IL PRIMO "JAPONARD"
DEL MONDO OCCIDENTALE
Straordinario comunque è l’ingresso del nostro artista nel continente del giapponismo, nettamente superiorea quanto stavano facendo i suoi compagni di via.
Per assecondare meglio questo ingresso nell’universo dell’indefinito, dello sfumato, risulta opportuno valersi di supporti in cartone, da rapido bozzetto, come avviene in una ennesima Sinfonia in bianco, animata da Tre ragazze (1868, Washington, Smithsonian Institution, Freer Gallery of Art), e in una figura che apre, come un pavone pronto a fare la ruota, la sua veste deliziosamente drappeggiata in strascichi. In questo caso il pensiero del pittore va a una eroina letteraria, la Annabel Lee, musa ispiratrice di Edgar Allan Poe (1870, Washington, Smithsonian Institution, Freer Gallery of Art).
Ma corriamo ormai verso l’esito ultimo di questa marcia forte e sicura di Whistler verso un giapponismo che osa sfidare la stessa fonte di quel gusto, quasi applicando il detto del “portare vasi a Samo”, ovvero di praticare stilizzazioni ancor più audaci di quante si possano trovare nel cuore delle isole nipponiche. Siamo ormai agli inizi degli anni Settanta, e nelle sue incessanti puntate e permanenze a Londra l’artista ha incontrato una coppia di ricchi borghesi del luogo, i coniugi Leyland, cui dedica un ritratto ciascuno, come è ormai diventato suo costume, e anche fonte di reddito. Il ritratto di Mrs Frances Leyland non si discosta molto dai precedenti omaggi in costume “japonard”, dando luogo a una Sinfonia color carne e rosa (1871-1874, New York, Frick Collection). Più rari, fino a quel momento, i cimenti col ritratto maschile per il quale evidentemente bisogna lasciare da parte le vestizioni di gusto estremo-orientale, ma non per questo l’artista rinuncia alle sue propensioni per una terminologia musicale, e dunque anche per Mr Leyland si tratterà di un Arrangiamento in nero, con relativa acquiescenza alle imposizioni della moda. Nelle occasioni di gala, e i ritratti stesi dal nostro pittore appartengono a questa categoria, l’abito scuro è di rigore, sarà questa una regola cui raramente rinuncerà anche nella successiva lunga serie di ritratti di personaggi virili.
La figura ritratta svetta, lunga, estenuata, occupando l’asse centrale del dipinto, e soltanto il volto, lo sparato della camicia, una mano dinoccolata osano uscir fuori dall’armonia in scuro rigorosamente dominante, adottando una tipologia che poi ritroveremo in altri cultori della ritrattistica virile, dal nostro Giovanni Boldini fino a un altro straordinario esponente della scuola statunitense quale John Singer Sargent. In fondo fin qui nulla di eccezionale, di eccedente rispetto all’ormai stabilita linea di navigazione del nostro pittore, senonché il signor Leyland ha l’infelice idea di fidarsi troppo del suo cantore, fino a lasciargli le chiavi della sua casa londinese, in occasione di una sua assenza prolungata. Whistler, credendo di far bene, di rendere un favore al padrone della dimora, penetra nel salotto buono dove fra l’altro Leyland tiene una superba collezione di preziose porcellane, e dunque, “nomen omen”, ci sta bene piazzare su una parete la Principessa del paese di porcellana, dominatrice cioè proprio in quel paese in cui il nostro artista si crede felicemente approdato, avendo sortito dall’ospitante una specie di “licenza di uccidere”. Quindi perché non procedere a un “arrangement” strepitoso, cui egli stesso non era ancora giunto? A ispirarlo entra il tema dei pavoni, la cui ruota vale assai più di qualsivoglia manto o strascico di geishe o principesse, vale a esercitare un effetto frusciante nell’aria, appianante, come di tanti ventagli agitati in simultanea. Ne viene una stilizzazione superba, mai vista dalle nostre parti, con cui l’Occidente riscatta secoli, per non dire millenni, spesi nel disprezzo o nell’accantonamento dei motivi decorativi. Il nostro prodigioso decoratore non si nega nulla, in un pannello i pavoni dispongono per il lungo i loro manti, pare di udirne lo starnazzare, ovvero l’emettere note non proprio sinfoniche, in questo caso, che comunque valgono a ricamare lo spazio, a ricoprirlo di una fastosa epidermide, pulsante, reattiva. Su una parete attigua i pavoni restringono invece le code portentose, come farebbero le fanciulle che devono raccogliere i manti per uscire di scena. A questo modo Whistler conduce un’impresa epica, che in quel momento nessun altro occidentale era in grado di compiere, si proietta in avanti, raggiunge le magiche soglie del simbolismo, di Gauguin, dei Nabis, o meglio ancora del più brillante esponente inglese di quell’età, Aubrey Beardsley. L’artista, giustamente compiaciuto del suo lavoro, attende di ricevere il plauso di Mr Leyland al suo ritorno, ma invece l’arcigno borghese non apprezza affatto quell’intervento, che non è in grado di comprendere nel suo valore inusitato, anzi minaccia l’artefice di ritorsioni, anche giudiziarie, e comunque non intende pagargli per intero il compenso che l’esecutore pretende. Forse, in margine a questo capitolo vale pure la pena di osservare che Whistler, con una totale coerenza degna proprio dei futuri artefici della congiuntura simbolista-Art Nouveau, ragiona in misura totalizzante, concependo un universo armonico, dal mini al maxi. Infatti decide di stilizzare anche la propria firma adottando l’icona felicemente attorta di una farfalla, alla maniera di un gioiello degno di Tiffany. Quell’esile stilema è l’unico che si addice alla cartografia del mobile e dell’eccentrico prodotta sulle pareti del salotto prodigioso. Fosse stato per Leyland, si sarebbe proceduto alla demolizione della Peacock Room (Stanza dei pavoni), ma in seguito se ne è riconosciuta tutta l’importanza, e i pannelli sono stati salvati e trasferiti allo Smithsonian Institution di Washington (Freer Gallery of Art) dove si possono ammirare tuttora. È quasi la vicenda su cui tanto tempo dopo il regista francese René Clair imbastirà il suo Fantasma galante, storia del riccone yankee che acquista un castello scozzese non sapendo che vi è incluso anche lo spirito vendicativo di un avo in cerca di vendetta. A dire il vero, Whistler non avrebbe mai accettato il trasferimento del suo capolavoro di estro decorativo in una patria non amata.
WHISTLER
Renato Barilli
James Abbot McNeill Whistler (Lowell, Mass., 1834 - Londra 1903) è figlio di un ingegnere, pioniere della costruzione di linee ferroviarie negli Stati Uniti che, su richiesta dello zar Nicola I, si trasferisce a San Pietroburgo nel 1842. È quindi in Russia che James, ancora bambino, si appassiona al disegno e alla pittura. Si trasferisce poi a Londra e poi di nuovo negli Stati Uniti. Nel 1855 lascia per sempre la sua patria e sceglie la bohème parigina. Entra nel mondo dei caffè, degli artisti e dei poeti. Il suo carattere difficile, i toni spavaldi, lo stile libero da accademismi e centrato sul colore gli attirano consensi e critiche; si lega a Courbet, Monet, Lautrec, a Oscar Wilde. Sostiene un'arte che vive solo dei propri valori estetici, libera da intenti morali o pedagogici come dall'imitazione della natura. I suoi quadri sono come impressioni musicali, armonie cromatiche, improvvise esplosioni di luce.