La rivista

Nel giugno del 1958, insieme alla seconda edizione del Rapport di Debord, uscì a Parigi il primo numero della rivista “Internationale Situationniste”. Questo bollettino era uno dei principali mezzi di propaganda e diffusione delle idee situazioniste; in una veste grafica nuovissima e significante (copertine metallizzate, a colori industriali) e in un’impaginazione agile, i testi, perlopiù collettivi, che comprendevano dichiarazioni, documenti, polemiche, notiziari delle loro attività, ed erano affiancati da inserti fotografici - “detournati” - rappresentanti degli elementi più cospicui e costitutivi del benessere borghese della società dello spettacolo: i fumetti, la pubblicità, i beni di consumo dall’automobile al sesso, la famiglia, il potere. I comics, quali mass media primari la cui emergenza dal confusionismo modernista era giudicata dall’Internazionale situazionista basilare perché la più diffusa, venivano “detournati” mediante la sostituzione, nei fumetti, di slogan situazionisti. Insieme ai comics, vi erano fotografie di assemblee del movimento, studi dell’Urbanisme Unitaire, manifesti ecc... Come in “Potlatch”, tutti i testi pubblicati sulla rivista “Internationale Situationniste” potevano essere liberamente riprodotti, tradotti e adattati senza alcuna indicazione d’origine.

Nel secondo numero della rivista, veniva invece inserito uno studio psicogeografico del quartiere delle Halles di Parigi, condotto da A. Khatib, di nazionalità algerina. Dal 1954 al 1962 in Algeria ci fu la guerra franco-algerina per l’indipendenza e la situazione in Francia per la comunità algerina non era facile, a causa anche del regolamento della polizia che vietava, dal settembre del 1958, la circolazione ai nordafricani dopo le 21.30. Nonostante queste difficoltà, il situazionista Khatib riuscì a stilare un rapporto del quartiere. Per il concetto di “dérive”, che si differenziava dall’”hasard” baudelairiana per la sua non casualità, egli studiò i flussi di persone, i siti di maggior e minor densità di persone e di eventi, i luoghi più disagiati, le disposizioni dei parchi ecc… Il tema dell’avventura era un nodo centrale nella poetica situazionista, il bisogno umano di agire e scoprire emergeva in molti dei campi della loro ricerca, dal gioco al nomadismo. Gli studi psicogeografici incarnavano così l’animo nomade, scopritore di questi artisti, in giro per la città a studiarla in base al loro sentire, identificando così i quartieri più tristi, le zone più vivaci e così via.


Interno del terzo numero di “Internationale Lettriste” (agosto 1953).


Copertina del primo numero di “Internationale Situationniste” (giugno 1958)

Le mostre e New Babylon

Il 1959 fu l’anno in cui il movimento arrivò alla sua massima espansione. A Monaco si tenne la III Conferenza dell’Internazionale situazionista, in cui Constant affermava l’importanza dell’architetto nello stimolare tra gli abitanti i legami, da cui derivavano determinati comportamenti. Bisognava utilizzare strutture già esistenti e nel frattempo crearne nuove, ambiti di creazione collettiva che apparivano agli occhi dell’artista olandese una possibile via in questo grande vuoto culturale assoluto. In contemporanea a La caverna dell’antimateria alla galleria Drouin di Parigi, si apriva alla galleria Rive Gauche la mostra di Peintures modifiées di Jorn. Venti quadri “pompier” (stile ottocentesco in cui veniva enfatizzato un certo accademismo) e impressionisti ridipinti, “detournati” dall’artista. Rapidi interventi pittorici, grotteschi mostri e figure, colature, tutto col fine di dare un colpo di grazia alla pittura, considerata ormai decaduta. Nel testo della mostra «per i conoscitori» (c’era anche quella «per il grande pubblico»), Jorn scrisse: «Solo colui che è capace di devalorizzare può creare valori nuovi». Infine, ad Amsterdam, vennero esposti i bozzetti delle costruzioni spaziali e delle architetture isolate di Constant.


Lo scrittore e regista francese Guy Debord partecipa, insieme agli artisti Lothar Fischer e H. Houdejans, al III Congresso dell'Internazionale situazionista (Monaco di Baviera, aprile 1959).

