L’ARTE ITALIANA:UNA PASSIONE COSTANTE

Con il procedere degli anni, l’influsso dell’arte italiana diviene sempre più articolato, oltre a moduli botticelliani confluiscono nel suo lavoro spunti da Piero di Cosimo, dalla grafica cinquecentesca e da Mantegna.

Quest’ultimo diviene punto di riferimento importante. Affascinato dal particolare romanticismo dell’antico - giusta una definizione che sarà poi di Berenson -, dalla qualità fortemente incisiva del disegno, dalla densità di materia e forma, dove emozioni e furori si placano in regolate armonie, Burne-Jones può ispirarsi ai Trionfi di Cesare dell’artista italiano conservati a Hampton Court. Il suo interesse per lui è comunque antico, in un taccuino del 1859, relativo al primo viaggio in Italia, troviamo schizzata una Madonna, probabilmente la Madonna col Bambino, san Girolamo e santi, della Pinacoteca sabauda di Torino. Più tardi, a Parigi nel 1871, copia le Allegorie, registra appunti dal Trionfo delle Virtù e dal Parnaso con il cerchio delle figure danzanti, i cui capelli - come aveva cantato Rossetti nel sonetto Per una danza allegorica di donne - sembravano sfiorare i volti degli astanti. 

Così si animano le tessere di un mosaico di fonti e suggestioni, gli anni trascorsi risultano ritmati dalla presa di coscienza di grandi avvenimenti artistici, anche se, dall’inizio del decennio 1870-1880, egli è dominato da un senso di inquietudine, insoddisfazione, isolamento. Non espone in pubblico per sette anni, lavora con una dedizione non disgiunta da senso di smarrimento, nella difficoltà di trarre i succhi vitali da quanto ha accumulato dentro di sé. 

Anche la sua vicenda privata, che di solito scorre nell’alveo di un’assoluta identificazione con il lavoro, cautelata da un’economia di forze richiesta da un’energia fisica non particolarmente sperimentata, conosce la scossa della passione e dello scandalo, per la tormentata vicenda d’amore per la scultrice greca Maria Zambaco. I ritratti di lei appartengono a quella tradizione di sublimazione grafica della fisionomia femminile, che può risalire ai ritratti rossettiani di Elizabeth Siddal, o agli schizzi di Whistler della modella irlandese Jo. Disegni privi di sensualità, ma precisi e delicati nel contrasto fra le guance e la nuvola dei capelli striati di luce, disegni di un amante che ricerca istintivamente, attraverso la pressione esatta della mano sul foglio, il segreto di un animo di donna. In un ritratto pittorico di lei, il libro che tiene in mano è aperto su una miniatura che rappresenta Amore bendato, amore come forma di conoscenza irrazionale, al di là dell’intelletto e in grado di attingere la più chiara e solare delle esperienze (iconografia presente anche nella Primavera di Botticelli e nella Hypnerotomachia Poliphili).


Andrea Mantegna, Parnaso (1497); Parigi, Musée du Louvre. L’intero;



Andrea Mantegna, Parnaso (1497); Parigi, Musée du Louvre. Un particolare.

studio per il ritratto di Maria Zambaco (1870).


Maria Zambaco (1870); Neuss (Germania), Clemens Sels Museum Neuss.

Nell’ambito di quel particolare momento, vanno citate le due versioni di Fillide e Demofonte, una gouache del 1870 ripresa in un dipinto più tardo L’albero dell’oblio

L’Italia è sempre in cima ai pensieri dell’artista, a volte dominati da un senso di allarme. Nel timore che si possa interrompere un rapporto esaltante, chiede continuamente materiale agli amici, sogna di possedere un’opera originale, è avido di riproduzioni e di cataloghi. Scrive a Charles Eliot Norton, studioso americano, poi maestro di Berenson, nel ringraziarlo del dono di un piccolo frammento pittorico con Europa e il toro, allora attribuito a Giorgione: «Scegli come se fosse per te. Conosci ciò che mi piace - brani di modellato che siano utili, dolci disegni di teste e nudi di Leonardo, Michelangelo, Raffaello - bimbi grassi e tondi […] se Ghirlandaio disegna dolci fanciulle che corrono, e le loro vesti si animano, ti prego fai in modo che non si perdano». 

Nell’autunno del 1871 e brevemente nel 1873 l’artista torna in Italia, ansioso di confrontarsi ancora con le radici culturali che lo hanno così radicalmente permeato. Il classicismo, nella formula dominante nella cultura inglese, è per lui saturante, la tensione è tutta rivolta al nostro paese. A Orvieto è colpito dagli affreschi in duomo di Luca Signorelli, di cui troviamo un ricordo nei nudi di Venus Discordia.


