MAGIA E STREGONERIA

La magia può essere intesa anche nelle accezioni di proiezione poetica e artistica, o come atto che desidera liberarsi dai vincoli terreni più gravosi,

per librarsi in uno stato estatico di sospensione e per penetrare nel mistero dell’invisibile. Come forma di conoscenza vitalistica e dinamica, permette un rapporto profondo con le forze che muovono la natura. Consona a una forma superiore di conoscenza, la magia ha capacità di attrarre e di incantare, anche per mezzo di forze spirituali, intermedie tra la persona e il mondo divino, con le quali si entra in contatto per mezzo di riti, pratiche mistiche e religiose. La magia può essere intesa come arte liberata dalla menzogna di essere verità? La notte è il momento opportuno per compiere tentativi per andare oltre i limiti dovuti alle leggi della gravità, oltre le imposizioni dei poteri forti delle monarchie e delle cariche ecclesiastiche. Il sabba segue questa possibilità di liberazione, anche per via onirica. 

La divinità protettrice della stregoneria è una dea consacrata alla luna, di genere bisessuato, in quanto possiede in sé entrambi i principi della generazione: Ecate o Selene. Di natura triplice, viene raffigurata con tre teste, legata alle fasi lunari. Si identifica in cielo con la Luna, in terra con Diana e negli inferi con Proserpina. È la signora delle proiezioni fantasmatiche, delle tenebre, dei trapassati, delle forze ctonie. Come divinità psicopompa è in grado di viaggiare liberamente tra il mondo degli uomini, quello degli dèi e il regno dei morti: è raffigurata con torce in mano, per questa sua capacità di accompagnare anche i vivi nell’oltretomba.


Michelangelo, Sibilla cumana (1508-1510), dal ciclo di affreschi con le storie della Genesi; Città del Vaticano, Musei vaticani, Cappella sistina, volta.


Ecate triplice (III secolo); Antalya (Turchia), Museo archeologico.

La sibilla cumana traeva da Ecate la capacità di dare responsi provenienti dagli dèi e dagli spiriti. Ecate era in origine una dea delle terre selvagge e del parto, proveniente dalla Tracia o dalla Caria, e i culti popolari la veneravano come una dea madre: secondo Diodoro Siculo è genitrice di Medea, Circe ed Egialeo. Una statua di Ecate è presente in Medea ringiovanisce Esone (1573 circa) di Girolamo Macchietti, nello Studiolo di Francesco I de’ Medici in Palazzo vecchio a Firenze. Medea uccide il vecchio per far resuscitare il nuovo Esone, ringiovanendolo di quarant’anni. Ovidio racconta che la maga ha contatto magico con la natura: esce all’aperto quando la luna è piena, a piedi nudi attraversa l’assoluto silenzio della notte a metà del suo corso, percorre l’aria umida in cui solitarie brillano le stelle. Nella trama compaiono tutti gli ingredienti simbolici cari alle metafore dell’alchimia e della magia. Il mito narra che, dopo aver volato sui draghi per cercare e raccogliere le erbe prodigiose, Medea ritorna dopo nove giorni e innalza due are, una dedicata alla Giovinezza e l’altra a Ecate: nell’opera di Macchietti la dea tiene nella mano sinistra un vaso colmo della sostanza metafisica e fisica al contempo, simbolo della quintessenza di origine divina; questa rugiada celeste è un liquido che arde, è un mercurio colmo di zolfo ardente, è una sostanza divina che purifica bruciando. Il “vas” di matrice uranica, che contiene la fiamma perenne, rimanda alla valenza di un fuoco superiore, di origine celeste, che agisce sui tre princìpi e sui quattro elementi naturali. La maga conosce l’occulto potere delle erbe, dei minerali, dei sali contenuti nel cielo e nella terra, della quintessenza che infonde vitalità nei corpi. Il racconto di Ovidio spiega anche la necessità di avere il favore degli influssi celesti, della luna piena e delle congiunzioni astrali, per rendere giovane un corpo vecchio e attuare trasmutazioni prodigiose. Nello studiolo alchemico di Palazzo vecchio, Giovanni Stradano dipinge un altro riferimento magico nell’ovale Ulisse, Mercurio e Circe (1573 circa): sono rappresentati quattro momenti della narrazione, dove le scene si sviluppano entro la profondità prospettica e interagiscono fra loro semanticamente, suggerendo differenti luoghi della memoria e dello spazio.

