PRIMI COMMITTENTI:
CONFRATERNITE
E ORDINI RELIGIOSI

Il primo lavoro di Andrea del Sarto ad affresco fu l’avvio della decorazione del chiostro della compagnia dello Scalzo,

gruppo di disciplinati dedicato a san Giovanni Battista, che trasse l’appellativo dall’uso del portacroce di incedere nelle processioni cittadine privo di calzature. 

Nel 1487 i confratelli ampliarono la sede posta in via Larga (oggi via Cavour), situata «sopra la casa del Magnifico Ottaviano de’ Medici, dirimpetto a l’orto di San Marco», e costruirono un ingresso, un chiostro, un vestibolo e un nuovo oratorio. Il chiostro è il primo esempio a Firenze di un simile spazio confraternale: se sono diffusissimi quelli dei conventi maschili e femminili, e se solo i due della basilica di San Lorenzo sono chiostri capitolari, esiste un unico altro esempio, posteriore di un ventennio, di chiostro di confraternita edificato dalla compagnia, anch’essa di flagellanti, della Santissima Annunziata. Si trattava di ambienti che si differenziavano per le dimensioni ridotte ed erano destinati alle pratiche devozionali dei confratelli. Alla compagnia dello Scalzo erano iscritti piccoli artigiani: pellicciai, lanaioli, calzaioli, fonditori, maniscalchi, muratori, orafi, berrettai, sarti, «più ricchi d’animo che di denari», come li definisce Vasari. E di quel gruppo Andrea del Sarto era confratello, anche se la data del suo ingresso non è certa. La ristrettezza di mezzi degli affiliati è confermata anche dall’uso della tecnica a monocromo, povera e rapida, spesso riservata ad ambienti esterni. Sono rappresentate le figure delle Virtù e le Storie di san Giovanni Battista, la cui narrazione inizia a destra della porta d’ingresso e prosegue in senso antiorario con una sequenza che non corrisponde alle date di esecuzione. In quest’ordine si susseguono la Fede (1523); l’Annuncio a Zaccaria (1522-1523); la Visitazione (1524); la Nascita del Battista (1526); la Benedizione di san Giovannino che parte per il deserto (Franciabigio, 1518-1519); l’Incontro di Cristo e san Giovannino (Franciabigio, 1518-1519); il Battesimo di Cristo (1509 circa); la Carità (1513); la Giustizia (1515); la Predica del Battista (1516); il Battesimo delle turbe (1517); la Cattura del Battista (1517); il Banchetto di Erode (1522); la Decollazione del Battista (1523); la Presentazione della testa del Battista (1523); la Speranza (1523).


ll chiostro dello Scalzo a Firenze, affrescato a più riprese da Andrea del Sarto dal 1509 al 1526.


Esequie di Filippo Benizi e il miracolo del fanciullo resuscitato (1510); Firenze, Santissima Annunziata, chiostrino dei Voti.

La prima scena a essere eseguita fu quella del Battesimo di Cristo, che Vasari ricorda antecedente agli affreschi del chiostro dei Voti all’Annunziata, dunque databile intorno al 1509. Andrea aveva tratto ispirazione dalla stessa scena di Ghirlandaio a Santa Maria Novella, ma anche da Andrea Sansovino, Verrocchio e Leonardo, come trapela dall’impostazione ancora quattrocentesca. I lavori si protrassero a lungo e furono anche interrotti dal soggiorno in Francia di Andrea, sostituito in due riquadri dal Franciabigio, per chiudersi con l’esecuzione dell’ultima scena con la Nascita del Battista. Un ciclo fondamentale per la cultura figurativa fiorentina, della cui rilevanza erano ben consapevoli artisti, confratelli e istituzioni ancora alla fine del Settecento. 

