CAVALLI
IN GALLERIA

Il 14 gennaio 1969 Jannis Kounellis espone dodici cavalli vivi presso il garage, nuova sede della Galleria L’Attico a Roma: è una delle mostre più radicali e leggendarie del XX secolo.

La vita irrompe nel luogo dell’arte e lo desacralizza, in un gesto simbolico che può essere letto in molti modi diversi. «I cavalli vengono fuori da una struttura sociale e politica, si riferiscono ad un’occasione classica […] La galleria è uno spazio commerciale, ma nel mio caso diventava spazio sociale, perché il gallerista non vendeva solo, ma impostava un certo tipo di informazione», spiega l’artista. Per Celant «i cavalli servono a mettere in crisi la nozione di struttura percettiva dell’arte, mettendo in contrasto lo spazio anonimo e multisenso della galleria con la violenza vitale dei cavalli». Una lettura solo in chiave politica appare però riduttiva, perché il cavallo appartiene alla tradizione della storia dell’arte, come suggerisce Rudi Fuchs, che cita in proposito i cavalli del Partenone, quelli di bronzo della basilica di San Marco a Venezia ma anche gli animali dipinti nel Rinascimento da Piero della Francesca e Paolo Uccello. «Simbolo di forza e d’energia, simbolo d’orgogliosa bellezza: è il sogno dell’artista. Nella storia dell’arte il cavallo occupa una posizione estetica seconda soltanto a quella dell’uomo», puntualizza Fuchs.

Due mesi dopo Kounellis partecipa alla collettiva internazionale Live in Your Head: When Attitudes Become Form alla Kunsthalle di Berna, curata da Harald Szeemann, dove presenta sette sacchi di juta riempiti di prodotti alimentari tipici della cultura mediterranea come fagioli, lenticchie, caffè, riso, granturco e piselli. Il 5 luglio 1969 a San Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno), in occasione della VII Biennale d’arte contemporanea, mura la porta di accesso a una sala con delle pietre grezze: «Avevo bisogno di fare una cosa fisica, quella di murare con pietre la porta». Un gesto estremo e assoluto, che modifica i connotati dello spazio espositivo riportandolo a un’idea di architettura primitiva e archetipica. Alla fine dell’anno un’altra mostra importante: la personale presso la Modern Art Agency di Napoli, diretta da Lucio Amelio, annunciata da un manifesto emblematico, con l’immagine dell’artista sulla poppa di un peschereccio che attraversa il golfo di Napoli.

In galleria una serie di opere nuove: un uovo su una mensola davanti a una lastra di ferro, un’altra lastra con la scritta in gesso «Libertà o Morte W Marat W Robespierre», illuminata da una candela accesa, e una terza lastra con una treccia di capelli veri che fuoriesce da due fori rotondi.

Su altre mensole a parete mucchietti di polvere di caffè e carbone, e a terra quaranta sassi dipinti per metà di nero. «Kounellis riscopre il valore del rito che recupera significati fondamentali, strutture profonde del vitale: il rito come ripetizione di eventi archetipi, di modelli capaci di dare un senso nuovo ai gesti e alle cose consumati dall’usura quotidiana », scrive Filiberto Menna sulla mostra. A partire dal 1970 l’elemento performativo prende sempre più piede nella ricerca dell’artista, in un’accezione sociopolitica e simbolica via via più visibile, a partire dalla performance eseguita per la mostra Amore Mio al palazzo Ricci di Montepulciano (Siena): una donna sdraiata su una base di ferro e avvolta da una coperta di lana, con un collettore legato al piede destro nudo, dal quale esce una fiamma. L’anno seguente Kounellis si presenta alla Galleria L’Attico in sella a un cavallo con la maschera del dio Apollo che gli copre il volto, all’interno di una stanza dipinta di giallo, mentre nel 1972 agli Incontri internazionali d’arte durante la rassegna Critica in Atto, siede a un tavolo rotondo con le labbra coperte da un calco in oro, mentre una cantante accompagnata da una pianista esegue un brano tratto dalla Carmen di Bizet.


L’artista parla con una visitatrice durante la mostra personale alla Galleria L’Attico, Roma 1969.


Senza titolo (1969); Roma, studio dell’artista.

«Libertà o morte. W Marat W Robespierre». Queste sono le parole vergate a mano con un gessetto su una lastra di ferro, esposta per la prima volta alla Modern Art Agency, la galleria di Lucio Amelio a Napoli alla fine del 1969. Con questo lavoro Kounellis prende posizione all’interno del vivace clima post Sessantotto e assume idealmente il ruolo di artista politico e rivoluzionario.


Senza titolo (1969).

Senza titolo (1972), performance; Roma, Incontri internazionali d’arte.


Senza titolo (1972), performance; Roma, Galleria L’Attico.

Alla Galleria La Salita a Roma, nel 1973, espone un tavolo dove sono appoggiati alcuni frammenti di calchi in gesso e un corvo impagliato, mentre l’artista è seduto con una maschera in gesso e un flautista esegue un pezzo di Mozart. L’anno prima, alla galleria Sonnabend a New York, la performance è più complessa e consiste in due parallelepipedi di metallo che ospitano il flautista John Gibson che suona un frammento di Mozart e l’artista stesso in piedi, che regge una maschera dell’Apollo del Belvedere a coprirgli il volto. La musica è sempre più protagonista nella ricerca dell’artista: «La ragione musicale, già presente nei lavori degli anni ’60», spiega Celant, «diventa ora il “motivo” delle sue coreografie, prima corali e poi private, in un processo dialettico dal collettivo all’individuale». L’azione “collettiva” più significativa è l’esecuzione di un frammento del coro del Nabucco di Verdi, suonato al piano in occasione della mostra collettiva Vitalità del negativo nell’arte italiana 1960/70 al Palazzo delle esposizioni a Roma, mentre alla Documenta 5 a Kassel è la volta di un quadro monocromo rosa con alcune note musicali, davanti al quale danza una ballerina, accompagnata da un violinista che esegue un brano tratto dalla Tarantella di Stravinskij, anche per festeggiare la nascita del figlio dell’artista, Damiano.