Sempre nel 1959 furono stampati il nuovo “Potlatch” e, in concomitanza, la monografia di Constant e i Mémoires di Debord. La monografia parte dalla serie di sculture e bozzetti prodotte dal 1955 al 1959 da Constant, col fine di documentare l’evoluzione dell’artista. Mémoires, un saggio di Debord, era «composto interamente da prefabbricati». Le pagine erano infatti costruite con frammenti, ritagli di poemi, romanzi, volantini politici e pubblicitari, da trattati di sociologia e di storia, fumetti, mappe di Parigi e Londra, antiche incisioni, xilografie e inserti fotografici, il tutto accompagnato da macchie, segni e colature di Jorn. Il libro era avvolto in una pesante copertina di carta vetrata per distruggere gli altri libri, se collocata in una libreria. Successivamente veniva pubblicato il Manifesto della pittura industriale di Gallizio. Infine, nel 1959 ci fu la preparazione per la manifestazione situazionista dell’Urbanisme unitaire allo Stedelijk Museum di Amsterdam che si sarebbe dovuta tenere nel 1960, ma alla fine non ebbe luogo. Due sale espositive sarebbero state trasformate in un grande labirinto. All’interno erano previste zone di passaggio con variazioni termiche (pioggia, vento e nebbia artificiali), luminose e sonore, oltre a ostacoli e tunnel. Infine, veniva organizzata una “dérive” per la città di Amsterdam dopo il labirinto. Tutto questo non si organizzò a causa di intransigenze da tutte e due le parti, l’entità museale e il movimento. Al suo posto si organizzò una mostra personale di Gallizio, evento che gli causò l’espulsione dal gruppo, insieme a tutta la sezione olandese (a esclusione di Constant, che tuttavia decise di andarsene poco dopo). Era dunque iniziato il processo irreversibile di espulsione degli artisti dal movimento, che si preparava così alla sola opera d’arte veramente situazionista: la rivoluzione.


Asger Jorn, Modifikation, zwei Pinguine (1962); Monaco, Lenbachhaus.


Asger Jorn, Guy Debord, una doppia pagina di Mémoires (1959).

“Détournement”

«Détournement: integrazione della produzione artistica attuale e passata in una costruzione superiore di ambiente, ove non vi sarà più pittura o musica situazionista, ma un uso situazionista delle stesse. In senso più banale il détournement all’interno delle vecchie sfere culturali è un metodo di propaganda, che testimonia dell’usura e della perdita di importanza di queste sfere»(*). La potenzialità di questa pratica, derivante dal modernismo artistico, verrà notevolmente ampliata negli anni successivi diventando, come precisa Perniola, «il contrario della citazione: mentre nella citazione una verità teorica formulata nel passato pretende di giudicare il presente, nel détournement è il presente che si pone come l’unico giudice delle affermazioni passate». (*) Définitions, in «Internationale Situationniste», 3, giugno 1958.

(*) Définitions, in «Internationale Situationniste», 3, giugno 1958.

La IV Conferenza e le espulsioni

Nel 1960, in vista della IV Conferenza di Londra, Debord e Paul Canjuers elaborarono uno scritto dal titolo Préliminaire pour une définition de l’unité du programme révolutionnaire, al fine di chiarire quali fossero le prospettive politiche e quindi, di conseguenza, l’organizzazione del movimento. Nel documento si affrontava il tema del rapporto tra cultura e la società capitalistica e in esso si intravedeva l’instaurazione del processo di alienazione generalizzata dalla vita quotidiana, non più relegata all’interno del mondo produttivo tra dirigenti ed esecutori, ma diffusa, su scala di massa, tra attori e spettatori. 