In primo piano, Ulisse tiene nella mano destra una pianta dalla radice nera e dai fiori bianchi. Omero la chiama «erba moly», una pianta che cresce nei luoghi consacrati al culto di Ermes e a cui la tradizione greca attribuisce poteri magici. Il benefico farmaco tratto dall’erba prodigiosa farà in modo che Ulisse non venga tramutato in una bestia. Dai filosofi stoici(15) in poi l’erba rappresenta il Logos, inteso come legge di vita per l’uomo razionale. 

Dal Quattrocento al Seicento la società è fortemente permeata da una visione magica del mondo, e allo stesso tempo prende corpo un’indagine e una sperimentazione molto vicina a quella scientifica. Le opere degli artisti sono preziose anche perché testimoniano descrizioni lenticolari e veristiche di strumenti prescientifici poste all’interno di dipinti a tema mitologico o letterario. Lo studiolo fiorentino è un caso esemplare. Dosso Dossi invece immagina due maghe di estrazione cortese, colte nell’atto di evocare forze superiori per mezzo di formule, simboli e cerchi magici: Circe e i suoi amanti in un paesaggio (1525 circa), ora a Washington, nella National Gallery of Art, e La maga Melissa (1518 circa), conservata nella Galleria Borghese di Roma. Nella versione di Washington, la maga, attorniata da sette animali, è seduta davanti a un libro aperto e regge una tavola su cui sono inscritte otto righe di formule. In una pagina del codice miniato si vede un pentacolo. Lo sguardo della maga pare estraniato ed estraneo al gruppo di animali che la circonda. È completamente concentrata nella formula magica, che la sua mano cerca di sentire al tatto, sfiorando le parole inscritte nella tavola. Dossi non raffigura in modo didascalico il racconto letterario, ma reinterpreta la leggenda e traduce il ritmo del testo nella poesia della pittura. Attua metamorfosi con la formula magica dei suoi colori personali. Attinge immagini dai poeti classici e da quelli moderni del suo tempo. In un passo dell’Orlando innamorato (1483), Matteo Maria Boiardo accenna alla presenza di uccelli e di animali, e racconta come Circe venga trasformata in un candido cerbiatto.


Dosso Dossi, Circe e i suoi amanti in un paesaggio (1525 circa); Washington, National Gallery of Art.


Girolamo Macchietti, Medea ringiovanisce Esone (1573 circa); Firenze, Palazzo vecchio, Studiolo di Francesco I.


Giovanni Stradano, Ulisse, Mercurio e Circe (1573 circa); Firenze, Palazzo vecchio, Studiolo di Francesco I.

(15) Secondo Apollonio il Sofista, «Cleante, il filosofo, diceva che il moly indica allegoricamente il Logos, dal quale vengono mitigati i bassi istinti e le passioni». Il tardo platonismo, invece, ha letto la figura di Ermes come ambasciatore del divino, lo psicopompo, che porta il dono degli dèi (l’erba prodigiosa) all’uomo. Avviene così la “paidéia”, ovvero l’educazione interiore che permette all’uomo di liberare la sua luce in potenza dalle tenebre delle passioni terrene. L’“erba moly” è stata interpretata anche come un simbolo dell’uomo, inteso come eterno Odisseo che sta fra Elios risplendente e l’oscura caverna.

Nella tela della Galleria Borghese aleggia un’atmosfera ispirata al genio poetico di Ludovico Ariosto. Il paesaggio lussureggiante e la città che fa da sfondo alle spalle di Melissa paiono emersi da un sogno del pittore. 

