LA GRANDE SFIDAA DEGAS E MANET

Potremmo entrare in cronaca diretta parlandodi Al piano (1858-1859, Cincinnati, Taft Museum),

forse la madre Anna e la nipotina Annie Haden, un dipinto, come gli altri che verranno subito dopo, in cui l’artista venuto dal Nuovo Continente lancia il guanto di sfida ai due più avanzati esponenti della nascente avanguardia francese, Degas e Manet, incontrando assieme a loro il rifiuto del gusto dominante, fino a dover esporre dipinti del genere, nel 1863, nel famoso Salon des Refusés, accanto alla tela storica di Manet, Le déjeuner sur l’herbe. Senza bisogno dell’apporto di questi suoi due straordinari coetanei, al pari di loro, e forse ancor più di loro, Whistler sa comporre “per il lungo”, in sequenza orizzontale, sottolineata dall’abile sfruttamento del motivo delle cornici di quadri alle pareti, che sono come dei tiralinee, delle asticelle di sbarramento per impedire che la vista si prolunghi troppo a distanza e si faccia troppo descrittiva. L’attenzione si concentra sui due personaggi, schiacciati a loro volta contro la parete, in modo da stendere le loro silhouette, come sforbiciate con mano sicura, e campite con stesure essenziali, l’una in nero, l’altra in bianco, a ricordo della già acquisita sapienza nell’incisione, ma con una colorazione leggera e aerea diffusa attorno alle due “macchie”. Si sa bene che lo scandalo con cui allora quei dipinti furono accolti fu soprattutto di natura mentale, in quanto venivano offese le sacre regole della prospettiva. Si doveva constatare che artisti nostrani, partoriti entro le sacre terre dell’ Occidente, osavano impostare le loro figure “à plat”, traendo senza dubbio qualche suggerimento dalle allora diffuse stampe giapponesi. Ma vedremo, sarà proprio Whistler a ricavarne il maggior impulso, più moderato nei suoi due comprimari. Seguiamo comunque questa pista primaria, produttrice di una serie di capolavori. Forse il dipinto più ricco e complesso è Armonia in verde e rosa: la Stanza della musica (1860-1861, Washington, Smithsonian Institution, Freer Gallery of Art), dove domina la sagoma della figura sforbiciata in nero, mentre la fanciulla in bianco le si stringe a lato, senza però affondare in profondità. E a complicare la scena si affaccia pure una terza presenza sulla destra, anch’essa schiacciata come una figurina da attaccare a un album. Da notare anche la vistosa presenza di elementi decorativi, i tendaggi, che allora entravano senza dubbio nell’ambito di un interno di agio borghese, ma che a livello compositivo servono all’artista per ripartire i settori della sua narrazione, accentuando il trasferimento di tutto il discorso sui primi piani. Nello stesso tempo la preziosa apparizione di motivi floreali su quelle stoffe costituisce già una piena rispondenza al gusto estremo-orientale, ovvero il nostro James sta bruciando i tempi, come neppure gli straordinari compagni di ardimento Degas e Manet osano fare, egli sta diventando un “japonard” in anticipo sul “Nabi” Pierre Bonnard, e in genere su tutto il clima simbolista a venire. E compare pure un altro elemento decisivo, l’accento posto sull’“ armonia”, che è una nuova sconfitta nei riguardi del realismo mimetico tipico della nostra tradizione occidentale, che ama la precisione, il trionfo del visivo su altri sensi, a cominciare da quello dell’udito. Anche per questo verso il nostro James marcia in avanti, anticipa il poeta Verlaine, nato un decennio dopo, col suo precetto che inviterà a fare “de la musique avant toute chose”, della musica prima di tutto. Per un poeta, un precetto del genere potrebbe anche apparire ovvio, mentre per un pittore è eversivo, anche se poi prontamente l’artista rientra nell’ambito delle sensazioni pittoriche “sposando” al valore musicale un complemento cromatico. Qui si parla di un verde e rosa, ma anche in seguito questa sarà una costante in tutti gli altri dipinti usciti dalle mani di Whistler, quasi una sua firma, a conferma di quanto siano per lui inevitabili questi complementi cromatici, incaricati di alleggerire la descrizione, di renderla quasi solubile, aerea.