Quindi questa dimensione dell’alienazione risponde «perfettamente ai bisogni di una cultura reificata e alienata: il rapporto che viene stabilito in occasione dello spettacolo è, in se stesso, portatore irriducibile dell’ordine capitalista». Se, dunque, lo spettacolo è in sommo grado il diffusore dell’ordine capitalista, «non deve però apparire al pubblico come il delirio del capitalismo; deve coinvolgere il pubblico integrando elementi di rappresentazione che corrispondono, per frammenti, alla razionalità sociale. Esso deve sviare i desideri dei quali l’ordine dominante vieta il soddisfacimento». Lo spettacolo, mantenendo così la distinzione al proprio interno tra attori e spettatori, diventava luogo dell’estraneità, della non partecipazione, perché i desideri autentici non possono essere realizzati se non con il consumo capitalista che impone «un movimento di riduzione dei desideri attraverso la regolare soddisfazione dei bisogni artificiali, che restano bisogni senza esser mai stati desideri». La conseguenza di questa conferenza fu che l’organizzazione prese una forma politica quasi da “partito”, mentre prima, dalla sua nascita a Cosio d’Arroscia, era fondata su una sostanziale autonomia nazionale (anche se nascondeva di fatto un centralismo necessario, vista la dispersione geografica del movimento), in seguito il potere decisionale spettava a un Consiglio centrale. Si chiarì, inoltre, il ruolo del movimento nell’ambiente artistico (nel quale «l’Internazionale Situazionista non vuole avere alcun posto nell’edificio artistico attuale, ma lo mina sotterraneamente ») e l’intenzione di vanificare ogni possibile recupero in chiave artistica delle azioni dei suoi membri, per concentrarsi sul piano teorico e politico. Ciò determinò una durissima contraddizione tra teoria e pratica, che andò intensificandosi durante la V Conferenza avvenuta a Göteborg, dove Kotányi sosteneva che fin dall’inizio il movimento si era posto il problema di come considerare le opere artistiche dei membri dell’Internazionale situazionista, perché la teoria situazionista non accettava opere. Allora Kotányi propose di chiamarle «antisituazioniste», dichiarando che l’Internazionale situazionista evidenziava il rischio della mercificazione dell’arte, perciò affermava di non volere che ognuno smettesse di scrivere o dipingere, ma che almeno fosse consapevole che queste opere sarebbero state usate contro i situazionisti


Una copertina di “Drakabygget”, rivista della II Internazionale situazionista. Il nome era preso da quello della fattoria del fondatore, lo svedese Jørgen Nash, trasformata in comune di artisti nel 1962.

Définition minimum des organisations révolutionnaires e lo scandalo di Strasburgo

Nel luglio del 1966 si svolse la VII Conferenza dell’Internazionale situazionista. Il trattato che risulterà da questa conferenza, Définition minimum des organisations révolutionnaires, avrà notevole successo prima degli avvenimenti del Maggio del Sessantotto. Veniva asserito che il fine di un’organizzazione rivoluzionaria è l’abolizione delle classi, senza giungere a ulteriori divisioni, e deve essere globale. Ciò non significa l’autogestione del mondo da parte delle masse, ma «un’ininterrotta trasformazione del mondo» in netta antitesi con la situazione stagnante della società dello spettacolo, che mantiene il suo potere attraverso la manipolazione dell’informazione e della disinformazione. In tutto ciò, grande ruolo era riservato al linguaggio: «la presa di possesso del linguaggio del potere è assimilabile al suo impadronirsi della totalità [...] l’informazione è la poesia del potere». 
Un avvenimento importante nella storia del movimento fu lo scandalo di Strasburgo. Utile soprattutto per sottolineare quanto l’Internazionale situazionista abbia sempre rifiutato di mettersi a capo delle rivolte (anche quella di Maggio), ma abbia voluto semplicemente fiancheggiarle a livello teorico. A Strasburgo alcuni studenti informarono i situazionisti che alcuni loro compagni, in contrasto con il sindacato studentesco, si erano affiliati a un’associazione studentesca locale. A questo punto i situazionisti consigliarono di redigere un testo in cui venisse spiegato il motivo di tale dissidio con il sindacato e la società più in generale. Venne pubblicato il testo con l’aiuto di Khayati che in realtà lo scrisse e più volte lo mise all’approvazione degli studenti. A questo punto esplose lo scandalo e l’Intenazionale situazionista venne duramente criticata a livello mediatico.

Con un articolo essi subito si difesero affermando di non avere la benché minima intenzione di porsi a capo di una rivoluzione studentesca, non per mancanza di interesse verso il mondo giovanile, bensì in quanto non ne condividevano in alcun modo i metodi, citando i teppisti francesi Blousons noirs, i Provos olandesi, gli Hooligans dell’Est e altri che secondo i situazionisti esprimono un rifiuto nichilista alquanto controproducente e privo di una coerente critica teorica. Il testo si concludeva così: «Le rivoluzioni proletarie saranno delle feste o non saranno affatto, perché la vita che esse annunciano sarà essa stessa creata all’insegna della festa. Il gioco è la ratio profonda di questa festa. Le sue uniche regole saranno: vivere senza tempo morto e godere senza ostacoli». 
Questo opuscolo, diffuso in trecentomila copie e tradotto in otto lingue, ha svolto un ruolo fondamentale nei disordini del Maggio 1968. 
Oltre a questo articolo, altri due libri situazionisti pubblicati nel 1967 giungeranno ad una notevole fama e divulgazione: il saggio di Vaneigem, Trattato di saper vivere ad uso delle giovani generazioni e l’opera di Debord La società dello spettacolo.