Sembra che tutto sia allo stesso tempo impalpabile e trasparente, in una dimensione d’incantamento, in uno stato evocativo, che permane giusto il tempo di un’estemporanea intuizione o visione. Dossi ci rende partecipi della sua notevole componente fantastica, della sua attenzione verso il mondo intellettivo del mito, del mistero, dell’esoterico. La maga prende forma dalla proiezione immaginativa dell’artista, portata dal suono ritmico di un componimento poetico. Il personaggio rappresentato - pur richiamando la figura letteraria di Melissa, l’incantatrice benevola dell’Orlando furioso - diviene il prototipo della donna in grado di trasformare, nel nome del bene, una realtà avversa tramite la conoscenza e l’attuazione di formule magiche. La maga, posta entro un cerchio rituale con scritte enigmatiche, tiene con la mano destra una tavola, sopra la quale appaiono formule e un disegno, ovvero un groviglio di linee rosse che dipartono da un triangolo. Il suo sguardo appare così magicamente raccolto nei pensieri mentre attua gesti da iniziata. 

Con la mano sinistra tiene una torcia accesa. La indirizza verso il basso, dove è situata una coppa colma di una sostanza ignea. La maga è seduta e tiene il piede destro sopra un libro chiuso, posto al centro del cerchio; indirizza il suo sguardo in alto, a sinistra, verso piccole figure antropomorfe, legate al tronco di un albero, intorno al quale si è abbarbicata un’edera. 

Le figurine avvinte all’albero, il cane e i due uccelli, rimandano alla metamorfosi causata dalla stregoneria della malvagia Alcina, messa in atto a discapito dei cavalieri cristiani e saraceni. Melissa, che nel poema di Ariosto è associata a torce fiammeggianti e a segni astrologici, sta attuando il contro-incantesimo, per riportare i soldati alla loro precedente consistenza. 

Tre di loro appaiono già trasformati in uomini e si vedono alle spalle della maga. Tutto allora, come l’atto creativo del pittore, diviene suggestiva metafora universale, pronta a trasmutarsi al tocco prodigioso del pennello, proprio come fosse la torcia magica di Melissa, facendo trionfare i puri mezzi della pittura, per giungere in fine all’opera con un equilibrato senso dei contenuti e delle forme.

Nonostante la bolla di papa Innocenzo VIII contro le streghe emanata nel 1484 e nonostante il Malleus Maleficarum (1486) - ovvero il manuale contro le eresie stregonesche, che per due secoli costituisce la fonte più autorevole per tutte le successive opere di demonologia -, i culti alternativi del popolo rurale e della plebe urbana, le discipline occulte e la magia naturale continuano ad attirare molti seguaci e a dare esca a processi e roghi per almeno duecento anni. Albrecht Dürer realizza opere grafiche che danno voce ai tentativi eversivi della magia e delle credenze occulte nell’ambito tedesco. In Quattro donne nude (1497) l’artista raffigura un quartetto di donne nude, che forma idealmente un cerchio sul pavimento, entro il quale è posto un teschio umano.


Dosso Dossi, La maga Melissa (1518 circa); Roma, Galleria Borghese.


Albrecht Dürer, Quattro donne nude (1497); Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei disegni e delle stampe. Tra il XIII e il XIV secolo, mentre la Chiesa cerca di consolidare la sua egemonia ma è insidiata continuamente da sintomi di crisi, prendono coraggio i superstiti di culti in estinzione, soprattutto un movimento femminile che cerca di opporre resistenza anche mettendo in gioco forze del soprannaturale pagano. Si credeva che molte streghe avessero poteri occulti, che oggi si definirebbero parapsicologici, e altre capacità sovrannaturali.

A poca distanza, oltre la porta, si scorge il diavolo tra le fiamme. Panofsky ha riconosciuto nel soggetto un’antica leggenda nordica, dove una giovane strega messa incinta dal demonio viene soccorsa da altre tre streghe che, pronunciando formule occulte, riescono ad annientare il figlio infernale nel grembo materno. La strega sul caprone (1500-1501 circa) mostra la cavalcata a rovescio compiuta sull’animale sacro del sabba. Tre putti alati reggono ciascuno una verga dei prodigi, mentre un quarto allunga la mano destra, tenendo un grano tra le dita. Nell’incisione sono presenti anche altri dettagli simbolici: una pianticella in vaso, un globo e materia stellare che piove dal cielo. Nei documenti processuali dell’Inquisizione le streghe sono denominate «adepte di Diana»(16). Sono persone che hanno ereditato le conoscenze di un sapere arcaico e utilizzano erbe e sostanze minerali per curare i malati del mondo contadino, fanno le levatrici e aggiustano le ossa, praticando una medicina alternativa rispetto a quella ufficiale riconosciuta dalla Chiesa e dal potere civile. Le più antiche testimonianze sulla cavalcata di Diana sono riconducibili alle città di Worms, Prüm e Treviri, dove probabilmente è avvenuta una “interpretatio romana” di Epona, quasi sempre associata ai cavalli, a cui si collegavano figure del misterioso pantheon celtico, proprio mentre il mondo religioso dei celti veniva dissolto dall’offensiva del cristianesimo(17).


