L’INIZIAZIONE:
SUGGESTIONI AUTOCTONE
E MODELLI ITALIANI

Destinato a operare una sintesi inedita fra il clima romantico del Medioevo preraffaellita e la tradizione artistica italiana, dal Medioevo al Rinascimento,

Edward Burne-Jones (1833-1898) è l’artista inglese più importante dell’ultimo Ottocento. 

Nato all’ombra della personalità di Dante Gabriel Rossetti – leader del gruppo preraffaellita del 1848 –, guidato nelle scelte giovanili dal magistero critico di John Ruskin – sedotto dalla intensità creativa dell’uno, dalla visionarietà progettuale dell’altro –, riesce a trasformare, a contatto con gli esempi del passato, una serie di elementi mediati in un linguaggio dotato di preziosa eleganza, talvolta di mirabile apertura poetica. 

A Rossetti deve l’amore per Dante e le prime indicazioni sull’arte del Rinascimento italiano, filtrate attraverso quei Sonnets for Picture dedicati fin dal 1849 a Giorgione, Leonardo, Mantegna, inoltre l’adesione a un Medioevo che porge già la mano al clima estetico, sottrae peso alla storia, si incanta ad analizzare sottili associazioni di colore e musica. Rossetti è troppo impaziente per essere realmente un maestro, la sua influenza diretta è destinata a cessare presto, ma il senso poetico della materia pittorica, l’approccio ai succhi innovatori seppure contraddittori di un’intera epoca sono trasmessi a Burne- Jones da lui. 

Attratto dal talento e dalla duttilità di temperamento del giovane Edward, Ruskin decide, fin dal 1856, di dedicarsi attivamente alla sua formazione, intendendo anche sottrarlo alla predilezione di Rossetti per un Medioevo privo di contenuti morali, matrice di uno stile lontano da ogni contatto con la natura e la realtà. 

Il critico tende a investire l’artista di un ruolo profetico, persegue «un ideale di grazia e di tranquillità classica» e incoraggia Burne-Jones a conoscere direttamente l’arte italiana, per misurarsi con quei valori che appartengono sia alla tradizione dell’antico, sia a quella che ne è l’erede diretta. Nasce così, nel 1859, la decisione del giovane artista di recarsi in Italia, insieme all’amico pittore Val Prinsep.


Sidonia von Bork (1860); Londra, Tate.


Giulio Romano, ritratto di Margherita Paleologo (1531 circa); Londra, Royal Collection Trust.

I taccuini italiani di Burne-Jones rendono omaggio agli affreschi del Camposanto di Pisa, tipico incunabolo della cultura preraffaellita, a Firenze registrano l’emozione di fronte alla linea serpentina della Vergine nell’Annunciazione di Simone Martini agli Uffizi, captano la grazia degli ovali e la puntigliosa definizione delle figure di Ghirlandaio in Santa Trinita. Colgono inoltre l’intensità volumetrica di Giotto e dei giotteschi in Santa Croce, propongono rapidi schizzi da Filippo Lippi, Masaccio, Paolo Uccello, Botticelli. Né mancano incursioni nell’arte veneta, da Bellini a Carpaccio, a Tiziano. 

Riflessi del viaggio si individuano nel trittico d’altare con L’Annunciazione e L’Adorazione dei magi, combinazione eclettica di echi carpacceschi nella parte centrale e di richiami all’Angelico nelle ali. Inoltre gli affreschi eseguiti l’anno successivo per la Red House, la nuova dimora d’impianto medievale di William Morris, echeggiano in forma semplificata gli affreschi padovani di Giotto. 

L’amicizia con Willliam Morris, destinata a durare tutta la vita, risulta determinante per l’adozione da parte di Burne- Jones di elementi di cultura autoctona, come le Border Ballads, le leggende del Ciclo di Artù, trascritte da Thomas Malory e Alfred Tennyson, l’adesione al poema epico e leggendario di Morris The Earthly Paradise (1868-1870), che raccoglie miti classici, leggende nordiche e medievali, inserite in una cornice narrativa alla maniera dei Canterbury Tales di Chaucer. 