Il Maggio del Sessantotto

Per i situazionisti non è tanto il caso di dilungarsi a parlare di questo trionfo, che è «semplicemente quello del movimento rivoluzionario moderno» non perché il suo significato non sia importante, ma perché è già il momento di «criticare il movimento di maggio e inaugurare la pratica della nuova epoca».
Nella maggior parte dei casi, i lavoratori non hanno saputo dire ciò che veramente volevano, ma questo è accaduto perché di fatto non esistevano le condizioni concrete perché prendessero la parola, soffocati anche da quei sindacati che prima, per paura, si erano distaccati e poi successivamente li avevano inglobati facendosene portavoce.
L’analisi dell’Internazionale situazionista sui fatti di Maggio continua osservando il ruolo degli studenti: alcuni hanno aderito alle esigenze dello sciopero e sono stati, senza dubbio, una delle micce che hanno fatto esplodere la contestazione. Ma essi non sono stati effettivamente «trasformati» da essa per il «destino sociale che definisce lo studente: il divenire dello studente è la verità del suo essere». Lo studente è formato per essere totalmente inquadrato nella produzione industriale moderna. «Lo studente è del resto in malafede quando si scandalizza di scoprire questa logica della sua formazione - che è sempre stata francamente dichiarata». Gli studenti hanno partecipato alla protesta proprio perché è stato messo in dubbio il carattere desiderabile dei privilegi che la società è pronta a offrirgli.
Parlare di riuscita o di fallimento di una rivoluzione non significa nulla, perché dalle rivoluzioni borghesi in poi «nessuna rivoluzione è ancora riuscita». Si creano dei «momenti rivoluzionari» di rilevanza storica che sono stati chiamati rivoluzioni. Questi momenti hanno portato importanti sconvolgimenti nell’ordine sociale ed economico dominanti, facendo nascere nuove forme e nuove concezioni della vita reale. Uno dei peggiori modi per determinare se una rivoluzione è avvenuta è quello di basarsi sulla caduta o meno del regime politico al potere in quel momento.


Maggio Sessantotto: gli studenti parigini occupano Champ de Mars di fronte alla torre Eiffel.

Un mese prima dell’uscita della dodicesima edizione di “Internationale Situationniste” Debord, mediante una lettera alle sessioni dell’Internazionale situazionista, comunicò che dopo quel numero avrebbe cessato di assumersi la responsabilità legale e redazionale della rivista, invocando il principio rivoluzionario «della rotazione dei compiti». Debord si era occupato quasi interamente della scrittura degli ultimi due numeri nonostante il numero dei componenti fosse aumentato. Egli voleva così mettere in guardia l’Internazionale situazionista dall’adagiarsi su quanto già si era fatto: era importante che essa non cadesse in un «atteggiamento autoelogiativo», ed egli riteneva di grande importanza portare avanti la critica della società e insistere sull’importanza di una «partecipazione effettiva ad una attività comune reale». 

Questo discorso appariva alquanto urgente anche in corrispondenza del fenomeno dei cosiddetti “pro-situ”, coloro che simpatizzano per una corrente o un pensiero senza apportarvi un contributo teorico, principale causa di una situazione stagnante nel movimento. Dopo Venezia, secondo Debord, sarebbe stato più facile espellere tutti questi membri inattivi e prenderne altri che portassero nuova linfa all’Internazionale situazionista. Il movimento ne sarebbe uscito rafforzato, ma «le conclusioni teoriche più generali che si potevano già abbozzare su questa crisi e sulla nuova epoca, al contrario, ci portavano alla certezza che conveniva indebolire l’Internazionale Situazionista». Inoltre, prendere dei nuovi avrebbe voluto dire, almeno all’inizio, sottoporli alla subordinazione delle prospettive già consolidate dell’Internazionale situazionista, ma i situazionisti si sono posti ormai fuori da questa logica: «Noi non vogliamo più una tale subordinazione, neppure momentanea, adesso che abbiamo capito bene che cos’è appunto perché l’epoca adesso ci permette di farne a meno. Tali adesioni avrebbero dunque costituito una cattiva strada; e per condurre a un risultato a sua volta inopportuno». Secondo l’autore, il fatto che l’Internazionale situazionista mantenesse il silenzio era una necessità soprattutto in Francia. «In primo luogo, per interrompere il riflesso condizionato di una folla spettatrice - certamente più della metà delle nostre decine di migliaia di lettori - che aspettava solamente il prossimo numero della rivista che aveva preso l’abitudine di consumare, al fine di aggiornare le sue conoscenze e la sua ortodossia di sogno»; ma anche perché «l’Internazionale Situazionista non aveva mai scritto nulla che sia segretamente in contraddizione con ciò che essa, nel complesso, era». 