Hans Baldung Grien, Il sabba delle streghe (1510); Boston, Museum of Fine Arts.


Albrecht Dürer, La strega sul caprone (1500-1501 circa); Berlino, Staatliche Museen zu Berlin, Kupferstichkabinett. Le adepte di Diana e i loro sabba sembrerebbero essere la manifestazione della controcultura e una risposta alla repressione della Chiesa, dove la donna (soprattutto dall’XI secolo, quando crollano le autorità durante il Grande Scisma) ridiventa sacerdotessa del culto matriarcale e colei che guarisce con i segreti e le medicine della Natura. Le componenti dei ginecei che imitano le adepte di Diana assumono l’iniziativa in amore, si lasciano condurre dall’emotività erotica, prendono le distanze dai divieti e dalle misure repressive imposti del clero. Molte incisioni del XVI secolo descrivono questi movimenti dell’erotismo libertario costituiti da streghe lascive che volano a dorso di caproni per andare al sabba, per congiungersi con demoni e spiriti immondi, concedendosi a sfrenatezze sessuali.

(16) Per approfondimenti e bibliografia sull’argomento si vedano: La stregoneria. Diavoli, streghe, inquisitori dal Trecento al Settecento, a cura di S. Abbiati, A. Agnoletto, M. L. Lazzati, Milano 1984; M. Centini, Le streghe del mondo. Storia, credenze popolari, riti e simbologia, i grandi processi, Milano 2002; C. Ginzburg, I benandanti. Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento, Torino 1996; Id., Storia notturna. Una decifrazione del sabba, Torino 1989; L. Muraro, La signora del gioco. La caccia alle streghe interpretata dalle sue vittime, Milano 2006; P. Jorio, Il magico, il divino, il favoloso nella religiosità alpina, Ivrea 1984; M. Zanchi, Sotto il segno di Diana. Tiziano, Palma il Vecchio e la Grande Dea, Bergamo 2015.
(17) Sulle connessioni tra Haerecura, Epona e Matres si vedano: G. Faider-Feytmans, La “Mater” de Bavai, in “Gallia”, 6, 1948, pp. 185-194; C. Ginzburg, Storia notturna, cit., pp. 81-82 e nota 65.

Hans Ulrich Franck, Sabba di streghe (senza data); Berlino, Staatliche Museen zu Berlin, Kupferstichkabinett. Il disegno di Hans Ulrich Franck (1603-1675) è ispirato, forse, a un’opera del 1515 di Hans Baldung Grien.


Albrecht Altdorfer, Streghe in preparazione del sabba (1506); Parigi, Musée du Louvre, Cabinet des Dessins.

Scene di sabba sono raffigurate nei primi due decenni del XVI secolo anche da altri artisti di area germanica: Albrecht Altdorfer, Hans Baldung Grien, Urs Graf, Hans Franck(18). Le loro immagini dei voli a dorso di caproni appartengono al desiderio di vincere la forza di gravità e compiere proiezioni immaginifiche nella coscienza, in una dimensione al confine tra forze oscure e spinte estatiche, per approdare a una liberazione interiore e a una levità sovrannaturale. Il volo a dorso di animali o con demoni è presente in un codice miniato del 1470-1480 circa, il Traité du crime de vauderie di Jean Tinctor, dove è anche raffigurata l’adorazione del “bouc” satanico e il bacio iniziatico al suo ano(19)

Vi sono poi codici miniati che riguardano il ciclo di re Artù, e nello specifico immagini del concepimento di Merlino, considerato figlio di un demone e di una donna mortale, che alla nascita eredita dal padre i suoi poteri magici. 