I due artisti ne progettano un’edizione illustrata, mai realizzata, ma il ricco nucleo grafico prodotto da Burne-Jones costituisce un patrimonio fantastico e una riserva di energia poetica, cui ha attinto per tutta la vita. A tale fonte si legano infatti i più importanti nuclei pittorici prodotti nel corso degli anni, dal ciclo di Cupido e Psiche, di Pigmalione, della Rosa selvatica, di Perseo

ll giovane guarda anche alle opere italiane che si trovano in Inghilterra, per esempio in Sidonia von Bork si ispira, per il vestito, al Ritratto di Margherita Paleologo di Giulio Romano conservato alla Royal Collection Trust di Londra.

Naturalmente la tensione per l’arte italiana si inserisce nel vasto movimento, che da tempo, ha investito la cultura e il collezionismo inglese. Certamente l’artista ha occasione di vedere il San Michele del Perugino, parte del trittico della certosa di Pavia, acquistato da John Eastlake nel 1856 e proveniente dalla collezione del duca Ludovico Melzi in Milano. Le strane ali a scaglie e la fantastica armatura anticipano quelle adottate dal pittore per i suoi santiguerrieri, da san Giorgio a san Michele arcangelo. Né dovette essere insensibile all’andamento ritmico delle fitte schiere di angeli musicanti del Cristo in gloria nella predella della Pala di San Domenico dell’Angelico, acquistata sempre da Eastlake a Roma nel 1860, o al raccoglimento dell’Annunciazione di Filippo Lippi proveniente, insieme ad altri dipinti dello stesso Lippi, Crivelli, Ortolano, dalla collezione di Alexander Barker.


Beato Angelico, Pala di San Domenico (1424-1425), predella; Londra, National Gallery.


Trittico dell’Annunciazione e Adorazione dei magi (1861); Londra, Tate.


Pietro Perugino, L’arcangelo Michele (1499 circa); Londra, National Gallery.


E quando leggiamo che, durante un incontro con Ruskin intento a classificare il lascito Turner nei depositi della National Gallery, si imbatté in alcuni vecchi quadri portati recentemente dall’Italia e non ancora esposti, non possiamo non pensare che si alluda alle ventidue opere della collezione Lombardi Baldi, acquistate da Eastlake a Firenze nel 1857. Dalla stessa collezione Lombardi proviene quel Satiro chino su una ninfa di Piero di Cosimo destinato a divenire nella trasposizione di Burne-Jones Pan e Psiche

Si potrebbero citare molti altri esempi di dipinti italiani giunti in quegli anni in Inghilterra, per non parlare della splendida raccolta di arte veneta allora in corso di formazione alla National Gallery: i grandi Veronese, il bellissimo nucleo di opere di Giovanni Bellini, di Carpaccio, di Giorgione. Pittura che rappresenta un ideale continuamente inseguito nella cultura inglese, cui si volgono, seppure da punti di vista diversi, anche Rossetti e Ruskin. 

Quest’ultimo, nell’estate del 1862, decide di tornare in Italia insieme a Burne-Jones. Anche se la sua fede religiosa è in crisi, le sue convinzioni morali sono inseparabili dai suoi principi esteti ci e poiché egli è animato da un senso evangelico della propria missione, da un desiderio di salvare e redimere, da una necessità psicologica di educare, designa Burne-Jones come allievo ideale.


Filippo Lippi, Annunciazione (1435-1440); Londra, National Gallery.


Piero di Cosimo, Satiro chino su una ninfa (1495 circa); Londra, National Gallery.

Durante il viaggio lo induce a copiare anche opere in condizioni precarie, ansioso di documentarle finché risultino leggibili. È il caso delle figure di Santa Apollonia e Agata di Bernardino Luini in San Maurizio a Milano, opera pesantemente danneggiata, ma egualmente in grado di suscitare in Burne-Jones una vera passione. «Dove trovare volti così perfetti - perfetti come i greci - e hanno mille quattrocento anni di tenerezza e di pietà in più», afferma. L’influsso di Luini è destinato a diffondere nella sua pittura un’aura vagamente leonardesca, un diretto riferimento al Bacco di Leonardo si ritrova nella figura del dio nel Giardino di Pan