Senza titolo (1973), performance; Roma, Galleria La Salita.

Senza titolo (1971); Roma, Galleria L’Attico.


Senza titolo (1973), col figlio Damiano di due anni; Roma, studio dell’artista.

A volte invece la presenza della musica è soltanto suggerita, come nell’opera Omaggio a Morris Louis (1971) presentata in una collettiva al Kunstverein di Monaco. Qui l’artista, che ha la mano sinistra dipinta in diversi colori, è seduto su una panchina accanto alla custodia aperta di un violino dove è posata la partitura bruciata della Sinfonia “Dal Nuovo Mondo” di Dvorák. Nella seconda parte degli anni Settanta l’artista ricostruisce le mostre del decennio precedente in alcune collettive internazionali: alla 37. Biennale di Venezia nel 1976 ripresenta i cavalli della mostra all’Attico del 1969 (non più dodici ma otto), mentre nell’edizione successiva ricostruisce Il Giardino-I Giochi del 1967. «Nel 1976 ho rifatto un pezzo dei cavalli perché ho ritrovato le giuste condizioni; sentivo che in quel momento era la risposta giusta». Ma molte sono anche le opere nuove e significative realizzate in occasioni di mostre pubbliche e private, dal momento che l’attività espositiva dell’artista si intensifica. Nel 1975 Kounellis presenta alla galleria di Lucio Amelio a Napoli Tragedia civile, un’installazione composta da un muro ricoperto di foglia d’oro davanti al quale è collocato un attaccapanni con appesi un cappotto e un cappello, entrambi neri, illuminato da una lampada a petrolio.


Omaggio a Morris Louis (1971), performance in occasione della mostra Arte povera. 13 italienische KŸnstler, Monaco, Kunstverein.

Secondo Thomas McEvilley il muro dorato si riferisce alla cultura bizantina, mentre l’attaccapanni è collegato alla cultura mitteleuropea, ai caffè di Vienna, alla musica di Gustav Mahler e ai racconti di Franz Kafka. L’anno successivo, in due stanze attigue dell’hotel romano La Lunetta nei pressi di campo dei Fiori, traccia un lungo solco su una parete e vi colloca una pallina bianca. Il titolo dell’intervento era Hotel Louisiana, con un riferimento a un noto albergo per artisti, famoso per aver ospitato molti personaggi dell’esistenzialismo, tra i quali Boris Vian. Anche l’hotel Lunetta aveva ospitato artisti negli anni Cinquanta, quando Kounellis era arrivato a Roma. «Le mura dei racconti parlano», scrive Maurizio Calvesi, «le mura dell’esistenza tacciono. Kounellis ha ridotto il proprio intervento, o la propria intrusione, al gesto minimo ma scolpito di additarne il bavaglio». Il carattere minimalista dell’intervento colpisce anche il critico olandese Rudi Fuchs, che segue da tempo l’artista. «L’opera ha un tono elegiaco, senza tristezza. È una testimonianza piena di gratitudine; ci ricorda, senza amarezza, un certo stile di vita e di comportamento, un modo di pensare che erano del tempo in cui non eravamo ancora nervosi», sottolinea Fuchs. Alla fine del 1976, nella galleria di Salvatore Ala a New York, l’artista presenta una ciminiera in mattoni in un angolo della galleria, che aveva muri e soffitto con tracce di fumo. Mario Diacono parla di “athanor”, il forno usato dagli alchimisti per bruciare le impurità del metallo impuro come il piombo per trasformarlo in oro. Un altro possibile riferimento sono le ciminiere raffigurate da Giorgio de Chirico in alcuni dipinti metafisici, come Le muse inquietanti (1918), Enigma della fatalità (1914) o Enigma di un giorno (1914).


Senza titolo (1976), installazione; Roma, hotel Lunetta.

Senza titolo (1972), performance dell’artista; New York, Ileana Sonnabend Gallery.

KOUNELLIS
KOUNELLIS
Ludovico Pratesi
Jannis Kounellis (Pireo 1936-Roma 2017) si trasferisce dalla Grecia a Roma non ancora ventenne. Alla fine degli anni Sessanta lega il suo lavoro creativo e il suo nome all’Arte povera, con l’uso di materiali presi dalla quotidianità e un coinvolgimento del pubblico in allestimenti sempre più allusivi allo scontro fra vita reale e contesto socioeconomico. Le sue installazioni si concentrano sempre più sulla critica al sistema globale di produzione/fruizione dell'arte; si popolano di animali - vivi, macellati, imbalsamati -, di materiali come pietre, mattoni, ferro, carbone, legno. Partecipa alla Biennale di Venezia per la prima volta nel 1972. A partire dagli anni Ottanta realizzerà grandi installazioni in Messico, in Argentina, a Roma, a Firenze, a Palermo.