METTERE IN SCENA
LO SPAZIO

Ogni antologica è un’occasione per ripensare il lavoro in relazione agli spazi che lo ospitano, in una messa in scena di un dialogo tra le opere e gli ambienti circostanti, alla ricerca di nuove relazioni e possibili letture inedite che Bruno Corà, in occasione della mostra Atto Unico alla Fondazione Pomodoro a Milano, ha definito «affresco».

Così, nella mostra Kounellis Die Front, Das Denken, Der Sturm alla Halle Kalk di Colonia nel 1997, la struttura architettonica della ex fabbrica di carbone entra a far parte dell’installazione, anche grazie a una nuova tipologia di opera, realizzata con sfere di acciaio legate a un cavo che scendono dal soffitto al pavimento di questo gigantesco ambiente, completamente rivisitato dall’artista con opere di dimensioni monumentali. Un monumentalismo che continua nel 1999 all’interno della chiesa di San Augustín a Città del Messico, dove l’artista colloca una serie di strutture in pietra, simili a case, ricoperte con drappi bianchi e accompagnate da putrelle a forma di croce, con un evidente riferimento alla natura religiosa dello spazio. In occasione della mostra romana Giganti ai Fori imperiali nel 2000, lega con delle corde una serie di strumenti musicali ad alcuni frammenti di colonne in travertino, quasi a voler comporre un’orchestra di marmo, mentre nella navata centrale della Kunst-Station Sankt Peter a Colonia nel 2001 costruisce un’enorme croce composta da bidoni di ferro.

L’anno seguente alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma l’artista realizza Atto unico, un’installazione a forma di labirinto con i muri di lastre di ferro e carbone, dove allestisce una serie di opere di epoche diverse che il visitatore scopre durante il percorso. Una struttura che trasforma la mostra in una nuova opera totale, un ambiente proposto dall’artista come un dispositivo unitario, che suggerisce nel contempo punti di vista inediti sui lavori del passato. «Il bello del labirinto è che esiste un’unica entrata che è anche l’uscita», afferma Kounellis.

«Quindi lo spettatore si trova ad entrare in questo spazio, diviso e frammentato, che lo porta al centro, da cui poi è costretto a tornare indietro sempre attraverso lo stesso percorso». Lo stesso anno, in occasione della collettiva Incontri alla Galleria Borghese di Roma, realizza un’opera in dialogo con il Davide di Caravaggio, uno degli artisti di riferimento per Kounellis.

All’interno di luoghi e contesti differenti l’artista sperimenta nuove modalità di linguaggio, come nel caso del Torrione dei Passari a Molfetta (Bari), dove realizza due installazioni con chiari riferimenti alla storia dell’edificio, un avamposto destinato a proteggere la costa pugliese dalle incursioni dei saraceni. La più interessante è una rete da pesca che pende dal soffitto piena di scarpe vecchie, con riferimenti alle persone morte in mare ma anche ai migranti albanesi, che sbarcano sempre più numerosi sulla costa pugliese. Il mare ritorna anche all’Accademia tedesca a Roma nella mostra Soltanto un quadro al massimo, dove l’artista presenta una rete da pesca e una vecchia ancora (2004). Il motivo dell’ancora ritorna, in una dimensione monumentale, nella sala permanente al Museo Madre a Napoli, che ospita l’antologica di Kounellis nel 2006.


Senza titolo (1989).

Negli anni successivi aumentano le occasioni di confronto con il genius loci delle diverse sedi espositive, che spesso entra nella composizione delle opere prodotte per l’occasione: presso la Galleria Progetti di Rio de Janeiro Kounellis inserisce dei tamburi, mentre nella mostra personale al Today Art Museum di Pechino nel 2011 l’artista include elementi in porcellana cinese. «Non è un artista che abbia rinunciato alla facoltà attiva di lettura critica della storia e della realtà (si può chiamare ideologia?); in tal senso egli non corre il rischio di “morire di leggerezza”.