Al 1509 risale la prima committenza pubblica ad Andrea visibile non solo agli affiliati a un gruppo. Sarebbe stato il sacrestano fra Mariano, secondo Vasari, ad affidare al pittore ventitreenne il completamento degli affreschi con Storie di Filippo Benizi nel chiostrino dei Voti antistante la chiesa della Santissima Annunziata dell’ordine dei servi di Maria, il santuario fiorentino per eccellenza, custode dell’antica e taumaturgica immagine dell’Annunciazione. Il ciclo dedicato al santo servita più importante, morto nel 1285, era stato iniziato da Cosimo Rosselli a fine Quattrocento, ma era poi stato interrotto. Fra Mariano, secondo Vasari, volle approfittare dell’indole bonaria di Andrea, allettandolo con l’opportunità offerta dal lavoro in uno dei luoghi più frequentati della città, proponendogli il basso compenso di 10 ducati per lunetta e informandolo che il Franciabigio, con cui la precedente amicizia si sarebbe mutata in disaccordo, avrebbe accettato una cifra inferiore. Ma si tratta probabilmente del gusto per l’aneddoto di Vasari. In due anni Andrea, aiutato forse in parte proprio da Franciabigio, affrescò in cinque lunette La guarigione di un lebbroso, La punizione dei giocatori blasfemi, La guarigione di un’ossessa, Le esequie e il miracolo del fanciullo resuscitato, L’imposizione delle reliquie (l’ultima, datata 1510).


Battesimo di Cristo (1509 circa); Firenze, chiostro dello Scalzo.

Inizialmente pose mano a tre scene, tra cui quella in cui Filippo, in viaggio con due confratelli, punisce giocatori e bestemmiatori che avevano sbeffeggiato le sue ammonizioni: un fulmine colpisce un albero sul loro cammino, due giacciono morti a terra, gli altri fuggono terrorizzati, mentre in lontananza la vita prosegue, ignara del dramma che si sta svolgendo. Andrea mostra la sua capacità di esprimere i differenti stati psicologici (spavento per l’evento inaspettato; terrore che si traduce in gesti umanissimi), ma risulta sensibile anche nel riproporre la mutevolezza della natura e gli effetti sugli animali, con riferimenti a Raffaello e - nel cielo carico di nuvole - alla pittura veneta. Andrea proseguì poi l’esecuzione delle altre due lunette, in una delle quali sono raffigurate Le esequie di Filippo Benizi, il cui corpo è composto su un catafalco approntato in un monumentale edificio: in prossimità della testa del defunto alcuni confratelli - e paiono ritratti - recitano l’ufficio funebre, mentre uomini e donne presenziano alla cerimonia. Davanti al morto è distesa la figuretta di un bambino rivestito del sudario, che resuscita al contatto con il panno che riveste il cataletto. Andrea dichiara il suo ossequio per la pittura del Quattrocento fiorentino, con riferimenti alle scene di Esequie affrescate da Domenico Ghirlandaio nelle Storie di santa Fina a San Gimignano (Siena) e nelle Storie di san Francesco nella cappella Sassetti di Santa Trinita.


La punizione dei giocatori blasfemi (1509); Firenze, Santissima Annunziata, chiostrino dei Voti.

Si colloca alla fine del 1510 o ai primi mesi del 1511 il viaggio a Roma, certo ma non documentato, di Andrea del Sarto insieme al Rosso e al Pontormo, suoi allievi per quanto di appena otto anni più giovani. Se ne avverte l’eco nelle opere successive, a cominciare dal Viaggio dei magi, parte dell’altro ciclo del “chiostrino”, dedicato alle Storie della Vergine (cominciato da Alesso Baldovinetti negli anni Sessanta del Quattrocento e poi abbandonato) a cui iniziò a lavorare subito dopo il ritorno e per il quale fu pagato tra novembre e dicembre di quell’anno. 

Il soggiorno romano si rispecchia nell’affresco, alla cui grandiosità non sono estranee le conoscenze dei grandi edifici antichi e dei moderni cantieri romani: Michelangelo impegnato nella Sistina e Raffaello nelle Stanze vaticane. Andrea inserì anche citazioni desunte dalla tradizione fiorentina, così nel corteo che scompare oltre un tornante si riconosce il ricordo dell’analoga scena dipinta da Benozzo Gozzoli nella cappella di palazzo Medici Riccardi, ma a cui Andrea aggiunge una giraffa a memoria dell’inconsueto dono fatto nel 1487 a Lorenzo il Magnifico dal sultano d’Egitto. L’animale morì ben presto di freddo, ma il ricordo rimase a lungo nell’immaginario cittadino.


