IL RISCATTO
DEL PAESAGGIO

Quando si è autoritratto, l’artista romantico ha preferito rappresentarsi nella sua emarginazione e solitudine, come Tommaso Minardi nella sua soffitta “bohémienne” o Hayez davanti a un’emblematica gabbia con due belve, o ancora il grande paesaggista Caspar David Friedrich, raffigurato da Georg Kersting come se fosse lui stesso un animale solitario e selvaggio, autorecluso in uno studio spoglio e monacale, illuminato solo da un’alta finestra che lascia intravedere il cielo, ma non il paesaggio.

Quello straordinario paesaggio tedesco, le favolose foreste e le marine sconfinate del Nord, che Friedrich è stato il primo a rappresentare, rifiutandosi di scendere in Italia a contemplare quei paesaggi mediterranei che, tra Sei e Settecento ma anche adesso nell’Ottocento, erano stati e continuavano a essere il soggetto privilegiato dei pittori specializzati in questo genere, naturalmente richiesto dai viaggiatori del Grand Tour.

Con capolavori discussi e oltraggiati dai conservatori, che lo consideravano un pazzo - e lui stesso sembrò alimentare il mito romantico dell’affinità tra arte e follia - sconvolse le regole di un genere che stava divenendo, insieme al ritratto, quello sicuramente più richiesto dal mercato e dai collezionisti. Bisogna infatti considerare che alle esposizioni i grandi dipinti storici, anche se rappresentavano le opere più ammirate e discusse, erano in realtà in netta minoranza, dato che i nuovi ricchi preferivano questi generi più abbordabili e più facili da inserire negli spazi domestici ora ridimensionati a misura d’uomo.

Una pittura di consumo come il paesaggio corse il rischio di diventare convenzionale artisticamente irrilevante, se non fosse stata salvata da artisti originali e coraggiosi che, un po’ ovunque, come Friedrich in Germania, Turner e John Constable in Inghilterra, Camille Corot in Francia, Giovanni Pietro Bagetti, Ippolito Caffi e i protagonisti della cosiddetta Scuola di Posilippo in Italia, Aleksej Gavrilovič Venecianov in Russia, e tanti altri ancora, diedero nuovi significati alla rappresentazione della natura. Alla verità razionale e alla resa ottica, quasi scientifica, dei vedutisti settecenteschi subentrò una visione svincolata dalle regole prospettiche tradizionali, fortemente emotiva e personalizzata. Come se la realtà fosse registrata non più con l’organo della vista, ma come attraverso uno scandaglio interiore, gli occhi dell’anima.

Alla tradizione del paesaggio classicista, ancora viva in Francia nel genere della veduta italiana animata dalle rovine o da episodi storici, si sostituirono intense visioni interiorizzate dove particolari situazioni panoramiche e atmosferiche, rese attraverso tagli insoliti, rispondevano a emozioni spirituali o a particolari stati d’animo. In Friedrich, i cui dipinti suscitarono sconcertate reazioni a partire dagli anni Dieci, è molto forte la presenza di motivi religiosi legati alla tradizione nordica e a un sentimento cosmico della natura. Ha dato l’avvio al paesaggio simbolico ricco di referenze gotiche e letterarie, come nel suo brillante seguace Johan Christian Dahl. I loro dipinti, anche se di dimensioni ridotte, ci danno quel senso dell’infinito che significava interrogarsi sul mistero della vita, vero e proprio assillo dell’anima romantica. Lo spettatore doveva essere catturato dalla stessa sensazione di esaltazione cosmica, mistica o di smarrimento che sembravano provare i personaggi, o l’artista stesso, rappresentati di spalle, immobili, con lo sguardo fisso di fronte all’abisso. Come nel Viandante sul mare di nebbia del 1817-1818 o nelle Bianche scogliere di RŸgen del 1818-1820 dove Friedrich si è ritratto in ginocchio mentre si sporge in avanti. Davanti ai suoi quadri il grande drammaturgo romantico Heinrich von Kleist dichiarò di provare la stessa vertiginosa sensazione di guardare con occhi privi di palpebre.

Una sensazione simile si prova davanti ai dipinti di Turner. Ma mentre il tedesco isola certe atmosfere in uno stato di sospensione particolare e di vero trasalimento emotivo, l’inglese appare ossessionato dal sublime e terribile potere della natura, evidenziato in fenomeni eccezionali che, mentre nella popolarissima pittura del contemporaneo John Martin ispirata alle catastrofi bibliche assumevano una valenza puramente narrativa, dimostravano la precarietà del destino umano.


Georg Friedrich Kersting, Caspar David Friedrich nel suo studio (1811); Amburgo, Kunsthalle.

Partendo da esperienze personali, l’occhio di Turner si immedesimava nell’eccezionalità dei momenti rappresentati, dissolvendo con l’immagine tradizionale anche la stessa materia pittorica in soluzioni quasi informali che, se incontreranno allora l’opposizione della critica ufficiale, avranno un fervente sostenitore in John Ruskin.

