscono nature morte 2.0: animali, piante, minerali e reperti di un mondo oggettuale prodotto dall’uomo compongono un universo dalle sembianze distopiche, un mondo riletto come se l’uomo fosse destinato a un destino apocalittico.