Il nuovo comitato di redazione della rivista composta dai situazionisti Beaulieu, Riesel, Sébastiani, e Viénet, per oltre un anno non riuscì a scrivere nulla. Così nel 1970 Vaneigem diede le dimissioni accusando l’Internazionale situazionista di non aver concretizzato nulla negli ultimi dieci anni, seguirono quelle di Viénet nel 1971 e l’esclusione di Riesel. Fu così che il situazionista italiano Sanguinetti raggiunse a Parigi Debord, ormai rimasto solo, e nel 1972 diedero alle stampe l’ultimo testo del leggendario movimento: La véritable scission dans l’Internationale.


Travailleurs unis (francais, immigrés) (1968), affiche pubblicata da Atelier Populaire.

Les Ouvriers de Flins l'avant poste de la resistance proletarienne (1968), affiche.


La copertina di La véritable scission dans l’Internationale Situationniste (Parigi 1972).

La véritable scission dans l’Internationale

La prima parte del testo esamina la storia e i successi dell’Internazionale situazionista, un’analisi del Maggio del Sessantotto e i nuovi sviluppi che si intravedono negli anni Settanta in cui: «si è smarrito il rispetto dell’alienazione. I giovani, gli operai, la gente di colore, gli omosessuali, le donne e i bambini si accorgono di volere tutto quanto era loro vietato». In una visione ottimistica pensano che ormai lo spettacolo si sta autodistruggendo. Continuano lo scritto attaccando i “pro-situ” poiché la fine è anche dettata dalla necessità di non far degenerare il movimento con persone che riprendano la teoria senza saperla mettere in pratica. Quando la rivoluzione è ancora lontana, il compito di una organizzazione rivoluzionaria è soprattutto «la pratica della teoria». Quando inizia la rivoluzione, il compito più difficile è la «teoria della pratica». Il progetto si tuazionista non è certo morto con la fine dell’Internazionale situazionista, questa è stata solo la fine di un’organizzazione nata per fini precisi in un dato momento storico. La fine dell’organizzazione era anzi diventata necessaria per la nascita di una nuova critica radicale. Ormai i situazionisti sono dappertutto, come il loro compito. Gli autori ritengono che lo scioglimento dell’Internazionale situazionista sia stato uno dei maggiori contributi che hanno dato al movimento rivoluzionario: «Diventeremo ancora più inaccessibili, ancor più clandestini. Più le nostre tesi saranno famose, più noi stessi saremo oscuri».


L’attrice Catherine Deneuve e (alla sua sinistra) il produttore Gérard Lebovici al gala di Shirley MacLaine al Lido di Parigi (25 aprile 1979).

