L’INDIVIDUO
E IL RITRATTO

La pittura fiamminga del Quattrocento tende a individualizzare là dove quella italiana coeva cerca l’esemplarità, l’immagine ideale.

SSi contrappongono una volontà descrittiva e una dimostrativa, che tutto riconduce alle leggi e ai principi universali a cui risponde la realtà che guardiamo. È la differenza - come accennato nel capitolo precedente - tra il nominalismo diffuso nell’Europa del Nord, per il quale la realtà appartiene ai singoli oggetti così come li percepiamo, e il neoplatonismo italiano (molto seguito nell’ambito intellettuale fiorentino) per il quale la verità è nell’idea, non nella sua apparenza e consistenza fisica. Panofsky descrive la dialettica Nord-Sud come quella fra due poli elettrici capaci di creare comunque un unico circuito in cui inizialmente è il Sud ad approfittare della corrente settentrionale proprio per dare vita e concretezza alla sua ricerca del bello ideale che le incombenti vestigia greco-romane mostravano come modello inarrivabile; come è evidente, si guardava all’antico per creare qualcosa di nuovo. Ma a quel modello nel Quattrocento il Nord non mostra di interessarsi particolarmente. Nel secolo successivo la corrente si invertirà, e l’Italia diverrà un esempio da seguire per molti artisti nordeuropei.


Robert Campin, Ritratto di uomo corpulento (1425 circa); Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza.


Jan van Eyck, Ritratto di Jan de Leeuw (1436); Vienna, Kunsthistorisches Museum.

Un cambiamento comune è nella riscoperta dell’individuo, e la pittura sarà il principale laboratorio di questa indagine e riaffermazione; in area fiamminga questa nuova attenzione appare estremamente chiara. Nella ritrattistica italiana del tempo si avverte un minore interesse per l’individuazione, per i dettagli. In Fiandra, il riemergere dell’individuo e l’urgenza della sua rappresentazione comportano di conseguenza e spiegano la ricerca spasmodica di realismo, di nuove tecniche tese al raggiungimento di un’adesione totale al dato dell’esperienza visiva. Ricerca che occupò l’area culturale dei Paesi Bassi (soprattutto) fino ai suoi estremi esiti nel Seicento olandese. Questa attitudine era deprecata da Michelangelo, che rimproverava ai fiamminghi di inseguire la realtà invece della bellezza(20), marcando così la decisa divaricazione dei due percorsi creativi che ebbe luogo a partire dal XVI secolo.

I primi, nelle Fiandre, a cimentarsi con una nuova maniera di eseguire un ritratto sono Robert Campin e Jan van Eyck.

Robert Campin esordì nel 1425 circa con un esempio di realismo davvero impressionante: il suo Ritratto di uomo corpulento (Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza; un’altra versione è a Berlino) è il primo piano ravvicinato di una persona assolutamente individualizzata nei suoi tratti somatici, nell’espressione, nello sguardo; qualcuno che abbiamo quasi l’impressione di conoscere, tanto è comune, reale, impietosamente indagato senza alcuna idealizzazione, così come doveva apparire, massiccio, con la barba di un paio di giorni e del tutto privo di vezzi. Si trattava molto probabilmente di Robert de Masmines, un cavaliere della corte di Filippo il Buono; un uomo, in qualche modo, “comune”.


Detto anche Timoteo, per una delle parole incise nella pietra del parapetto che delimita in primo piano il ritratto: «tymotheos», in caratteri greci. È il prototipo del ritratto di tre quarti introdotto proprio da Van Eyck. Alcuni studiosi lo hanno identificato nel musicista Gilles Binchois, anch’egli, come il pittore, attivo alla corte di Filippo il Buono. In mancanza di dettagli che alludano alla professione di musicista l’ipotesi non può essere confermata che da un tenue riferimento al musicista greco del V secolo Timoteo di Mileto.


Jan van Eyck, Ritratto di giovane (1432); Londra, National Gallery.

(20) L’opinione di Michelangelo è riportata in F. de Hollanda, Dialoghi di Roma (1538 circa), a cura di R. Biscetti, Roma 1993.

(21) S. Todorov, op. cit., p. 224.

Per Jan van Eyck è solo penetrando nell’individualità che si accede alla verità e alla percezione della bellezza, intese come tangibili prove di una verità e una bellezza più alte. Una verità e una bellezza destinate a svanire, colte in quel preciso momento e non in un altro. Nell’arte italiana del Rinascimento, invece, la rappresentazione della figura umana mira a restituire l’immagine di quelle che Todorov definisce «categorie illustrate da individui»(21), idealizzazioni fatte percepire attraverso tratti personali, esseri che vanno oltre il tempo e la contingenza per divenire in qualche modo “eterni”.