Il suo rapporto con la storia, con i suoi lampi illuminanti, i suoi errori, le sue immense tragedie non consente opzioni, è senza “uscita di sicurezza”, pur non rinunciando alla facoltà onnicomprensiva della coscienza», sottolinea Bruno Corà. La storia per Kounellis è un territorio da esplorare per ridefinire il presente proiettandolo in una dimensione simbolica. Con questo spirito torna a esporre in Grecia nel 2012 al Museum of Cycladic Art di Atene, nel pieno della crisi del paese, utilizzando oggetti che trova in città, come risposta al degrado socio-economico del suo paese natale. Con lo stesso spirito l’anno successivo espone al National Centre of Contemporary Art a Mosca, dove una delle installazioni è un omaggio alla Corazzata Pot‘mkin, mentre presso il Salone degli incanti dell’ex Pescheria di Trieste utilizza i banchi dove si vendeva il pesce per appoggiarvi sopra grossi frammenti di antiche barche in legno. «La ex Pescheria è diventata il luogo austero di una messa in scena rituale, dove l’attualità del gesto pullula di echi che si perdono in un passato di lontananza mitica», scrive Davide Sarchioni.


Senza titolo (1995); Amburgo, Hamburger Kunsthalle.

L’avventura artistica di Jannis Kounellis prosegue nel 2016 con Relámpagos sobre México al museo MECA di Aguascalientes, dove l’artista occupa le antiche officine ferroviarie con una serie di gigantesche e drammatiche installazioni. A luglio, presso il Centro arti visive Pescheria di Pesaro, presenta due nuove opere, realizzate per gli spazi della Pescheria. Il loggiato è occupato da una serie di altalene che sorreggono sacchi di carbone, in corrispondenza di alcuni vecchi tubi coperti da teli bianchi come sudari, mentre al centro dello spazio dodecagonale della chiesa del Suffragio corre un unico binario ferroviario circolare, sul quale è collocato un singolare convoglio. Si tratta di cinque carrelli in ferro coperti da cappotti neri da uomo, trainati da un cavallo che cammina in mezzo al binario, guidato da un uomo in abito scuro. «La chiesa mi ha colpito con la sua geometria particolare, che mi ha suggerito l’idea del binario circolare che non ha fine né inizio», spiega l’artista. Il singolare convoglio sembra uscito dal mondo industriale del secolo scorso, ricorda i treni delle miniere, ma anche la tragedia dei vagoni diretti verso i campi di sterminio in Germania o in Polonia. Si avvicina anche al primo allestimento teatrale realizzato dall’artista nel 1968 a Torino per I testimoni di Tadeusz Rózewicz. «Il problema fondamentale », aggiunge Kounellis, «è il rapporto con gli spazi, che non sono vuoti, ma possiedono una memoria e sono abitati da fantasmi. I fantasmi condizionano il tuo fare, ostacolano un’immaginazione troppo libera e non legata alla memoria dei luoghi. Quest’opera è un rito senza fine, mi ricorda i funerali napoletani». La mostra di Pesaro è stata l’ultima realizzata in uno spazio istituzionale italiano da Jannis Kounellis, scomparso a Roma il 16 febbraio 2017.


Senza titolo (2016).
L’opera è stata realizzata da Kounellis presso il Centro arti visive Pescheria di Pesaro nell’estate del 2016 in occasione della mostra allestita per celebrare il ventennale della fondazione della Pescheria. È un’immagine forte e intensa, quasi un rito funebre che si ripete senza direzione e senza tempo. Un ricordo del mondo industriale del secolo scroso, con i treni delle miniere ma anche la tragedia dei vagoni verso i campi di concentramento.

KOUNELLIS
KOUNELLIS
Ludovico Pratesi
Jannis Kounellis (Pireo 1936-Roma 2017) si trasferisce dalla Grecia a Roma non ancora ventenne. Alla fine degli anni Sessanta lega il suo lavoro creativo e il suo nome all’Arte povera, con l’uso di materiali presi dalla quotidianità e un coinvolgimento del pubblico in allestimenti sempre più allusivi allo scontro fra vita reale e contesto socioeconomico. Le sue installazioni si concentrano sempre più sulla critica al sistema globale di produzione/fruizione dell'arte; si popolano di animali - vivi, macellati, imbalsamati -, di materiali come pietre, mattoni, ferro, carbone, legno. Partecipa alla Biennale di Venezia per la prima volta nel 1972. A partire dagli anni Ottanta realizzerà grandi installazioni in Messico, in Argentina, a Roma, a Firenze, a Palermo.