Armonia in verde e rosa: la Stanza della musica (1860-1861); Washington, Smithsonian Institution, Freer Gallery of Art.

Al piano (1858-1859); Cincinnati, Taft Museum.

Sinfonia in bianco n. 1 (1862); Washington, National Gallery of Art.


Sinfonia in bianco n. 2 (1864); Londra, Tate Britain.


Arrangiamento in grigio e nero, ritratto n. 1 (La madre di Whistler) (1871); Parigi, Musée d’Orsay.

In fondo, il giovane allievo di Westpoint era nel giusto quando pretendeva di trasformare le sostanze solide come il silicio in entità gassose. L’apprendista militare non poteva pronunciarsi a quel modo, ma il pittore sì, e avrebbe insistito con totale pervicacia su questo tasto, fino a scavalcare perfino la musicalità a venire del simbolismo, per spingersi magari nel pieno delle avanguardie del Novecento, verso esiti degni di Matisse e di Rothko. Ma insistiamo su questa serie di capolavori stesi al giro di boa tra gli ultimi Cinquanta e i primi Sessanta. Ecco subito una nuova Sinfonia, questa volta in bianco, n. 1. (1862, Washington, National Gallery of Art). Come si vede, il pittore non perde tempo, adotta la nomenclatura in uso proprio presso i musicisti quando devono denominare e numerare le loro composizioni, un’audacia che Degas e Manet non hanno mai raggiunto, anche perché, malgrado tutto, pur aspirando verso esiti assai simili, il loro passo è sempre stato più materializzato. Questa volta domina lo slancio verticale per rendere giustizia alla bellezza del soggetto, una modella famosa, Jo Hiffernan, ben nota a tutto l’ambiente della bohème parigina per il magnifico colore rosso acceso della sua chioma: Whistler stabilirà con lei una relazione di parecchi anni. 

Armonia in grigio e verde (Ritratto di Miss Cicely Alexander) (1872-1873); Londra, Tate Britain.


Arrangiamento in grigio e nero n. 2 (Ritratto di Thomas Carlyle) (1872-1873); Glasgow, Glasgow Museums, Kelvingrove Art Gallery and Museum.

