La situazione è molto delicata, dato che le strutture sotterranee del palazzo sono state costruite sopra i resti antichi, senza rimuoverli, creando perciò una certa confusione, ma la Baldassarri è in grado di proporre una nuova ricostruzione: tempio con otto colonne di granito grigio in facciata, su un’alta gradinata; colonnati sempre di granito grigio anche lungo i fianchi, ma non sul lato posteriore; all’interno della cella lo spazio si articola in tre navate, scandite da due file di colonne in giallo antico. L’asse dell’edificio è, in pratica, la prosecuzione di quello del Foro, in un’area che probabilmente era stata un cantiere di Apollodoro, e che in tal modo veniva riqualificata; lo sarebbe stata ancor di più, come vedremo, con la costruzione del non lontano Athenaeum.
Quest’ipotesi è stata qui riportata in quanto suggestivamente formulata (riprendendo anche antiche indagini) da una notevole studiosa. Va però ricordato che, ancor più recentemente, Eugenio La Rocca e il già ricordato Meneghini hanno sostenuto che la presenza di un edificio di tale consistenza non è verificabile fino in fondo, introducendo inoltre il problema dell’arco celebrante la vittoria partica di Traiano: arco la cui costruzione fu completata malgrado i successivi eventi delle guerre d’Oriente fossero stati infausti, e che le fonti collocano proprio in quest’area. Ma, nell’ambito di una discussione che ancora non tende a chiudersi, Filippo Coarelli, nell’ultimissima edizione della sua guida Roma, pubblicata con Laterza, sembra tornare a dar ragione alla Baldassarri.
Nello sesso anno in cui il tempio, quale che fosse la sua effettiva consistenza e ubicazione, fu comunque consacrato, e cioè nel 121, venne inaugurato anche il tempio di Venere e Roma, opera, come si è detto, dello stesso Adriano: verrà però consacrato solo nel 135. Era un edificio grandioso (145 x 100 metri, il più grande tempio di Roma antica, insieme con quello di Serapide che più tardi Caracalla fece costruire sulle pendici del Quirinale), che andava a sovrapporsi all’atrio della Domus Aurea di Nerone, dove era il Colosso di bronzo che raffigurava quell’imperatore: tale sovrapposizione faceva parte di un programma di sistematica eliminazione delle realizzazioni neroniane, già avviato dagli imperatori Flavii (Vespasiano, Tito e Domiziano).
Il Colosso fu spostato verso l’Anfiteatro Flavio con l’impiego di ventiquattro elefanti, “adattandolo” a rappresentazione del dio Sole (in tale veste restò a lungo accanto all’Anfiteatro, di cui finì per determinare la denominazione popolare di Colosseo).
L’edificio adrianeo era caratterizzato soprattutto dalle due celle contrapposte, quella dedicata a Roma rivolta verso il Foro romano, quella dedicata a Venere verso l’Anfiteatro: in origine le pareti di fondo delle celle stesse, che si toccavano fra loro, non erano absidate (lo divennero in occasione di un restauro di Massenzio nel 307, ed è la fase oggi visibile). Forse fu proprio questa grande rilevanza ad attirare quelle che, secondo Cassio Dione, furono le critiche di Apollodoro, il quale però apparentemente avrebbe preferito una monumentalità ancor maggiore: «Il tempio avrebbe dovuto essere costruito su alto podio, per poter essere meglio visibile dalla via sacra; sotto le volte del podio avrebbero poi potuto trovare posto le macchine utilizzate per i giochi nel vicino Colosseo». Critiche che certamente non meritavano la condanna a morte (che in effetti forse non vi fu), ma che altrettanto certamente, almeno in apparenza, non erano un granché. Probabilmente la scarsa altezza del podio dava fastidio all’“archistar” di Traiano perché era una caratteristica costruttiva dei templi greci, gradita invece all’imperatore amante della cultura ellenica.
Nel 134 fu inaugurato il Mausoleo, in un’area appartenente agli Horti Vaticani e, in particolare, negli Horti Domitiae, subito al di là del Tevere: fu anche costruito un ponte, il pons Aelius(dal nome dell’imperatore Publio Elio Adriano), che in parte sopravvive nell’odierno ponte Sant’Angelo. L’imperatore, morto a Baia nel 138, fu però inizialmente sepolto a Pozzuoli, perché i lavori furono realmente ultimati solo nel 139 a opera di Antonino Pio, che del resto anche lui sarebbe stato collocato qui, come tutti gli imperatori successivi fino a Caracalla (188-217).
Come è arcinoto, il Mausoleo fu poi trasformato in Castel Sant’Angelo: in una lunga serie di riadattamenti, costruzioni e ricostruzioni, fu usato come fortezza già in età tardoantica in occasione degli assedi dei Visigoti, ma fu poi del tutto riplasmato in vari interventi dei papi Alessandro VI Borgia nel Quattrocento, Paolo III nel Cinquecento, Urbano VIII nel Seicento. Il monumento poggiava su un grande podio a pianta quadrata, oggi nascosto dalle fortificazioni papali: all’interno una serie di concamerazioni convergevano a raggiera verso il tamburo cilindrico centrale.