Forse per questa ragione - per la loro inedita adesione al soggetto senza filtri di sorta - i ritrattisti fiamminghi divennero subito molto popolari proprio fra i mercanti italiani che erano venuti in contatto con loro frequentando le loro città: gli Arnolfini, i Cenami, gli Albergati, i Montefeltro, gli Aragona di Napoli, i Portinari, i Medici.
Nel ritratto queste caratteristiche di estrema fedeltà al soggetto sono ovviamente molto apprezzate. Anche se non mancano differenze tra un artista e l’altro.
Il modello vincente del ritratto fiammingo prevede un allargarsi dell’inquadratura a comprendere le mani (vera fissazione dei pittori nordici): atteggiate, attive, espressive, ma anche a una descrizione aperta al paesaggio del fondo, occasione per funamboliche esibizioni di talento nei dettagli, per contestualizzare il luogo con l’inserimento di monumenti riconoscibili, per dare profondità alla scena.
Nel Ritratto di giovane di Jan van Eyck (1432) conservato alla National Gallery di Londra, il personaggio è di tre quarti, con una mano su un parapetto che collega il suo spazio vitale al nostro e che reca la scritta «Leal sovvenir», “ricordo leale”, o forse “autentico”, come un’orgogliosa rivendicazione della capacità della pittura di restituirci una realtà anche in sua assenza.
Il ritratto medievale prevedeva che il soggetto fosse generalmente di profilo, l’invenzione di Van Eyck è di raffigurare il soggetto di tre quarti o di faccia, in modo da avere più dettagli da valorizzare e da conferire profondità alla scena. Ogni suo volto appare immerso nella luce e indagato con un’attenzione alle caratteristiche epidermiche e anatomiche che potremmo quasi definire diagnostica.

Rogier van der Weyden, Giovane donna (1460 circa); Washington, National Gallery of Art.
Quando dipinge questo ritratto Van der Weyden è già anziano. La tavola sembra quasi riunire in sé le linee fondamentali di tutta la sua arte. Il pallore del soggetto, lo sguardo basso, le lunghe dita nervose raccontano il carattere della donna, la sua riservatezza, l’umiltà di fondo al di là dell’appartenenza sociale (si è supposto possa essere il ritratto di una figlia illegittima di Filippo il Buono). Risaltano l’oscurità della veste e del fondo, il velo dalla trasparenza opaca che avvolge di ricercata modestia un volto bello e altero.


Petrus Christus, Ritratto di giovane donna (1470 circa); Berlino, Gemäldegalerie.
Chi è la ragazza che ci rivolge uno sguardo enigmatico da uno dei più noti dipinti di Petrus Christus? Gli studi convergono su una ventenne inglese, figlia di John Talbot, secondo conte di Shrewsbury. La tavola compare nell’inventario della famiglia Medici del 1492, fra le molte altre opere di arte fiamminga.

In questo dipinto, come anche nel suo Ritratto di Jan de Leeuw (1436, Vienna, Kunsthistorisches Museum), notiamo anche come il pittore cerchi di far emergere il soggetto dal piano del quadro a quello in cui si trova l’osservatore (i suoi soggetti sono anche i primi, nella pittura fiamminga, a guardarci negli occhi); in questo secondo caso è la mano che mostra l’anello (simbolo di offerta di matrimonio, oppure allusione alla professione del soggetto, un orefice) a farsi avanti, e spesso vedremo come a questo scopo l’artificio preveda un davanzale, qui una cornice, ma comunque un elemento-diaframma a collegare le dimensioni in cui agiscono soggetto e osservatore.

Se confrontiamo un ritratto di Van Eyck con uno di Rogier van der Weyden non possiamo non notare che mentre il primo tende a una contemplazione descrittiva il secondo cerca un’interpretazione, seleziona i caratteri per lui essenziali a definire la personalità ritratta.

La Giovane donna di Van der Weyden della National Gallery di Washington (1460 circa) raffigura forse una figlia illegittima di Filippo il Buono; anche qui le mani si appoggiano a un invisibile davanzale, il volto è di tre quarti ma gli occhi ci sfuggono, tutto il suo atteggiamento mira a comunicare nobile distacco, eleganza trattenuta.


I ritratti di Rogier tendono alla tipizzazione, e danno vita a una corrente alternativa di ritrattistica fiamminga, seguita anche, per esempio, da Dirk Bouts. Il suo Ritratto di uomo (1462) della National Gallery di Londra ne è un esempio.

Un ritratto, fra i tanti esempi che la pittura fiamminga seppe produrre, emerge potentemente a collocare il suo autore ai vertici del genere per il Quattrocento fiammingo, ed è il Ritratto di giovane donna di Petrus Christus (1470 circa) oggi agli Staatliche Museen di Berlino. Una ragazza - che viene da definire prevermeeriana - volge leggermente i suoi inquietanti occhi a mandorla verso chi guarda, neri su un volto delicatamente perlaceo che si stacca su un fondo bruno e incoronato da un elegante e sobrio copricapo in velluto, a sua volta nero, allacciato sul collo da una fascia, a incorniciare il viso poco sopra una collana a tre giri, d’oro e di perle. Un’opera giocata su pochi colori, ovviamente a olio, accordati su modulazioni tonali graduali e coerenti. Quello sguardo, obliquo, è l’apporto innovativo di Petrus Christus all’invenzione vaneyckiana del volto di tre quarti. E trasforma il ritratto in un’apparizione.

PITTURA FIAMMINGA DEL QUATTROCENTO
PITTURA FIAMMINGA DEL QUATTROCENTO
Claudio Pescio
Agli inizi del XV secolo, due diversi 'rinascimenti' prendono forma in Europa: il Rinascimento di riscoperta della classicità, e della scienza prospettica italiano, e il rinnovamento naturalistico fiammingo, fondato sul realismo e sulla luce. Il dossier affronta il periodo di formazione e affermazione di quest'ultimo in area borgognona-franco-fiamminga, dalle prime prove nell'ambito della miniatura fino all'ultimo decennio, attraverso artisti come i Limbourg, Robert Campin, Van Eyck, Van der Weyden, Petrus Christus, Van der Goes, Memling. Si assiste così alla nascita di una pittura ammirata al tempo nell'intero continente, soprattutto in Italia, votata alla riproduzione meticolosa del dato visivo, alla prima definizione dei generi pittorici, al miracolo della luce naturale che dà forma allo spazio.