Il ruolo fondamentale dei suoi monocromi della compagnia dello Scalzo quale fonte di ispirazione per gli artisti fu evidente da subito, tanto che i pittori che volevano farne copia, già pochi anni dopo l’esecuzione dovevano farne espressa richiesta al sodalizio, e se si avvertiva la necessità di una regolamentazione, si trattava certamente di richieste non sporadiche. Inoltre, a seguito delle soppressioni del 1785, il chiostro fu affidato all’Accademia reale delle belle arti, che l’adibì a Scuola del disegno.
Andrea era figlio di un sarto, come attesta l’appellativo con cui è noto e con cui firmava i propri lavori, sebbene a volte siglasse col solo monogramma delle due A intrecciate di nome e patronimico (Andrea d’Agnolo). I genitori, anche la madre era figlia di un sarto, abitavano a Firenze, nel “popolo”, cioè parrocchia, di Santa Maria Novella; lo testimonia l’atto di battesimo, da cui risulta che Andrea «d’Agnolo di Francesco », nato il 16 luglio 1486 a «hore 18», fu battezzato il giorno successivo in San Giovanni. La famiglia si trasferì poi nel popolo di San Marco, nella zona di via San Gallo, abitata da artigiani la cui attività era legata all’Arte della seta: tessitori di drappi, torcitori, sarti, farsettai, berrettai. Un ambiente prediletto da Andrea, sempre profondamente legato al mondo popolano, che Vasari, quasi irritato, definisce «d’animo basso nelle azzioni della vita», sottolineando una «certa timidità d’animo, ed una certa natura dimessa e semplice». L’aretino ne ricorda le più strette amicizie, sottolineando che il pittore non metteva minor impegno nei lavori destinati a committenze poco influenti, addirittura preferendole a quelle di personaggi altolocati.
Nella prima edizione delle Vite (1550) Vasari critica aspramente e a lungo la moglie di Andrea, che ha sempre avuto un ruolo importante nella vita di lui: la bellissima Lucrezia del Fede, altera e superba figlia del sensale di drappi, panni e cavalli Bartolomeo, consorte del berrettaio Carlo di Domenico, rimasta vedova nel 1516 e con la quale Andrea si sposò prima del viaggio in Francia nella primavera del 1518. Lucrezia aveva avuto una figlia dal primo matrimonio, Maria, a cui Andrea fu tanto legato da lasciarle in eredità la propria bottega e l’orto contiguo posto in via del Mandorlo, l’attuale via Giusti.
«Antieroico e bonario» lo definì Luciano Berti, qualifiche che ben si adattano alla fisionomia che ci viene riconsegnata dall’unico autoritratto autonomo, dipinto su un embrice negli ultimi anni della sua esistenza, a cui Vasari si ispirò per l’incisione che accompagna la biografia dell’artista nell’edizione del 1568 delle Vite.
Quelli di Andrea (1486-1530) furono anni calamitosi a Firenze, segnati dalla morte di Lorenzo il Magnifico nel 1492, dalla discesa di Carlo VIII di Francia e dalla cacciata dei Medici nel 1494, dalla Repubblica savonaroliana e dall’opposizione a papa Alessandro VI Borgia, dai roghi delle vanità e dalla condanna a morte di Savonarola nel 1498. Nel 1502 Pier Soderini fu nominato gonfaloniere a vita, ma il suo accordo con Luigi XII portò, a seguito del ritiro dei francesi causato dalle perdite nella pur vittoriosa battaglia di Ravenna - combattuta contro le forze antifrancesi della Lega santa -, al feroce Sacco di Prato da parte delle truppe spagnole. Iniziato il 29 agosto 1512 si protrasse per ventidue giorni. Soderini dovette abbandonare Firenze e dopo diciotto anni dalla loro cacciata i Medici tornarono in città. Il crescente potere della famiglia è testimoniato anche dall’elezione al soglio pontificio nel marzo 1513 del cardinale Giovanni, figlio del Magnifico, col nome di Leone X. Il suo fu un papato segnato anche, il 31 ottobre 1517 secondo la tradizione, dall’affissione sulla porta della cattedrale di Wittenberg da parte di Martin Lutero delle novantacinque tesi contro le indulgenze papali. Leone lo scomunicò nel 1521. Ancora un Medici, Clemente VII, fu eletto papa nel 1523 e da subito condannò la “calamità luterana”: la Chiesa di Roma si rendeva dunque ben conto delle conseguenze sulla cristianità del lacerante contrasto.