Altrettanto congeniali si rivelano gli esempi di Carpaccio e di Giorgione. È attratto dalla lontana eco di Medioevo individuata nel primo, quell’accordo di reale e ideale che si traduce in forme candide e incisive a un tempo, oltre all’incanto narrativo, da lui echeggiato nel ciclo di San Giorgio. Non desume direttamente elementi compositivi, ma il modo di collocare le figure, lo stile netto, lineare e l’atmosfera di freddo crepuscolo sono tratti della sua ammirazione per Carpaccio. Particolarmente vicino inoltre gli è il “mood” di Giorgione, la sua simbologia polisemica, le sottili armonie tonali, che colgono un linguaggio di segrete emozioni, l’abbandono a una visione contemplativa, attraverso una pittura vibrante di luce. Il giorgionismo, talora filtrato attraverso elementi di Medioevo romantico, concorre ai risultati fra i più interessanti della sua arte. Un’arte che esalta la compiutezza di un’esperienza estetica, volta a simboleggiare il mistero, mentre la passione è sopita in illuminato godimento della bellezza. 

Il richiamo a Rossetti - oltre che per l’opera poetica Per una Pastorale veneziana di Giorgione al Louvre - vale anche per la sua produzione pittorica, se si pensa agli acquerelli rossettiani della seconda metà degli anni Cinquanta dell’Ottocento, tesi precocemente a indicare soggetti senza soggetto, inerzie emotive, malinconie di musicanti.


Il giardino di Pan (1886-1887); Melbourne, National Gallery of Victoria.


Pan e Psiche (1872-1874).


copia da Santa Apollonia e Agata di Bernardino Luini (1862); Truro (Cornovaglia), Royal Cornwall Museum.

Leonardo da Vinci, Bacco (1510-1515); Parigi, Musée du Louvre.


La principessa legata all’albero (1866), dal ciclo di San Giorgio. L’attuale collocazione, dopo la chiusura nel 2014 delle Forbes Galleries di New York, dove l’opera era conservata, è sconosciuta.


San Giorgio uccide il drago (1868), dal ciclo di San Giorgio; Walthamstow (Londra), William Morris Gallery.

Il dipinto Le chant d'amour di Burne- Jones può essere considerato una summa di quanto teorici e artisti hanno elaborato nel decennio fra il 1860 e il 1870. Primo fra tutti Algernon Swinburne, sia per le analogie del dipinto con la sua produzione lirica, ricca di accensioni melodiche e morbose tristezze, sia perché egli è al centro dell’elaborazione teorica di quel clima estetico, che affermando la bellezza come valore, giunge alla formulazione della teoria dell’“arte per l’arte”. Infatti, nel 1866 in un saggio su Blake, Swinburne scoraggia con foga l’adozione di un messaggio etico nel mondo dell’arte e invoca, in pagine appassionate e ispirate, il rinascere del culto della bellezza: «L’unica cosa necessaria all’arte è la qualità del verso e del colore, che coinvolge ogni aspetto di verità e di fedeltà ad essa connesso»(1). Allo stesso modo, l’interpretazione dello spirito idillico della pittura di Giorgione a opera di Walter Pater sembra trovare in Le chant d’amour il suo corrispettivo in immagini: «Pittura di istanti ideali, squisite pause nel tempo, nelle quali, così fissate, ci appare rispecchiata tutta la pienezza della vita»(2)

Le analisi citate, e sicuramente anche Burne-Jones, guardano in particolare al Concerto campestre del Louvre, allora attribuito a Giorgione, oggi più decisamente a Tiziano. 

Anche Henry James, in occasione della seconda esposizione alla londinese Grosvenor Gallery (1878), accosta Le chant d’amour «a qualche succoso Giorgione, a qualche Tiziano dal ricco brillio»(3). E nel rilevare come la figura del giovane guerriero sia dotata di una perplessità femminea di espressione, rimanda ancora a Swinburne, che ha cantato per primo in Hermaphroditus una ideale androginia. 

La scena pastorale, le figure prive di contenuto narrativo, il colloquio amoroso in una dimensione musicale, costituiscono elementi destinati a emergere anche in opere successive.


