PRECURSOREINCONSAPEVOLE

Chi è Arcimboldo, al di là o al di qua delle sue invenzioni pittoriche e del tempo in cui ha vissuto? Da buon visionario, è creatore di senso.

La parola più ricorrente, che serpeggia nei libri e nei cataloghi a lui dedicati, è «bizzarria ». Ma le opere di una persona che ha cercato di dire in una maniera nuova ciò che ha intuito della Natura non possono essere relegate al campo della bizzarria. L’artista rileva le contraddizioni del mondo, dell’universo, dove succede tutto e il contrario di tutto, continuamente, e cerca di dare una o più risposte possibili, con un approccio al contempo rigoroso e scientifico, sottile e lenticolare, ma anche giocoso e ironico. Rivela la complessità di una singola monade, che assieme ad altre unità forma una struttura più complessa, dove ogni frammento è connesso con altri pezzi, fino a dare corpo a un essere vivente nuovo, a un’inedita possibilità piena di significati. Le Teste composte non possono che essere polisemiche, perché contengono molte forme viventi, molteplici anime, diverse possibilità simboliche. Anche le teste costituite da più oggetti possono anticipare le questioni attuali legate ai cyborg, ovvero agli organismi costituiti da elementi artificiali. Allo stesso tempo sono simulacri di un sublime concettuale, che combinano in loro senso ironico, trompe-l’oeil, leggerezza infantile, questioni alchemiche, e altri aspetti ancora? Questi ritratti burleschi sembrerebbero da considerare anche come metafore di una meta-rappresentazione, come soggetti risolti in una maniera che è in grado di sublimare il ritratto stesso, per rimandare ad altre questioni.


Flora (1589).


Anonimo, La cuoca (senza data), Parigi, Bibliothèque de l’Ecole Nationale des Beaux-Arts.

Le fisionomie grottesche delle quattro stagioni (Primavera, Estate, Autunno e Inverno) e dei quattro elementi della cosmologia aristotelica (Aria, Fuoco, Terra e Acqua) - ottenute attraverso combinazioni di una straordinaria varietà di forme viventi o di oggetti - sono solo ritratti allegorici? Forse l’artista stesso, durante la traduzione formale di una sua intuizione, ha compreso il senso più interessante della sua visione, nel rapporto tra percezione retinica e interpretazione successiva, tradotto nelle sue nature morte reversibili, che a seconda del verso in cui vengono osservate mutano l’apparenza dell’immagine, passando da un cesto di frutta e verdura alla figura di un volto o viceversa. Ma attraverso questo espediente Arcimboldo mostra il limite della prima apparenza delle cose. Cosa vediamo quando guardiamo la realtà? Cosa è reale e cosa è immaginazione, se in percentuale il mondo è costituito in maggioranza da ciò che l’uomo non riesce a percepire totalmente, ovvero dall’invisibile e dalla materia oscura? Di fronte alle sue opere vediamo una testa umana, una natura morta, entrambe le cose in momenti diversi, significati poetici, filosofici e naturalistici combinati per segnalare le corrispondenze tra macrocosmo e microcosmo, oppure il senso enigmatico e nascosto delle cose? 

La ricerca di Arcimboldo è figlia del suo tempo, e a distanza di tempo si accorda con le ricerche dei surrealisti e con l’ironia di Duchamp, andando oltre le linearità della cronologia, raccordando i temi della cultura magico-cabalistica del XVI secolo e le ricerche concettuali di molti artisti del Novecento e degli anni che verranno in futuro. La traduzione in forma di un’idea muove giocosamente verso la ricerca del significato nascosto delle cose? Lo sguardo sta lì sospeso nell’attimo, tra la omogenia della singola parte e del tutto. E il senso ludico è in grado di muovere altri effetti come in un sortilegio magico, utile a mostrare chiaramente il segreto delle cose. O al contrario le Teste composte e le nature morte reversibili sono specchio delle elucubrazioni alchemico-pittoriche della seconda stagione del manierismo, nella quale la pittura rinascimentale perse progressivamente il suo potere vitale iniziale? 

Immaginiamo che una parola sia un frammento e che due parole siano l’inizio di una storia. In questa prospettiva ogni oggetto che compare in una testa composita è un frammento di una storia che sta prendendo corpo, prima nel dipinto e poi nello sguardo del fruitore, per ulteriori spostamenti dal piano bidimensionale a quello della mente, dalla suggestione evocativa alla dinamizzazione del raccordo immaginativo. Le composizioni di Arcimboldo sono un’ulteriore declinazione di ciò che Leonardo aveva definito come esercizio immaginativo? Leonardo, per stimolare quell’immaginazione capace di facilitare il passaggio dalla visione soggettiva a quella oggettiva («individuale perché estetico, ma spersonalizzato»), consigliava ai pittori di fissare i vecchi muri fatti di pietre diverse e pieni di licheni e muschi: questo esercizio avrebbe ispirato la mente a trarre dalle immagini casuali forme da inserire nei soggetti dei quadri.