Andrea del Sarto e Rosso Fiorentino, Viaggio dei magi (1511); Firenze, Santissima Annunziata, chiostrino dei Voti.

Andrea inserì anche citazioni di opere più recenti, quali la Pala di San Donato a Scopeto di Filippino Lippi. Nel giovane in primo piano avvolto nell’ampio panneggio è da individuare l’opera d’esordio del Rosso, appena diciassettenne. 

Ultimo intervento di Andrea nel chiostro dei Voti fu la Natività della Vergine, firmata, siglata e datata 1514, ma a cui aveva iniziato a lavorare già l’anno precedente. Per la composizione il pittore guarda all’incisione di Albrecht Dürer di uguale soggetto: anche in alcune scene del chiostro dello Scalzo (la Predica del Battista, del 1515 e il Battesimo delle turbe, del 1516-1517), Andrea mostra interesse per le stampe nordiche che circolavano nella sua bottega e da cui, come nota Vasari «cavò alcune figure riducendole alla maniera sua», seguito poi da altri artefici fiorentini. La figura centrale, in cui sulla scorta di Vasari viene riconosciuto il ritratto della moglie di Andrea, è inserita in una scena di lussuosa intimità domestica di una stanza fiorentina dell’epoca con il letto sollevato su una pedana, chiuso da un ricco baldacchino, con le pareti circondate da una spalliera e da un lettuccio intarsiato su cui riposa un pensieroso Gioacchino. 

Notazioni affettuose e quotidiane sono poi riconoscibili nella levatrice pronta a lavare la piccola Maria, nel fuoco del grande camino a cui si riscalda un bambino, nella donna che piega le pezze necessarie per fasciare la neonata.


Natività della Vergine (1514); Firenze, Santissima Annunziata, chiostrino dei Voti. Sull’architrave del grande camino è presente la data 1514 in numeri romani e il monogramma dell’artista. Sul fastigio due putti affiancano lo stemma dell’Ordine servita e l’iscrizione «ANDREAS FACIEBAT».

In quello stesso chiostro al Franciabigio era stata affidata nel 1513 la lunetta dello Sposalizio della Vergine, al Rosso l’Assunzione (1513 circa), al Pontormo la Visitazione (compiuta nel 1514-1516). Un ambiente che ha visto la nascita della “maniera moderna” fiorentina, portata avanti da giovanissimi artisti riuniti sotto la definizione di Scuola dell’Annunziata in contrapposizione alla Scuola di San Marco raccolta intorno a Mariotto Albertinelli e Fra Bartolomeo. 

L’esposizione degli affreschi alle intemperie ha reso necessario ripetuti restauri: nell’ottobre del 2017 si è concluso l’intervento all’intero ciclo durato quattro anni. 

Ancora per la chiesa servita, forse in concomitanza con l’ultima lunetta o poco dopo, per lo sportello del tabernacolo dell’altare della miracolosa Annunciazione Andrea dipinse il Redentore, forse commissionato dalla famiglia Medici che ne aveva il patronato. Vasari ricorda: «Fece Andrea una testa d’un Cristo, […] tanto bella che io per me non so se si può imaginare da umano intelletto, per una testa d’un Cristo, la più bella». Le parole attestano non solo l’alta considerazione per la qualità, ma anche la consapevolezza della valenza sacrale di quest’immagine che costituisce un perfetto prototipo iconico. Non si tratta di un Cristo benedicente, e non può essere identificato come “Ecce Homo”, “Vir dolorum” o “Salvator mundi”, mentre presenta un’iconografia rara, determinata dalla sua funzione.


Predica del Battista (1515); Firenze, chiostro dello Scalzo. All’Annunziata (ma quasi in contemporanea al chiostro dello Scalzo) negli affreschi con la Predica del Battista, 1515, e col Battesimo delle turbe, 1516-1517, Andrea manifesta il suo interesse per il linguaggio delle stampe nordiche.


Sposalizio mistico di santa Caterina (1513 circa); Dresda, Gemäldegalerie Alte Meister.