Le chant d’amour (1868-1877); New York, Metropolitan Museum of Art. Probabilmente il titolo francese è legato alla cultura musicale dell’artista e della sua cerchia e compare fin dal 1865 in un pregevole acquerello dello stesso soggetto dov’è raffigurato, in particolare, Amore bendato, conservato al Museum of Fine Arts di Boston.


Tiziano (in passato attribuito a Giorgione), Concerto campestre (1510); Parigi, Musée du Louvre.

(1) A. Ch. Swinburne, William Blake, a Critical Essay, Londra 1866, p. 92.
(2) W. Pater, The School of Giorgione, in Studies on the History of the Renaissance, Londra 1873, pp. 150-151.
(3) H. James, The Painter’s Eye, Notes and Essays on the Victorian Art, a cura di J. I. Sweeney, Londra 1956, p. 164.

Pensiamo a Laus Veneris, composizione dagli splendidi colori, che rappresenta la dea sul Venusberg - la montagna sacra a Venere della mitologia tedesca - circondata da giovani donne intente ad ascoltare musica, mentre sullo sfondo passano enigmatici cavalieri. 

Il preraffaellismo, nella formula teorizzata nel 1848 da Ruskin, è ormai fuori moda, il clima estetico si salda al rinascere di un gusto classico, favorito dall’apertura al British Museum nel 1865 della Elgin Collection, che propone metope e statue del Partenone. 

Dall’inizio del decennio 1860-1870 Burne-Jones esegue schizzi dall’antico, testimoniati da una serie di copie. Strutturalmente lontano dallo stile magniloquente di Frederic Leighton, da quello accademico di Edward Poynter, o dall’interpretazione del mondo classico come “tranche de vie”, tipica di Laurence Alma-Tadema, egli si avvicina piuttosto all’ideale di raffinata astrazione coltivato da Albert Moore, condiviso all’epoca da James McNeill Whistler.


Laus Veneris (1873-1874); Newcastle-upon-Tyne (Tyne and Wear), Laing Art Gallery.


Albert Joseph Moore, Battledore (1868-1870).

Quest’ultimo proviene dall’atelier parigino di Charles Gleyre - dove si sono formati alcuni dei protagonisti del revival classico inglese - e importa a Londra la moda dell’arte giapponese. Nasce così un gusto che mescola, all’insegna di un anacronismo squisito, i pepli classici ai rami fioriti. L’elemento classico si fonde a dati vittoriani e orientaleggianti, mentre il clima estetico è accentuato dall’interesse per suggestioni musicali, che divengono una sorta di cifra (Il compianto). 

L’analogia fra pittura e musica, entrambe dotate di caratteristiche astratte, è teorizzata ancora da Pater: «Tutte le arti aspirano alla condizione della musica […] nella musica va ricercato il vero carattere e la misura di un’arte che mira alla perfezione».


Il compianto (1866); Walthamstow (Londra), William Morris Gallery.

L’assunzione del motivo classico a opera di Burne-Jones è sempre fortemente manipolata, nel Vino di Circe, per esempio, egli immette, in un contesto strutturalmente medievale, un ricordo dell’Auriga del distrutto mausoleo di Alicarnasso, da lui ripreso in un disegno (Burne-Jones riprende la scultura da frammenti del fregio del mausoleo conservati al British Museum di Londra); in L'incantesimo di Merlino inserisce una grande statua animata, di ascendenza classica, in un racconto di stregoneria bretone, con contrappunto di elementi pre-liberty.


Il vino di Circe (1868).


Copia dall’Auriga del distrutto mausoleo di Alicarnasso (1865); Londra, V&A - Victoria and Albert Museum.


L’incantesimo di Merlino (1874); Port Sunlight (Liverpool), Lady Lever Art Gallery. Ispirato al testo medievale di origine francese Romance of Merlin, il dipinto è fra i principali artefici del grande successo ottenuto dall’artista all’apertura della Grosvenor Gallery a Londra nel 1877. Per ammissione dello stesso Burne-Jones in una lettera del 1895 ad Agnes Graham, il volto di Nimue è quello di Maria Zambaco, la scultrice greca con cui l’artista ha avuto una tormentata relazione. Il capo di lei, come quello della Gorgone, è cinto di serpenti. Al pari della leggenda medievale, Merlino è totalmente sedotto, forse in analogia con un ricordo autobiografico dello stesso pittore. Una strana, morbosa intensità emanata da un’opera fra le più suggestive da lui realizzate.