L’inquietudine trasmessa da Arcimboldo è vicina al gusto del mostruoso(8) mirabile che ritroviamo nelle “Wunderkammern” o nella raccolta scientifica di Ulisse Aldrovandi, suo contemporaneo, dove le forme animali e vegetali sono da studiare e da ammirare allo stesso tempo, con cognizione di causa, ma anche punti di partenza per collegamenti di senso creativo, di inedite connessioni. L’artista visionario parte dalla descrizione veristica, lenticolare e scientifica, dei pesci, degli animali, dei frutti, e la sua ricombinazione mette in mostra la propensione dell’umanista rinascimentale, che riconduce tutto il mondo esistente come fosse costituito da frammenti ricombinabili da un’intelligenza antropocentrica. Questa ricollocazione degli esseri viventi in immagini del mostruoso umanizzato diviene anche segno della misteriosa inclinazione teratologica, che talvolta la natura manifesta? Al di là di tutte le letture esoteriche, che sono state tentate dagli studiosi e dai confronti con altre opere precedenti e posteriori, mi piace pensare queste invenzioni di Arcimboldo come tentativi umani di empatia con tutti gli altri esseri che esistono in questa vita terrena. Come se questi coacervi di esseri viventi potessero innescare nuove forme della percezione, un’estensione della coscienza, mettendo al mondo una sorta di cyborg, atto a connettersi in forma più evoluta con il mistero della Natura.


L’ortolano (Testa reversibile con ortaggi in una ciotola) (1590-1593); Cremona, Museo civico Ala Ponzone.


Il giurista (1566); Stoccolma, Nationalmuseum. La persona ritratta forse è Ulrich Zasio (1461-1536), umanista e giurista tedesco. Dall’aspetto caricaturale enfatizzato da Arcimboldo, sembra che il pittore non nutrisse grande stima per il soggetto ritratto o per la professione forense: il volto pare quello di una creatura mostruosa, composto da una quaglia, un pollo e due pesci; il busto è riempito di fogli messi in verticale, poggiati sopra due o tre libri e tenuti in piedi dalla giacca col collo di pelliccia.

Ovviamente la visione antropocentrica ha ricondotto tutte le forme animali a formare teste umane e non invece a disporre innumerevoli uomini e donne nella forma di animali, come invece appare in diverse miniature mediorientali e indiane. Un esempio è Flora (1589), immaginata da Arcimboldo come una giovane donna il cui viso e il corpo sono costituiti da petali e fiori, e non invece innumerevoli donne disposte a formare un universo vegetale. Ogni testa composita, però, si può leggere come un tentativo di stabilire una nuova immagine dell’uomo, non più totalmente al centro del mondo, ma parte di un insieme costituito dalla Natura, parte degli elementi, delle stagioni, assieme agli altri esseri che vivono sulla terra, quindi un’altra visione rispetto alla concezione rinascimentale e a quella medievale. Sotto questo punto di vista, se così fosse veramente, le opere di Arcimboldo sarebbero rivoluzionarie rispetto a tutte quelle del XVI secolo, e molto più aderenti al modo di vedere la realtà dei nostri anni più recenti. Rileggendo le opere in chiave contemporanea, la persona, al di là del genere, diviene parte della Natura (e quindi assorbe i punti di vista delle forme animali, vegetali, minerali) e non può più pensare di spiegare i misteri della Natura se non prende in considerazione la complessità di tutte le forme viventi. Con le sue teste Arcimboldo cerca di mostrare che fino a quel momento l’individuo è stato un osservatore presuntuoso, che ha perduto la strada per comprendere veramente il mistero dell’universo, anche soprattutto a causa delle illusioni umanistiche del Rinascimento? 

Il significato allegorico è un manifesto rivoluzionario, che però non è stato compreso nel tardo Cinquecento, dove prevalse invece la corrente manierista, che condusse alla visione barocca e successivamente a quella di altre forme di classicismo. Sotto questo aspetto Arcimboldo può essere considerato antimanierista e precursore di un’arte che avrà successo in futuro. I surrealisti compresero la sua arte preveggente. Ma anche nel Novecento il dominio della religione continuò a porre Dio al centro dell’animo umano, portandolo sempre più lontano dal comprendere la Natura. 