Fillide e Demofonte (1870); Birmingham, Birmingham Museum and Art Gallery.


L’albero dell’oblio (1881-1882); Port Sunlight (Liverpool), Lady Lever Art Gallery.

In Assisi si conferma l’amore per Giotto, rilevabile nelle analogie fra il giottesco Corteo nuziale della Vergine della cappella degli Scrovegni a Padova e Psiche condotta alla montagna del mostro della serie di Cupido e Psiche. A Perugia le opere della scuola del Cambio ribadiscono le affinità fra la sua arte e quella di Perugino. A Roma l’incontro fondamentale è con il Michelangelo della Cappella sistina, minore è l’interesse per le Stanze di Raffaello, così giustificato: «In quel momento, per una qualche ragione, l’eccellenza artistica da sola [“alone”] aveva per me scarso fascino». 

Viaggiando, è colpito dal paesaggio centro-italiano, dalle teorie di colline che si innalzano d’improvviso, dalle città che sorgono sulle loro sommità. Paesaggio celebrato nella pittura italiana del Rinascimento, che ritroviamo variamente in opere come Musica o Il passaggio di Venere.


Venus Discordia (1872-1873); Cardiff, National Museum Cardiff.


Pietro Perugino, Fortezza e Temperanza sopra sei eroi antichi, dal ciclo di affreschi del Collegio del Cambio (1496-1500); Perugia, Collegio del Cambio, Sala delle udienze.

Un ultimo incontro è con il Piero della Francesca in Arezzo, che precede un addio a Firenze, Casa Buonarroti, i Prigioni

La passione per Michelangelo è contestata da Ruskin, che in una delle sue Lectures a Oxford nell’estate dello stesso 1871, si scaglia contro «la carnalità scura» dell’artista italiano, il disegno misero, i colori deteriorati, l’immaginazione pervertita, e inoltre l’inutile violenza delle azioni, l’eccessivo interesse per l’anatomia, l’avere preferito il male al bene. Dopo un iniziale disorientamento, Burne-Jones ha la forza di mantenere un’autonomia di giudizio, pur senza perdere la stima di Ruskin. Si rende conto che gli ideali del critico, mutuati dalla concezione di un’arte che esprima contenuti etici attraverso nobili soggetti e una calma serenità di forme, non possono aderire alla tormentata grandezza di Michelangelo. 

Altri spiriti colgono invece, in quegli anni, precise affinità fra la tristezza del grande cinquecentista e la tristezza del loro presente, individuano nella sua vicenda artistica lo stesso senso di frattura con la realtà da loro avvertita. Swinburne ha sottolineato, la tragica bellezza dell’opera michelangiolesca, «qualche grave e sottile dolore sotteso a tutta la sua vita». E Pater addita «un’energia di concezione sempre, a ogni momento, sul punto di rompersi». Non l’astratta compiutezza della scultura classica ma l’adozione, certamente non casuale, del “non finito”, un linguaggio che, in qualche modo, tiene della palpitante presenza della vita. Nella storiografia dell’epoca, l’artista italiano è contrapposto alla perfezione classica, la sua arte è intesa come un punto di contatto inestimabile e prezioso fra lo spirito segreto di un’epoca e il suo manifestarsi. 

Per Burne-Jones, Michelangelo esprime, oltre al senso della frattura storica, quel volgersi dell’energia in amarezza, «più che amaro ogni mio dolce io sento», secondo un verso dello stesso scultore. Tracce dell’interesse per lui sono evidenti nella grafica dell’artista inglese ancor prima del 1870, ma è la rivelazione della Cappella sistina e dei Prigioni, durante i soggiorni italiani del 1871 e del 1873, a rappresentare il momento chiave dell’adozione di uno stile nel quale si coagula un aspetto molto importante della sua opera. Da un lato, in armonia con i dati strutturali della sua natura, Burne-Jones tende a esaltare, romanticamente, il pathos scompaginato del grande fiorentino, dall’altro cerca di individuare «le risorse di dolcezza, al di là di ogni eccesso di forza», secondo un’affermazione di Pater. Un’interpretazione, quest’ultima, nata dalla fiducia di matrice platonica, nella capacità dello spirito umano di disincarnarsi, di liberarsi dalla pressione di quella pesante carnalità attribuita da Ruskin a Michelangelo. 

Il rapporto con il disegno michelangiolesco costituisce un dato importante per l’emergere, spesso contestato, del nudo nell’arte di Burne-Jones. Echi se ne colgono in molte opere degli anni Settanta: in alcuni dei cartoni preparatori per il ciclo di Perseo conservati a Southampton, la figura dell’eroe in Perseo e le ninfe marine ha un atteggiamento analogo a quello di uno dei nudi della Sistina, La morte di Medusa II denuncia il debito nei confronti delle figure ascendenti e discendenti del Giudizio universale, anche se l’insieme ha l‘apparenza di un ritmico schema astratto. 

