Probabilmente una parte dei soldi fu assorbita dall’acquisto, il 15 ottobre 1520, del terreno destinato alla casa e alla bottega da costruirsi all’angolo tra via del Mandorlo (oggi via Giusti), e via San Sebastiano (l’attuale via Gino Capponi). In quell’edificio, corredato anche di orto, Andrea passò gli ultimi anni della vita, in una zona abitata, allora e anche in seguito, da numerosi artisti: la sua stessa abitazione fu poi rinnovata da Federico Zuccari.
Al ritorno dalla Francia, oltre a riprendere il lavoro al chiostro dello Scalzo che durante la sua assenza era stato portato avanti dal Franciabigio, affrescò il ricordato Tributo a Cesare nella villa di Poggio a Caiano. Analoga grandiosità di forme, simili ampie panneggiature, affine richiamo all’antico persistono nel San Giovanni Battista di Andrea della Galleria palatina, fulcro del “fornimento” per l’anticamera di Giovanni Maria Benintendi, emergente banchiere legato ai Medici. Il coordinamento degli artisti fu affidato intorno al 1523 a Baccio d’Agnolo, che assegnò i pannelli - legati da un complesso tema iconologico sul tema del battesimo - al Pontormo, al Bachiacca e al Franciabigio.
Il possente torso nudo guarda a modelli classici come il Doriforo di Policleto a cui sembra ispirato il portamento della testa, la posizione delle braccia anche se un cartiglio, una semplice ciotola, una pelle malamente annodata, la croce di canne scheggiate, introducono elementi desunti dalla realtà quotidiana, riproposti con sensibile adesione al dato naturale.
L’imponenza delle forme caratterizza anche il Compianto su Cristo morto, noto come Pietà di Luco dalla località per cui il dipinto fu eseguito. Diffusasi infatti nel 1523 una terribile epidemia pestilenziale, lentamente Firenze si svuotò e anche gli artisti cercarono riparo nel contado per evitare il contagio: Andrea del Sarto, invitato dall’amico Antonio Brancacci, raggiunse con moglie, figliastra, cognata e il garzone Raffaello, Luco in Mugello dove, per il monastero camaldolese di San Pietro retto dalla badessa Caterina della Casa, fra il 1523 e il 1524 dipinse la tavola. L’opera precede di quarant’anni la fine del Concilio di Trento, ma in essa sono già presenti gli elementi di chiarezza dottrinale, decoro e dignità delle figure, coinvolgimento emotivo dei fedeli, dimostrazione degli affetti, che saranno richiesti espressamente dall’arte della Controriforma. Nella pala viene sottolineato infatti quanto messo in discussione da Lutero: reale presenza di Cristo nell’ostia consacrata, centralità della figura della Madonna, ruolo della Chiesa, importanza dei santi. Al centro Cristo è sostenuto da Giovanni sulla pietra dell’unzione, rivestita non dal sudario, ma da una vera e propria tovaglia dell’Ultima cena, candida e con le pieghe stirate. Il mistero eucaristico è espresso in modo limpido dal calice con la patena, sovrastato da una particola che reca - bianco su bianco - l’immagine della Crocifissione. A tutti i fedeli doveva essere evidente, anche in una zona rurale appartata come il Mugello, la reale presenza di Cristo nell’eucarestia.
La Madonna rappresenta il punto focale della composizione, Pietro e Paolo alludono alla Chiesa, mentre la Maddalena e Caterina d’Alessandria confermano il culto dovuto ai santi. Tutto con evidenza immediata, linearità compositiva, limpido disegno.
I volti femminili, come attestano i disegni preparatori, sono dei ritratti, forse della cognata o della figliastra Maria del Berrettaio. Viene dunque confermata la pratica secondo cui Andrea elaborava la composizione nelle sue linee generali e lavorava in seguito su modelli reali, ritraendo aiutanti di bottega o, per le figure femminili, mettendo in posa le amate donne della famiglia.
Un particolare, quello dell’ostia irrealisticamente elevata sulla patena, che Andrea aveva già utilizzato nella Fede del chiostro dello Scalzo, figura di ieratica gravità che si ispira a modelli antichi.