Streghe in volo sui manici di scopa sono dipinte, accanto al testo, nel codice miniato Le Champion des dames (1441-1442) di Martin Le Franc.


Maestro di Marguerite d’York , miniatura con l’Adorazione del “bouc” satanico, da Jean Tinctor, Traité du crime de vauderie (1470-1480 circa); Parigi, Bibliothèque Nationale de France, Ms. fr. 961, f. 1.

(18) Si vedano per esempio: Albrecht Altdorfer, Streghe in preparazione del sabba (1506), Parigi, Musée du Louvre, Cabinet des Dessins; Hans Baldung Grien, Il sabba delle streghe (1510), Boston, Museum of Fine Arts; Hans Baldung Grieg, Sabba di streghe (1523), Francoforte, Städel Museum; Anonimo del XVI secolo, Scena di magia, penna e bistro su carta bianca, Parigi, Bibliothèque de l’Ecole des Beaux-Arts, coll. Masson n. 1194; in ambito italiano: Marcantonio Raimondi, Lo stregozzo (1524- 1527 circa), Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei disegni e delle stampe; Adriano Uberti, Scena di sabba (XVI secolo), incisione su rame.
(19) Il bacio dell’ano è descritto anche in una scena di sabba disegnata nel Chronique di Johann Jakob Wick, del XVI secolo.

Maestro del Champion des dames, Streghe in volo, da Martin Le Franc, Le Champion des dames (1441-1442); Parigi, Bibliothèque Nationale de France, Ms. fr. 12476, f. 105v


Autore ignoto, miniatura con Il concepimento di Merlino (XIV secolo), da Robert de Boron, Le Roman de Merlin en prose (1280-1290 circa); Parigi, Bibliothèque nationale de France, Ms. fr. 95, f. 113v

Nella Scena di sabba (1514), Urs Graf raffigura streghe che stanno mettendo in azione formule magiche e gesti rituali. 

La strega a terra evacua una presenza fumosa. Forse la accende con la fiamma di una lunga candela, o, al contrario, utilizza questo flusso sulfureo per accendere la candela stessa, da porre nel foro del candelabro, proprio in asse con gli oggetti che vengono tenuti, uno sopra l’altro, per invocare presenze sovrannaturali. 

Sono una collana e un piatto, contenente un teschio e una tibia. La collana ha undici grani, tra i quali due dadi (quello più in alto mostra le facce con cinque e tre punti, mentre quello inferiore ha quattro e due punti) e un teschietto. A terra, in primo piano, spicca un libro aperto, sulle cui pagine si riconoscono segni magico-simbolici. A poca distanza un gatto vomita un altro flusso.


Hans Baldung Grien, Sabba di streghe (1523); Francoforte, Städel Museum.

Cornelis Saftleven, Sabba di streghe (1640); Chicago, Art Institute.

anonimo, Sabba di streghe, da Johann Geiler von Kayserberg, Die Emeis (Strasburgo 1517). L’immagine qui riprodotta è conservata alla Cornell University Library di Ithaca (New York).

Le scene con presenze legate al sabba sono state immaginate anche nei secoli successivi. Nel 1610, il magistrato Pierre de Lancre, preoccupato per le pratiche stregonesche che dilagano in Francia sia fra i dotti sia fra il popolino, scrive Tableau de l’inconstance des mauvais anges et démons per esortare i governanti e i sacerdoti a sorvegliare con maggior cura le loro pecore; in una tavola fuori testo è stato illustrato il sabba in ogni sua fase, presieduto dal grande caprone con cinque corna, seduto in trono.


Marcantonio Raimondi, Lo stregozzo (1524-1527 circa); Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei disegni e delle stampe.


Tavola con scena di sabba da incisione di Jan Ziarnko, tratta dal Tableau de l’inconstance des mauvais anges et démons (Parigi 1610) di Pierre de Lancre.

Frans Francken II ha dipinto due versioni del sabba, attorno al 1606, una conservata al Victoria and Albert Museum di Londra e una al Kunsthistorisches Museum di Vienna, ambientate in interni domestici fiamminghi, dove un gran convegno di streghe evoca demoni e figure mostruose, dopo aver tracciato cerchi magici e formule sul pavimento, rimestato pozioni nei calderoni, innalzato altari con teschi umani.