La bella Jo, preda ambita dalla dagli ambienti parigini di punta, invaghì di sé anche Gustave Courbet, e certamente contribuì alla rottura tra il giovane in piena ascesa e l’anziano maestro, del resto il colore terroso, fin troppo materico di quest’ultimo era del tutto incompatibile con la levità aerea di cui si nutriva l’altro. Ma anche in questo caso, oltre al fascino della figura, e relativo complemento aneddotico, dobbiamo avere occhi per il tappeto su cui la creatura evanescente poggia, che risulta già animato da motivi arabescati, quasi anelanti a mettersi in proprio, a rizzarsi, a fare parete, a distendersi fornendo uno spettacolo autonomo.Ma abbiamo ancora da insistere su questa gloriosa serie di capolavori. Ecco subito una seconda Sinfonia in bianco (1864, Londra, Tate Britain), in definitiva più centrale nel repertorio whistleriano in quanto lo schiacciamento parietale si riprende lo spazio che nel dipinto precedente era andato allo slancio verticale. Questo avviene a opera della sagoma schematica del caminetto cui la giovane, ancora una volta la fulva Jo, appoggia mollemente un braccio, ma è importante soprattutto che la fuga in profondità sia sbarrata da uno specchio capace di rimandare indietro il volto della giovane, e anzi di permetterne la lettura rivoltandolo verso di noi, mentre strategico è anche il ventaglio che la donna agita in primo piano, quasi dandogli il compito di schiacciare ulteriormente la scena, a colpi di paletta. E ci sono pure gli immancabili motivi floreali, che anche in questo caso si accontentano di starsene tra le quinte, in attesa di assumere responsabilità più accentuate. In questo ambito conviene collocare altri dipinti, anche se più tardi, realizzati oltre il capo del 1870, ma in modi del tutto simili, e anzi conseguendo una piena eccellenza.È del 1871 il ritratto dedicato alla madre, inizialmente, come si è detto, non troppo pronta ad assecondare le attitudini del figlio, ma poi piena di riguardi e di comprensione verso di lui, con suo pieno ricambio. Accantonato il termine pur così efficace di “sinfonia”, ora e in seguito Whistler adotta l’altro, ma pur esso di totale cittadinanza nel settore musicologico, di “arrangement”, e beninteso non 15 può mancare di comparire un coppia di valori cromatici, in questo caso il grigio e il nero. Il dipinto costituì una delle maggiori soddisfazioni e riconoscimenti dell’artista in quanto venne acquistato per le collezioni statali francesi del Luxembourg, poi confluite nel Louvre. Ancora una volta domina il motivo delle cornici, rigorosamente in nero, a chiudere la ribalta, a ricacciare la visione in primo piano, mentre anche la sagoma della madre, per non portar via spazio, si piega in due, ad angolo retto, secondo la tipica impostazione del neoclassicismo, da David a Ingres, mossi dai medesimi intenti. Un dipinto molto vicino alle ballerine degasiane è il ritratto di Miss Cicely Alexander, per cui questa volta vale una Armonia in grigio e verde (1872-1873, Londra, Tate Britain), dove ancora una volta a scandire lo spazio, a imporgli quasi delle coordinate cartesiane c’è un’asta che solca la parete in verticale, fino a imporle uno schema assai vicino a una sezione aurea, quasi in anticipo su un Mondrian a venire. La fanciulla dal canto suo si colloca al centro rispettando un perfetto asse di simmetria tra i due sbuffi della sottana, mentre un vezzoso copricapo pendente dal braccio risponde al solito compito di ridurre ancor più la profondità spaziale. Nell’occasione può essere utile osservare che il nostro artista era molto esigente nei confronti di chi posava per lui, assoggettandolo a lunghi tempi di posa, nel che si ritrova una affinità con Degas, anche lui implacabile, soprattutto quando, negli anni tardi, si era deciso a valersi dell’apparecchio fotografico, allora ben lontano dalla capacità tecnica dell’istantanea.Un altro capolavoro whistleriano di questo calibro è il ritratto dedicato allo scrittore inglese Thomas Carlyle, frutto degli innumerevoli pendolarismi, su cui dovremo ritornare, cui l’artista si dava tra le due capitali dell’Occidente. Anche questa volta l’“arrangiamento” è in grigio e nero, l’opera si trova a Glasgow, Kelvingrove Art Gallery and Museum. Come sempre, a chiudere l’accesso alla profondità ci pensano due quadri alle pareti, obbligando anche il vistoso cappotto o mantello della persona ritratta a piegarsi in modi ingegnosi, come se le mani esperte di una commessa lo stessero piegando su un bancone di vendita.

WHISTLER
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Renato Barilli
James Abbot McNeill Whistler (Lowell, Mass., 1834 - Londra 1903) è figlio di un ingegnere, pioniere della costruzione di linee ferroviarie negli Stati Uniti che, su richiesta dello zar Nicola I, si trasferisce a San Pietroburgo nel 1842. È quindi in Russia che James, ancora bambino, si appassiona al disegno e alla pittura. Si trasferisce poi a Londra e poi di nuovo negli Stati Uniti. Nel 1855 lascia per sempre la sua patria e sceglie la bohème parigina. Entra nel mondo dei caffè, degli artisti e dei poeti. Il suo carattere difficile, i toni spavaldi, lo stile libero da accademismi e centrato sul colore gli attirano consensi e critiche; si lega a Courbet, Monet, Lautrec, a Oscar Wilde. Sostiene un'arte che vive solo dei propri valori estetici, libera da intenti morali o pedagogici come dall'imitazione della natura. I suoi quadri sono come impressioni musicali, armonie cromatiche, improvvise esplosioni di luce.