E Atlante pietrificato da Perseo è ancora nudo michelangiolesco collocato in un deserto che salda elementi visionari, alla Blake, a una concezione dello spazio di grande pregnanza simbolica. 

La linea di Michelangelo costituisce per Burne-Jones un modello ideale fino alla fine, anche se la forza michelangiolesca si ammorbidisce, la sua energia plastica è irraggiungibile. 

L’indagine sui maestri italiani vede l’artista influenzato da un lato dalla potenza del segno michelangiolesco, dall’altro dalla grazia di quello botticelliano. Si realizza una sorta di osmosi fra i due linguaggi. La linea di Michelangelo diviene più morbida e diffusa, quella di Botticelli più robusta e incisiva. Il loro coesistere non costituisce per lui un tradimento, poiché entrambi gli artisti italiani, nonostante le evidenti differenze, si somigliano nella tensione verso il disegno, nell’interesse per il nudo e l’antico. Semmai va precisato che la linearità decorativa di Botticelli combacia più strettamente con il talento e il temperamento di Burne-Jones, rispetto al segno essenzialmente scultoreo di Michelangelo.


Il passaggio di Venere (1875 circa).


cartone con La morte di Medusa II (1881-1882), per il ciclo di Perseo; Southampton, Southampton City Art Gallery.


cartone con Perseo e le ninfe marine (1877), per il ciclo di Perseo; Southampton, Southampton City Art Gallery.

I nudi della Ruota della Fortuna, chiaramente ispirati, nella loro grazia stremata di matrice manieristica, ai Prigioni michelangioleschi, sono fra i più espressivi da lui realizzati. Nel 1860 la National Gallery ha acquistato La Deposizione di Michelangelo e la figura centrale del re nel dipinto di Burne-Jones si ispira a quella del Cristo. Una forte discrasia si avverte fra l’immagine femminile e le maschili, fra la loro disarmata nudità e la complessità della immagine della Fortuna. Tensione riflessa nella singolarità del timbro cromatico, modulato su toni freddi, che generano un universo marmoreo, di luce, di linee astratte, di idee. Le tumultuose scene michelangiolesche copiate da Burne-Jones a Oxford non hanno lasciato tracce significative, il movimento si arresta, la Fortuna tiene ferma la ruota, a dispetto della concezione del dipinto, la passione è sostituita dalla meditazione, trattenuta sotto una patina di levigata impassibilità. 

La tensione michelangiolesca è probabilmente insidiata dal “riposo” ruskiniano, un ideale cui l’artista rimane in qualche modo fedele, anche se Michelangelo costituisce per lui un nodo appassionante e inquietante. Nel rapporto affiorano, più che altrove, i problemi che lo tormentano, l’aspirazione a saldare contenuti spiritualmente profondi con l’ansia nei confronti di una vincolante qualità formale. Egli avverte come nell’artista italiano si realizzi quell’osmosi fra la bellezza delle opere classiche e il mistero più profondo dell’esistenza. «Il soffio divino che è in lui», afferma, «ci dà la misura della sua grandezza, rendendolo infinitamente più alto di quanti, come Raffaello, raggiungono soltanto l’eccellenza in arte».

La cultura vittoriana attribuisce inoltre a Michelangelo una forte religiosità, alimentata da una educazione spirituale che si fa risalire a Savonarola e successivamente a Vittoria Colonna. Traendo elementi dalla Vita di Vasari, si diffonde l’immagine di un Michelangelo fervente cristiano, costantemente dedito al bene. Trasferita nelle opere decorative, l’influenza di Michelangelo si riflette sensibilmente in figure di santi o profeti (San Luca), altrove si mescola al ricordo della linea botticelliana, come nel progetto per vetrata rappresentante L'arcangelo Michele.


Cartone con Atlante pietrificato da Perseo (1878), per il ciclo di Perseo; Southampton, Southampton City Art Gallery.


Michelangelo, Deposizione di Cristo nel sepolcro (1500-1501); Londra, National Gallery.


La ruota della Fortuna (1875-1883); Parigi, Musée d’Orsay.

San Luca (1890 circa).


Cartone preparatorio per vetrata con L’arcangelo Michele (1886 circa).

BURNE-JONES
BURNE-JONES
Maria Teresa Benedetti
Un dossier dedicato a Edward Burne-Jones (Birmingham, 1833 - Londra 1898). In sommario: L'iniziazione: suggestioni autoctone e modelli italiani; L'arte italiana: una passione costante; I grandi cicli; Percorsi paralleli: pittura e decorazione; A cimento con l'arte sacra: il mosaico romano. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.