Persino nel ciclo di Pigmalione, il gruppo di opere più rappresentativo di un rapporto ideale con l’antica scultura, non mancano elementi distraenti: un’atmosfera di amore cortese, tagli di gusto fiammingo, echi di strutture architettoniche medievali italiane e nette citazioni di cultura quattrocentesca (la figura di Venere nel terzo episodio è di matrice botticelliana). 

Il rapporto dell’artista con l’antico è testimoniato da un controllo degli elementi iconografici, da gamme cromatiche singolari, dalla resa dei panneggi in modo duttile e patetico, da attribuirsi anche a suggestioni dal tardo antico. Comunque, la sua rielaborazione, attuata nel quadro di una tradizione non accademica, testimonia una insolita libertà; egli è diverso da un vero classicista, come non sarà mai un esteta tout court. Unico dei preraffaelliti a essere toccato dal revival classico, vi porta dentro un’asciuttezza e un gusto antiaccademico, che derivano dalla sua esperienza dei “primitivi”. Anche se nel ciclo di Pigmalione, più che altrove, l’astanza del nudo, la glacialità della resa, la singolare atonia cromatica, testimoniano un rapporto, più preciso che altrove, con quegli ideali classici che costituiscono un momento importante nella cultura inglese dell’ultima parte del secolo. L’opera riflette, in qualche modo, «quella candida luce, purificata dalle tracce vive e sanguigne dell’azione e della passione […] che rivela una tranquilla divinità»(4), giusta la definizione data da Pater dell’antica scultura. L’ambiente artistico vittoriano considera i valori di quel mondo come un prezioso elemento di “stabilità” nella storia dello spirito umano. Inoltre, secondo la concezione estetica, è a quel mondo che deve essere attribuita la capacità di risvegliare il senso della bellezza, poiché i risultati più alti delle generazioni successive non sono che una conferma riflessa della luce singolare che emana da quel mondo remoto. 

L’adesione di Burne-Jones avviene attraverso una fusione con elementi rinascimentali, creando un preciso rinnovamento iconografico all’interno dell’estetica preraffaellita. Punto fondamentale, in tale ambito, è il culto di Botticelli. L’artista è conquistato dall’apparente spirito pagano del pittore italiano, eco di una bella, scomparsa mitologia.


Il cuore desidera, dal ciclo di Pigmalione (1875-1878); Birmingham, Birmingham Museum and Art Gallery.

(4) W. Pater, Winckelmann, in Studies…, cit., p. 224.

La mano si arresta, dal ciclo di Pigmalione (1875-1878); Birmingham, Birmingham Museum and Art Gallery.


La divinità infonde la vita, dal ciclo di Pigmalione (1875-1878); Birmingham, Birmingham Museum and Art Gallery.


L’anima si appaga, dal ciclo di Pigmalione (1875-1878); Birmingham, Birmingham Museum and Art Gallery.

La sua carenza di realismo tridimensionale coincide inoltre con l’attenzione alla linea, alle superfici, all’arte giapponese, diffusa dall’Aesthetic Movement. L’ammirazione per Botticelli è dichiarata con passione da Burne-Jones in una lettera ad Agnes Graham dell’ottobre 1876, densa di acuta nostalgia: «Desidero con tutta l’anima rivedere oggi La Calunnia agli Uffizi e La Primavera alle Belle Arti e il coro danzante che sale al cielo […] [allude alla Incoronazione della Vergine]. Se quel furfante di Alinari ha fotografato quegli angeli, ti prego, cerca di inviarmeli […] e a Pitti c’è un Botticelli dove la Vergine china un dolce piccolo viso a baciare un altro viso paffuto - e nessuno lo eguaglia, né lo eguaglierà mai». Si avverte un desiderio di possesso, interessante per capire come la ricezione del Rinascimento italiano non sia tanto legata a una consapevolezza storica, quanto a un’assunzione di natura estetica.