Le altre immagini devozionali erano infatti destinate alla meditazione, mentre il Redentore di Andrea occupa una posizione inusuale, essendo stato dipinto come sportello del tabernacolo del Sacramento. Cristo esibisce sulla mano la ferita del chiodo della croce, con allusione al Sacrificio e riferimento all’ostia conservata dietro all’immagine. Lo sguardo e le mani sovrapposte sul petto esprimono un atteggiamento di pathos e umiltà che crea una corrente emozionale con il devoto attraverso lo studio psicologico dell’espressione di origine leonardesca. 

Forse a questo Redentore ha guardato secoli dopo anche il lucchese Pompeo Batoni per il suo fortunatissimo Sacro cuore di Gesù

All’inizio della carriera di Andrea ebbe un ruolo fondamentale anche il suo rapporto con l’ordine agostiniano, per la cui chiesa del convento di San Gallo eseguì tre tavole, dimostrando la capacità di dominare anche questa tecnica. Il convento, voluto da Lorenzo il Magnifico e dal 1504 di patronato dell’Arte della seta, fu abbattuto nel 1529 per non offrire riparo al nemico, essendo posto all’esterno delle mura cittadine in prossimità della porta omonima. Le tre opere furono allora trasferite nella chiesa di San Jacopo tra’ Fossi, nell’attuale via de’ Benci, dove subirono la terribile alluvione del 1557.


Battesimo delle turbe (1516-1517); Firenze, chiostro dello Scalzo. L’interesse per Michelangelo è attestato dallo studio dei nudi della Battaglia di Cascina, citati nell’uomo a sinistra che si allaccia la calzatura, ma Andrea guarda anche alle incisioni nordiche che circolavano nella sua bottega.


Redentore (1514-1515 circa); Firenze, Santissima Annunziata.

Primo impegno, nel 1509-1510, fu il Noli me tangere, oggi agli Uffizi, che valse in seguito ad Andrea la committenza delle altre due tavole: l’Annunciazione e la Disputa sulla Trinità, tutte conservate alla Galleria palatina di palazzo Pitti. 

L’Annunciazione, di cui fu committente Taddeo di Dante da Castiglione, non datata ma databile al 1512, è poeticamente firmata sul leggio con una preghiera in lettere dorate: «ANDREA DEL SARTO TA PINTA | QUI COME NEL COR TI PORTA | ET NON QUAL SEI MARIA | PER ISPAR | GER TUA GLORIA ET NON SUO NOME ». La scena si svolge all’aperto, davanti a un edificio classicheggiante di gusto romano. Al viaggio nell’Urbe rinviano anche le rovine in lontananza e la posa monumentale, solenne e pacata della Vergine che, come quella della Carità dello Scalzo (1513), sembra ispirata a un modello antico. La complessa iconografia della tavola, con figure avvolte in ampi mantelli che si affacciano al terrazzo additando la diafana figura dell’uomo seminudo seduto sui gradini, ha fatto ipotizzare ad Antonio Natali che per interpretarla si debba ricorrere ai testi di sant’Agostino, titolare dell’ordine cui la chiesa apparteneva. Si tratterebbe dell’allusione ad Adamo, prefigurazione di Cristo prossimo a incarnarsi nel grembo di Maria, mostrato dai profeti Isaia e Michea, che nell’Antico testamento avevano annunciato l’Incarnazione. La posa di Gabriele si ispira a quella della ricostruzione che del Laocoonte fece Jacopo Sansovino, sebbene il giglio abbia sostituito le spire del serpente. La tavola è stata probabilmente preparata da Andrea attraverso la vasta produzione grafica a lui consueta, ma pare conservato solo il disegno relativo all’Angelo annunciante (pietra rossa, in parte acquerellata, su tracce di pietra nera), che attesta il suo stile in una fase ancora giovanile.


Carità (1513); Firenze, chiostro dello Scalzo.

Annunciazione (1512); Firenze, palazzo Pitti, Galleria palatina.


Angelo annunciante (1512); Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei disegni e delle stampe.