Frans Francken II, Sabba di streghe (1606 circa); Vienna, Kunsthistorisches Museum.


Frans Francken II, Sabba di streghe (1606 circa); Londra, V & A - Victoria and Albert Museum.

Una scena con l’uomo nel cerchio magico è stata affrescata attorno al 1420 da Stefano da Ferrara o da Nicolò Miretto nel Palazzo della ragione di Padova, dove il mago è associato al segno zodiacale del Leone. Un’altra Scena nel cerchio magico (1532) è presente nel testo Von der Artzney bayder Glück, das güten und widerwertigen di Francesco Petrarca(20): nell’incisione acquerellata da Petrarca- Meister è narrata, con una caratterizzazione macchiettistica dell’alchimista, la ricerca di un tesoro luminoso trovato con l’aiuto del diavolo.


Petrarca-Meister, Scena nel cerchio magico (1532), dal testo Von der Artzney bayder Glück, das güten und widerwertigen, nella traduzione tedesca (Augusta 1532) del De remediis utriusque fortunae di Francesco Petrarca.


Stefano da Ferrara o Nicolò Miretto, Uomo nel cerchio magico (1420 circa), associato al segno del Leone; Padova, Palazzo della ragione.

(20) Petrarca-Meister, Scena nel cerchio magico (1532), incisione acquerellata presente nel testo Von der Artzney bayder Glück, das güten und widerwertigen, nella traduzione tedesca del De remediis utriusque fortunae di Francesco Petrarca, a cura di P. Stahel e G. Spalatin, Augusta 1532, vol. I, cc. LXXv - LXXIr (cap. LV).

Il cerchio magico più famoso e poetico nella storia dell’arte è quello che appare nell’incisione di Rembrandt, realizzata attorno al 1652, dove il soggetto dall’identificazione incerta (è stato classificato come alchimista o come Faust) è chiamato da una mano sovrannaturale - proveniente dall’apparizione di parole enigmatiche nel cerchio raggiante - a scorgere la realtà superiore entro lo specchio dell’arte misterica. 

Un cerchio magico sul terreno compare nel dipinto di Jacob Cornelisz van Oostsanen, Saul e la strega di Endor (1526), ora nel Rijksmuseum di Amsterdam, dove sono raffigurati i vari episodi della storia biblica che si riferisce a una pratica di negromanzia (Samuele 1, 28-31), qui descritta in una modalità da narrazione simultanea. Poco prima della battaglia di Gilboa, Saul consulta una strega, nota per il possesso di un talismano in grado di evocare gli spiriti dei defunti, sfuggita alla sua persecuzione. In primo piano l’artista immagina una riunione di streghe e presenze demoniache, tutti raccolti in quel luogo per accrescere il potere evocativo, così da far risalire dalla terra lo spettro del profeta Samuele, morto da poco, che però non dà a Saul le risposte che cercava, ma predice l’imminente sua fine e la caduta del suo regno. E in lontananza si scorge Saul che si suicida infilzandosi con la spada. 

Questo episodio veterotestamentario è stato spesso rappresentato nel corso dei secoli. Qui ricordo almeno la versione di Salvator Rosa, del 1668, ora al Louvre, e tutte le sue opere che affrontano esplicitamente il tema negromantico(21).


Rembrandt, Faust (1652 circa); New York, Metropolitan Museum of Art.

(21) Salvator Rosa, Strega (1646), Roma, Musei capitolini; Sabba di streghe (1649), Firenze, Galleria Corsini; Streghe e incantesimi (1646 circa), Londra, National Gallery; Streghe e incantesimi (1646 circa), Althorp House, Spencer Collection.

Jacob Cornelisz van Oostsanen, Saul e la strega di Endor (1526); Amsterdam, Rijksmuseum.


Salvator Rosa, Streghe e incantesimi (1646 circa); Londra, National Gallery.


Salvator Rosa, Lo spettro di Samuele appare a Saul (1668); Parigi, Musée du Louvre.