All’inizio l’interesse per Botticelli è probabilmente stimolato da Rossetti, e il sonetto dedicato alla Primavera, sebbene più tardo, insiste su quello che si riteneva fosse il clima funereo del dipinto. Una lettura diffusa anche da Swinburne, che interpreta l’artista italiano in chiave di sensitività predecadente, citando «un languore, una grazia dolorosa, un’ambizione di cose nuove, un desiderio di invenzioni varie e liberali, l’amore di morbidi cenni e di significati velati»(5). Botticelli tende, a suo dire, a rappresentare una bellezza bizzarra, pallida e irregolare, una grazia sofferente, dal contegno patetico, in una gamma cromatica spenta. Elementi sottolineati anche da Pater che, in una suggestiva interpretazione, definisce l’opera dell’artista fiorentino in modo aderente allo spirito dell’arte di Burne-Jones, sia nel rapporto istituito fra il linguaggio di Botticelli e il mondo classico, sia nel descrivere l’ansiosa ambiguità delle sue figure. «Quel peculiare sentimento che egli ha immesso nei suoi personaggi, sacri e profani, leggiadri e in certo senso simili ad angeli, ma soffusi di un sentimento di smarrimento e di perdita»(6) è carattere che si collega alla predilezione per creature passive, per quegli eroi pensosi ed esitanti, tipici di Burne-Jones. 

Inserita in una dimensione sovrastorica, la figura di Botticelli è indagata in modo introspettivo e psicologico, delineando una personalità ipersensibile, capace di creare figure «perpetuamente attristate dall’ombra che su di loro scende dalle grandi cose dalle quali si ritraggono»(7)

Attratto dall’idea della danza, Burne- Jones concepisce dipinti come Il giardino delle Esperidi, dove il ricordo della grazia botticelliana si esprime in un vortice, mentre nel Mulino sembra placarsi in una pausa segreta. La tensione nell’individuare un ritmo all’interno delle superfici fa assumere un’importanza sempre più determinante alla linea, morbida, elaborata, dotata di grande perizia, spesso concentrata nella resa dei panneggi, che sembrano avere una vita indipendente dal corpo che rivestono (Notte). Un dato molto diffuso nella sua opera, orientata verso un sublimante narcisismo grafico, che esalta e insieme elimina gli elementi dai quali è generato. Pensiamo ad alcune prove per il ciclo di Cupido e Psiche (L’incontro con Psiche, Zefiro e Psiche) e alla serie dei magnifici disegni dedicati alla storia di Orfeo.


Sandro Botticelli, Incoronazione della Vergine (Pala di san Marco) (1488-1490); Firenze, Gallerie degli Uffizi. Quel volo di angeli che circonda l’immagine della Vergine, separandola dai santi, è evocato nel mosaico romano di Burne-Jones negli angeli che separano le acque superiori da quelle inferiori, la Gerusalemme celeste dalla Gerusalemme terrena.

Il mulino (1882); Londra, V&A - Victoria and Albert Museum.

(5) A. Ch. Swinburne, Notes on Designs of the Old Masters at Florence, in “The Forthnightly Review”, luglio-dicembre 1868, in Essays and Studies, Londra 1897, pp. 328-329.
(6) W. Pater, Sandro Botticelli, in Studies..., cit., p. 61.
(7) Ivi, p. 57.

Il giardino delle Esperidi (1870-1873).


Notte (1870).

Orfeo si volta, dal ciclo di Orfeo (1872-1875); Oxford, Ashmolean Museum.


L’incontro con Psiche (1871), dal ciclo di Cupido e Psiche; Sheffield (South Yorkshire), Museums Sheffield.


Cupido ritrova Psiche (1865 circa); New Haven, Yale Center for British Art.

BURNE-JONES
BURNE-JONES
Maria Teresa Benedetti
Un dossier dedicato a Edward Burne-Jones (Birmingham, 1833 - Londra 1898). In sommario: L'iniziazione: suggestioni autoctone e modelli italiani; L'arte italiana: una passione costante; I grandi cicli; Percorsi paralleli: pittura e decorazione; A cimento con l'arte sacra: il mosaico romano. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.