Debord: il pessimismo, la morte di Lebovici e il suicidio

Negli ultimi anni di vita di Debord la sua visione si fece più pessimistica. Nei Commentari alla Società dello spettacolo usciti nel 1988 egli riconobbe una nuova forma della società spettacolare che egli chiamò «integrato». Nella prima edizione del 1967 egli aveva sostanzialmente diviso il processo in due versioni: quello «concentrato» tipico delle dittature, in cui il centro è identificabile in una persona e in una ideologia dove la burocrazia statale assume un ruolo centrale nelle decisioni economiche e sociali, e quello «diffuso», proprio di quei sistemi politici (Stati Uniti e democrazie occidentali) che hanno già favorito una notevole diffusione e abbondanza delle merci, le quali sono già in grado di raggiungere in questo modo vasti strati della popolazione. Lo spettacolare integrato al tempo stesso si manifesta come concentrato e come diffuso e, secondo l’autore, trova nell’Italia e nella Francia le nazioni-laboratorio di questa nuova forma. Oggi più nulla sfugge allo spettacolo, lo si trova mischiato in ogni cosa: «Non esiste più nulla, nella cultura e nella natura, che non sia stato trasformato, e inquinato, secondo le capacità e gli interessi dell’industria moderna». Il governo dello spettacolo attualmente possiede tutti i mezzi per falsificare l’insieme della produzione e della percezione, è padrone assoluto dei ricordi e dei progetti. Possedere uno «statuto mediale» è diventato molto più importante di ciò che si è effettivamente capaci di fare. La società pervasa dallo spettacolare integrato è contraddistinta da cinque caratteristiche fondamentali: «il continuo rinnovamento tecnologico; la fusione economico-statale; il segreto generalizzato; il falso indiscutibile; un eterno presente». Il rinnovamento tecnologico è ormai un fatto che dura da anni e che sta alle fondamenta del capitalismo. È infatti grazie alla tecnologia che ogni individuo è in balia degli specialisti e dei loro calcoli. La fusione economico-statale è il motore dello sviluppo economico più recente. L’alleanza tra economia e Stato ha assicurato loro reciproci vantaggi. Tale unione si è dimostrata favorevole all’affermarsi del dominio dello spettacolo: le ultime tre caratteristiche sono gli effetti diretti di questo dominio. Il segreto generalizzato è dietro lo spettacolo ed è il complemento decisivo di ciò che esso mostra e, approfondendo la questione, la sua operazione più importante. Il vero ormai non esiste più, e il falso, divenuto indiscutibile, ha fatto sparire l’opinione pubblica, che inizialmente non è riuscita a farsi sentire e in seguito non è più riuscita nemmeno a formarsi. Si dimentica il passato e non si pensa al futuro: ciò è dovuto a un’informazione circolare, che non fa che ritornare su scempiaggini e per di più sempre le stesse, date come cose di capitale importanza. Le notizie di reale interesse non vengono passate, o lo si fa solo per momenti brevi.
Gérard Lebovici, produttore cinematografico e impresario francese, aveva sempre sostenuto Debord (che era notoriamente avverso al lavoro) economicamente e si era occupato della stampa di alcune produzioni dei situazionisti con la sua casa editrice Edition Champ Libre fondata nel 1969. Aveva anche prodotto alcuni film di Debord, dal famoso La società dello spettacolo del 1973 in poi. Il 7 marzo 1984, Gérard Lebovici fu trovato ucciso nel sedile anteriore della sua auto nel seminterrato del parcheggio dell’avenue Foch a Parigi. Assassinato il 5 marzo con quattro proiettili sparati alla nuca. Non furono mai trovati i colpevoli. Debord, intimorito da questo fatto, fuggì da Parigi per ritrovarsi a Bellevue-la- Montagne, piccolo paesino nell’Alta Loira dove malato, a causa dei suoi problemi alcolici, decise di suicidarsi con un colpo di fucile il 30 novembre del 1994.


Gérard Lebovici con René Château, produttore di video, durante le riprese di Les Morfalous, di Henri Verneuil (Parigi, marzo 1984).

SITUAZIONISMO
SITUAZIONISMO
Ugo Nespolo
Uno dei movimenti di avanguardia più singolari e multiformi del XX secolo è il situazionismo. Meno noto di altri esperimenti creativi del secondo dopoguerra, è stato tuttavia molto più influente di altri sul pensiero contemporaneo. Nato in Italia, in Liguria, nel 1957, da un gruppo di artisti, pensatori e letterati di estrazione anarco-marxista, durò circa un quindicennio tra fratture e segmentazioni, ed ebbe come componente più nota quella del gruppo Co.Br.A. Tra i suoi più attivi propagandisti il filosofo e sociologo francese Guy Debord, il pittore danese Asger Jorn e Giuseppe “Pinot” Gallizio, langhigiano, inventore della “pittura industriale”, che aprì la strada ai monocromi e ai movimenti di superamento dell’Informale. Il situazionismo non presenta “capolavori”: incide direttamente sulle “situazioni”, appunto, esistenziali, influenzando il Sessantotto e molti degli estremismi del tempo in cerca di nuove strade espressive.