Tornando alle atmosfere del sabba, due versioni di notevole portata sono state immaginate dal genio di Francisco Goya. La Scena di sabba (1821-1823) del Prado e Il sabba delle streghe (1797-1798), ora nel Museo Lázaro Galdiano a Madrid, portano in superficie il torbido della coscienza umana, le dissolutezze dell’allucinazione, l’assurdo possibile, il ghigno diabolico, la seduzione delle tentazioni, la terribilità della natura, non solo i mostri della ragione ma anche quelli dell’irrazionale.


Francisco Goya, Scena di sabba (1821-1823); Madrid, Museo Nacional del Prado.


Francisco Goya, Il sabba delle streghe (o Il grande caprone) (1797-1798); Madrid, Museo Lázaro Galdiano.

Il gran caprone oscuro e in controluce, oppure mostrato frontalmente con gli occhi di brace e con la corona vegetale, incanta con la sua presenza le devote dai volti caricaturali, disposte in cerchio e pronte a offrire in sacrificio vittime infantili o esseri scheletrici. Mentre in Le streghe in aria (1797), conservato nel Victoria and Albert Museum di Londra, convivono due registri, uno grave e uno lieve. In alto tre persone galleggiano in un’atmosfera ipnotica, si librano in uno stato di sospensione onirica, sostenendo il corpo di un uomo. In basso, una persona - porta un telo bianco che gli copre il capo, il viso e la schiena - compie il gesto delle fiche con entrambe le mani, mentre a poca distanza un uomo sdraiato sul suolo si tiene la testa tra le mani e si copre le orecchie, come se non volesse udire ciò che sta accadendo. Intanto un asino, in disparte, osserva la scena. 

Per unire l’inizio alla fine, nel cerchio di questo breve excursus sul rapporto tra arte e magia, è necessario avere ben in mente che chi è riuscito a connettersi personalmente con gli spiriti, con le forze della natura o con la divinità, ogni volta successiva si è esercitato a creare un cerchio ulteriore, che avesse qualcosa di speciale rispetto al cerchio magico precedente, per tenere vivo e fertile lo stato di sospensione nel mistero.

Chi ha a che fare con la magia naturale, quando si rivolge verso l’universo che la contiene, si trova davanti al mistero dell’ignoto. E quando riesce a vedere con chiarezza, intuisce qualcosa dell’ignoto farsi presenza. E quando l’ignoto porta con sé qualcosa della verità segreta, l’iniziato ha la possibilità di sentire un’altra dimensione, anche se solo come presenza evocativa. Pure la logica e la razionalità, quando sono relazionate all’ignoto, devono aver sempre presente che gli esseri viventi sono ignoranti di fronte alla complessità della vita. Il mistero dell’universo sposta sempre i suoi confini, e la scienza è costretta ad appurare ogni volta le sue parziali conquiste di conoscenza. L’ignoto continua a manifestarsi con ampi margini di parzialità, così che rimanga sempre celato qualcosa. Max Planck ha lucidamente intuito che «la scienza non può svelare il mistero fondamentale della natura. E questo perché, in ultima analisi, noi stessi siamo parte dell’enigma che stiamo cercando di risolvere»(22).


Francisco Goya, Le streghe in aria (1797); Londra, V & A - Victoria and Albert Museum. Goya, sottile indagatore dell’occulto, qui immagina un sabba colmo di cose inconsce, una sospensione nell’irrazionale, al confine tra la dimensione onirica e la realtà concreta delle superstizioni e fantasie popolari.

(22) Cit. in K. Wilber, Quantum Questions: Mystical Writings of the World’s Great Physicists. Werner Heisenberg, Erwin Schroedinger, Albert Einstein, Prince Louis de Broglie, Sir James Jeans, Max Planck, Wolfgang Pauli, Sir Arthur Eddington, Boston 1985, p. 153.

Johann Heinrich Füssli, Titania e Bottom (1793-1794); Zurigo, Kunsthaus.


Johann Heinrich Füssli, Le tre streghe (1782-1783); Svizzera, Collezione del Royal Shakespeare Theatre.

ARTE E MAGIA
ARTE E MAGIA
Mauro Zanchi
Un dossier dedicato ad arte e magia. In sommario: Magia naturale; Metamorfosi prodigiose e miracoli biblici; Magia e stregoneria. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.