La terza pala per il convento di San Gallo, la Disputa sulla Trinità, risale al 1517. Quattro figure sarebbero impegnate secondo Vasari nel dibattere il tema, adeguato a una chiesa dell’ordine dedicato a sant’Agostino, autore del trattato De Trinitate, fondamentale per la definizione del dogma. L’aretino evidenzia la capacità di Andrea di rendere i caratteri dei santi: la veemenza del vescovo Agostino dall’«aria veramente africana», l’espressione «fieramente terribile» del domenicano Pietro martire, il riserbo del protomartire Lorenzo quasi intimidito dall’autorevolezza dei partecipanti alla discussione, la «caldezza di fervore» di Francesco. Presenti, questi ultimi due, per essere protettori dei fratelli Peri, committenti della tavola, mentre in basso sono inginocchiati Sebastiano e Maddalena. Tutti sono sovrastati dalla Trinità oggetto della discussione: il Padre e il Figlio in scorcio, per i quali Andrea è memore delle stesse figure affrescate alla Santissima Annunziata da Andrea del Castagno nel 1453-1454. Qui sembra mancare la colomba simbolo dello Spirito santo, ma alla terza persona della Trinità allude, secondo Antonio Natali che cita Agostino, la nuvola tempestosa che circonda l’apparizione: quella stessa nube che era comparsa nel momento della consegna a Mosè delle tavole della Legge sul monte Sinai.

Disputa sulla Trinità (1517 circa); Firenze, palazzo Pitti, Galleria palatina.


Madonna col Bambino e i santi Francesco e Giovanni evangelista (Madonna delle arpie) (1517); Firenze, Gallerie degli Uffizi.

Nel 1517 Andrea firmò (con l’appellativo di Sarto e qualificandosi come fiorentino) e datò un’altra tavola fondamentale, forse la sua più nota, la Madonna col Bambino e i santi Francesco e Giovanni evangelista, nota come Madonna delle arpie. Il soggetto della pala - destinata alla chiesa del convento femminile di San Francesco - venne probabilmente suggerito dal teologo francescano Andrea Sassolini, fervente seguace di Savonarola. Il contratto stipulato nel maggio 1515 prevedeva che l’opera venisse consegnata entro un anno e che vi fossero rappresentati la Madonna incoronata da angeli, l’evangelista Giovanni e san Bonaventura. L’esecuzione fu però posticipata e l’impostazione iniziale mutata: Maria col Bambino in collo è in piedi all’interno di una nicchia mentre due piccoli angeli si stringono alle sue gambe e Bonaventura ha ceduto il posto a Francesco. Il basamento su cui si erge la Madonna, che reca data, firma e un inno mariano dedicato all’Assunzione, è scandito agli angoli da locuste (interpretate da Vasari come arpie, che hanno dato il nome all’opera). Secondo Natali le cavallette e gli aloni di fumo che salgono lateralmente sono riferimenti al nono capitolo dell’Apocalisse, volume che Giovanni tiene appoggiato sulla coscia. Un riferimento importante in quel periodo turbato. Considerando il clima religioso a Firenze, proprio in quell’anno il Concilio fiorentino indetto da Leone X aveva proibito le profezie relative all’approssimarsi del Giudizio, basate proprio sull’Apocalisse

Le figure sono monumentali, di una grandiosità scultorea, a cui forse non fu estranea l’amicizia di Andrea col Sansovino, di cui si percepisce l’influsso nella figura di Giovanni, che richiama il marmoreo San Giacomo maggiore, eseguito nel 1511 per la cattedrale fiorentina.


Jacopo Sansovino, San Giacomo maggiore (1511); Firenze, cattedrale di Santa Maria del Fiore. Secondo Vasari, Andrea e il Sansovino «ebbero la medesima grazia nel fare, l’uno nella pittura, l’altro nella scultura, perché conferendo insieme i dubbi dell’arte, e facendo Jacopo per Andrea modelli di figure, s’aiutavano l’un l’altro sommamente».


Madonna col Bambino e i santi Francesco e Giovanni evangelista (Madonna delle arpie) (1517), particolare; Firenze, Gallerie degli Uffizi. L’evangelista tiene appoggiato sulla gamba destra il volume dell’Apocalisse.

ANDREA DEL SARTO
ANDREA DEL SARTO
Ludovica Sebregondi
Un dossier dedicato ad Andrea del Sarto (Firenze, 1486 - 1530). In sommario: Pittore senza errori in un'età tumultuosa; Primi committenti: confraternite e ordini religiosi; Mondo profano; Committenze reali e non solo; L'assedio di Firenze e l'epilogo. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.