Ancora oggi i movimenti ecologisti non riescono a sensibilizzare la massa dei popoli, per salvare il mondo dal disastro ambientale. I poteri forti sono ancora quelli che sfruttano la Natura in nome del capitalismo e del sistema economico. Forse occorreranno altri secoli prima che la concezione indicata da Arcimboldo e da altri visionari (ovvero un mondo dove tutti gli esseri siano trattati con eguale attenzione e rispetto) venga seguita. La visione filosofica di Giordano Bruno poteva essere vicina alla concezione di Arcimboldo. Ma il geniale nolano fu arso a causa delle sue idee eretiche e troppo d’avanguardia per quei tempi. Anche le opere del pittore, dopo la sua morte, non ebbero fortuna e rimasero nell’ombra e nell’oblio temporaneo fino agli inizi del Novecento, poiché la pittura e l’arte presero strade completamente diverse. Il desiderio di appartenenza della persona al Tutto è possibile se il divino viene trovato nella Natura e nell’armonia dei molteplici universi comunicanti. Il maestro milanese ha dato voce a tutti coloro che già nel passato intuirono la nascita di un nuovo mito: la difesa della Natura. Arcimboldo mostrò l’unità semantica delle sue teste allegoriche attraverso un complesso sistema di riferimenti e corrispondenze, concentrando la molteplicità in un’unica immagine. L’essenza dei simboli vive in ogni singola monade che compone l’insieme. E questo meccanismo è ancora attivo nelle sue opere, oggi più di allora, oltre l’apparenza della prima impressione umanistica. O ingaggia solo un sottile gioco di indovinelli visivi e mentali con i fruitori delle sue opere?


Flora meretrix (1591-1592).
Arcimboldo materializza visivamente un’espressione utilizzata da Vincenzo Cartari nel suo manuale mitologico (1556), dove la dea del rigoglio primaverile è descritta «tutta dipinta à fiori di colori diversi». Gregorio Comanini, nel suo testo religioso intitolato De gli affetti della mistica theologia tratti dalla cantica di Salomone, et sparsi di varie guise di poesie (1590), scrive che Arcimboldo ha scelto i fiori dal «colore di carne» per fare la pelle del volto, della gola e del petto, «due ramoscelli di spico» (lavanda) per le sopracciglia, boccioli di rosa per le labbra, vari fiori per la ghirlanda, foglie d’aranci, di cedri per le vesti, e vari tipi di fiori per rappresentare ricami e gemme. Arcimboldo realizza la versione della Flora meretrix, ripresa dalla cultura lombardo-leonardesca, raffigurandola con un seno nudo, come nella Flora (1520 circa) di Francesco Melzi, ora a San Pietroburgo.

(8) Nel 1982, Roland Barthes così sintetizza l’effetto che gli suscitano le teste di Arcimboldo: «Sono mostruose perché rimandano tutte, quale che sia la grazia del soggetto allegorico, [...] a un malessere sostanziale: il brulichio. La mischia delle cose viventi [...] disposte in un disordine stipato (prima di giungere alla intelligibilità della figura finale) evoca una vita tutta larvale, un pullulìo di esseri vegetativi, vermi, feti, visceri al limite della vita, non ancora nati eppure già putrescenti» (R. Barthes, op. cit., pp.49-52).

ARCIMBOLDO
ARCIMBOLDO
Mauro Zanchi
A trentadue anni dalla pubblicazione del primo dossier Arcimboldi (ormai esauritissimo) abbiamo deciso di dedicare all’artista lombardo un dossier totalmente nuovo. Giuseppe Arcimboldo, detto Arcimboldi (Milano 1526-1593), colto rampollo di una famiglia aristocratica, lavora ai cartoni per le vetrate del duomo della sua città natale, poi a un affresco nel duomo di Monza e inizia a interessarsi di soggetti rari e bizzarri. Nel 1562 è chiamato a Vienna, dove lavora per il futuro imperatore Massimiliano I d’Asburgo, e poi a Praga, col suo successore Rodolfo II, cultore di alchimia e appassionato collezionista. Tra le poche opere di Arcimboldi giunte fino a noi spiccano le celeberrime “teste composte”, volti e ritratti allegorici costituiti da accostamenti di elementi vegetali, oggettuali, animali. Fu anche regista e organizzatore di apparati per feste e spettacoli. La sua cultura parte dall’immaginario mostruoso del Medioevo e dalle teste caricaturali di Leonardo, repertorio che trasferisce nel pieno del gusto manieristico europeo del Cinquecento