La componente mistica e visionaria del paesaggio romantico aveva assunto in Friedrich e Turner una tale intensità da trasferire lo spettatore in un mondo al di fuori delle normali esperienze; mentre molti paesisti loro contemporanei interpretarono invece la natura non in termini trascendentali, ma attraverso una limpida visione obiettiva e diretta, colta a fissare la verità dei dati atmosferici, della luce e del colore, anticipando le ricerche dei pittori verso la metà del secolo e i risultati consentiti dal nuovo mezzo fotografico dopo la nascita ufficiale di questa tecnica sancita nel 1840 dall’invenzione di Louis Daguerre. Il maggiore interprete di questa tendenza fu il più popolare e amato dei paesisti inglesi, John Constable, che nella sua opera ha voluto esaltare la verità della natura, indagata attraverso una quantità di schizzi e di quadri di piccole dimensioni legati a un’affettuosa esplorazione della nativa contea di Suffolk e di poche altre località inglesi, senza alcuna evasione nei territori dell’immaginario, del sensazionale o dell’esotico; senza sentire il desiderio di viaggiare, di avventurarsi in Italia. Nonostante il confronto con i pittori olandesi del Seicento, allora oggetto di una grande passione collezionistica e molto studiati dai paesisti romantici in tutta Europa, il suo linguaggio risulta del tutto nuovo nella stesura del colore a macchie luminose, quindi fuse in un fondo vibrante e pulsante che rivela, non meno che in Turner, anche se non in quel modo spettacolare, lo smarrimento dell’uomo di fronte al mistero della natura.


Caspar David Friedrich, Le bianche scogliere di Rügen (1818); Winterthur, Collezione Oskar Reinhart.

William Turner, Il camposanto a Venezia (1842); Toledo (Ohio), Toledo Museum of Art.


Giuseppe Pietro Bagetti, Notturno con effetto di luna (1820-1830); Torino, Palazzo reale.

Contemporaneamente veniva profondamente rivisitata anche la tradizione del paesaggio e della veduta classicisti, legati a ormai codificate regole accademiche e alla pratica del viaggio in Italia divenuto per le generazioni più giovani l’occasione di nuove sperimentazioni sollecitate dalla verifica dei dati atmosferici e delle stesse presenze monumentali attraverso la realizzazione “en plein-air” e non più nella ricomposizione del paesaggio alla luce artificiale dell’atelier. Così Corot modificherà profondamente le convenzioni del paesaggio eroico, quali si erano consolidate presso i pittori dell’Accademia di Francia a Roma, come Pierre- Henri Valenciennes, Achille-Etna Michallon e Victor Bertin. Questi avevano a loro volta condizionato gli svolgimenti di tale genere presso le schiere dei paesisti italiani, e soprattutto tedeschi, che continuavano a percorrere le rotte monumentali e la campagna romana in cerca di emozioni panoramiche e suggestioni storiche. Corot è riuscito invece a controllare, verificandoli sul vero, tutti questi elementi in una pittura elegiaca ed essenziale, bloccata dal suo sguardo contemplativo in una dimensione atemporale.


Giacinto Gigante, Amalfi con mare in tempesta (1837); Napoli, Museo nazionale di Capodimonte.

Jean-Baptiste Camille Corot, La campagna romana (1826-1827); Zurigo, Kunsthaus.


John Constable, La cattedrale di Salisbury vista dai prati (1831); Londra, Tate.

I viaggi in Italia, o nelle province più isolate della Francia come la Bretagna, divennero per lui, come per tanti altri paesisti della sua generazione, la ricerca di una natura incontaminata, perché non ancora travolta dall’industrializzazione che stava cambiando in modo irreversibile con nuove strade e più moderni metodi di coltivazione paesaggi sinora immutati. Il rifugio nei ritmi inalterati e nell’ingenua sincerità della civiltà contadina tradizionale diventerà una tematica internazionale, che ha attratto i pittori non solo nei primordiali itinerari mediterranei sino in Sicilia, come nel caso dell’austriaco Ferdinand Georg Waldmüller, ma anche negli spazi confinati delle campagne russe dove il grande Venecianov ha rinnegato la sua formazione accademica per uno stile più diretto e senza convenzioni. Queste esperienze individuali finiranno, dopo la prima metà degli anni Trenta, con il riconoscersi in raggruppamenti e scuole come quella sorta nel paradiso rurale di Barbizon, alle porte di Parigi, che divenne un luogo simbolico, come lo era già stato Posilippo per i paesisti napoletani e stranieri, di questa immersione totale nella verità della natura resa attraverso un’accanita ripresa diretta dei dati botanici e atmosferici, trasferiti sui taccuini e nei bozzetti per essere poi rielaborati in dipinti più ambizioni destinati, come nel caso di Théodore Rousseau e Jules Dupré, a ripetuti rifiuti da parte delle giurie dei Salon che giudicavano inaccettabile la stesura sommaria a grumi di colore e la mancanza di ogni idealizzazione.


Aleksej Gavrilovicˇ Venecianov, Estate (1830 circa); Mosca, Galleria Tret’jakov.
Lasciata San Pietroburgo per una lontana proprietà in campagna, dove si dedicò a dipingere all’aperto la vita contadina e iniziò alla pittura i figli dei servi, Venecianov ci restituisce in questo quadro intensissimo, che è stato anche interpretato come un’allegoria della Madre Russia, la serenità di un mondo fuori del tempo, cadenzato dai ritmi delle stagioni.

ROMANTICISMO
ROMANTICISMO
Fernando Mazzocca
Tra Sette e Ottocento si afferma in Europa un movimento che, singolarmente, non dà origine a uno stile o a un linguaggio comuni; piuttosto a un’idea dell’arte, e soprattutto dell’artista come individuo assolutamente libero nel suo mondo creativo. È un’affermazione di portata rivoluzionaria: l’artista è un genio fuori da ogni regola, e questo spiega le differenti impostazioni e le varianti nazionali, individuali, le correnti che caratterizzano il romanticismo. Goya, Turner, Blake, Constable, Runge, Friedrich, Ingres, Géricault, Delacroix, Hayez hanno radicalmente mutato il nostro modo di guardare la natura e l’arte. Tra le molte rotture epocali che hanno movimentato l’estetica occidentale il romanticismo è quella che ancora oggi più ci coinvolge.