L’alleanza di Clemente VII con Francesco I contro le truppe spagnole e imperiali fallì nel 1525, quando, nel corso della battaglia di Pavia, il re francese in persona fu fatto prigioniero. I lanzichenecchi, truppe mercenarie al soldo dell’imperatore Carlo V, scesero lungo la penisola ed entrarono a Roma all’inizio del maggio 1527: violenze, sacrilegi e saccheggi si protrassero per mesi. Di conseguenza i Medici furono nuovamente cacciati da Firenze, dove venne proclamata l’ultima Repubblica, che dovette tener testa all’assedio posto alla città dalle truppe di Carlo V, che col papa si era riconciliato: Andrea del Sarto vide la resa di Firenze agli assedianti il 12 agosto e la riconsegna ai Medici, ma morì poco più di un mese dopo, nel corso dell’epidemia pestilenziale che aveva accompagnato l’assedio. Anni difficili, densi di pericoli, in una città drammaticamente divisa. Ripercorrendo le numerosissime committenze ricevute da Andrea, la problematicità del periodo si percepisce tuttavia spesso solo in filigrana.
Fu anche un’epoca di straordinario fervore artistico, resa unica all’inizio del secolo dalla presenza a Firenze di Leonardo (rientrato in città da Milano nell’agosto 1500 e rimasto fino al 1508), Michelangelo (dalla primavera 1501 al marzo 1505) e di Raffaello (giunto nel 1504 e rimasto fino al 1508) e dalle committenze pubbliche del capolavoro michelangiolesco del David e degli affreschi delle Battaglie di Anghiari e di Cascina (queste ultime commissionate rispettivamente al da Vinci e al Buonarroti) per la sala del Maggior Consiglio in Palazzo vecchio, oltre che dalla Madonna del baldacchino lasciata incompiuta da Raffaello alla partenza per Roma nel 1508, e dall’operare nel convento di San Marco di Fra Bartolomeo.
Andrea, allievo di Piero di Cosimo e Raffaellino del Garbo, trasse dalle novità del primo decennio fonte di ispirazione e meditazione. Vasari attesta che il giovane, in compagnia di numerosissimi altri artisti, studiò assiduamente i cartoni delle Battaglie nella sala del Papa nel convento di Santa Maria Novella (dove furono esposti). I cartoni furono definiti la «scuola del mondo» da Benvenuto Cellini. Fu l’occasione per Andrea di stringere amicizia con Francesco di Cristofano detto il Franciabigio, di due anni più anziano. I due giovani decisero di aprire bottega insieme: secondo Vasari Andrea era stanco delle eccentricità di Piero di Cosimo, e il Franciabigio si trovava in difficoltà perché il maestro Mariotto Albertinelli aveva abbandonato la pittura. Forse si unirono in compagnia dal 1506 e certamente il 12 dicembre 1508 Andrea si iscrisse all’Arte dei medici e speziali. Utilizzarono dapprima una bottega non lontana dalla Loggia del grano, presso Palazzo vecchio, ma si trasferirono intorno al 1510-1511 nella Sapienza, l’edificio non terminato, pensato per il collegio universitario fiorentino, adiacente al convento dell’Annunziata e prospiciente San Marco. Per un breve periodo, fino al 1515, vi ebbero bottega artisti e artigiani, tra cui gli scultori Giovan Francesco Rustici e Jacopo Tatti detto il Sansovino, ambedue amici di Andrea.