METAMORFOSI PRODIGIOSEE MIRACOLI BIBLICI

Se dovessimo interpretare alla lettera i testi mitologici di ogni cultura e di ogni luogo geografico,

tutte le metamorfosi prodigiose(8) narrate non potrebbero apparire come atti magici, ovvero al di sopra delle leggi naturali? E che dire dei miracoli veterotestamentari di Mosè - la “verga dei prodigi” (funge da bacchetta magica) apre e richiude le acque nel passaggio del mar Rosso, viene trasformata in serpente, fa scaturire le acque dalle rocce dell’Oreb; raggi di luce, o corna simboliche, permangono sul capo di Mosè dopo l’incontro con IHWH nel roveto ardente -, di Giosuè che ferma il sole e di altri atti sovrannaturali di personaggi religiosi? E i re magi che giungono da Oriente per onorare colui che resusciterà hanno anche connotazioni esoteriche o solo grandi competenze nell’arte dell’astrologia? Le numerose versioni pittoriche dell’Adorazione dei magi realizzate a Firenze dopo il Concilio voluto da Cosimo il Vecchio contengono anche riferimenti ermetici, cari alla cultura neoplatonica del Quattrocento. La parola “mago” è la traslitterazione del termine persiano antico “magūsh”, passato al greco “màgos”; per Erodoto la parola “màgoi” è riferita specificamente ai sacerdoti astronomi dello zoroastrismo nell’impero persiano. Nel Vangelo di Matteo, il passo che riguarda i magi implica che fossero dediti all’osservazione delle stelle e che giungessero dall’Oriente. Ludolfo di Sassonia, nella sua Vita Christi, precisa che «i tre re pagani vennero chiamati Magi non perché fossero versati nelle arti magiche, ma per la loro grande competenza nella disciplina dell’astrologia. Erano detti magi dai Persiani coloro che gli Ebrei chiamavano scribi, i Greci filosofi e i latini savi».


Domenico Beccafumi, Mosè fa scaturire l’acqua dalla rupe di Oreb (1524-1525), particolare; Siena, duomo di Santa Maria Assunta, pavimento.


rilievo dipinto egizio con Toth che pone l’ankh sul viso del faraone; Abydos (Egitto), tempio di Sethi I (tra il 1290 e il 1279).

Il termine “magi” è una traduzione artificiosa per evitare che potessero essere considerati maghi, nel senso negativo di ciarlatani e imbroglioni, come per esempio Elimas (Atti degli apostoli, 13). Nel Vangelo di Matteo, quindi, i magi sono considerati le prime autorità religiose che riconoscono l’origine divina di Cristo e l’adorano, donando anche la mirra, ovvero una pianta da cui si realizzavano unguenti a scopo medicinale e religioso. 

La parola “Christós” è la traduzione greca del termine ebraico “mašíakh” (“unto”), dal quale proviene l’italiano “messia”, e significa colui che è consacrato con un simbolico unguento, un crisma, per essere re, guaritore e messia di origine divina. Nel 1486, durante il suo processo a Roma, Pico della Mirandola sostiene che nulla meglio della magia e della cabala può dimostrare la natura divina di Cristo, che governa gli spiriti astrali e utilizza la parola “mirifica”, per compiere atti miracolosi. 

Agli occhi di una società razionalista(9) o di una comunità scientifica le resurrezioni di Lazzaro e del figlio della vedova di Nain non sarebbero lette alla stessa stregua di quelle dei negromanti demonizzati o ridicolizzati dalla Chiesa cattolica? E se gli esponenti della Chiesa vedessero ora guarigioni inspiegabili, e qualcuno che resuscita i morti, trasforma l’acqua in vino e che moltiplica pani e pesci, o qualcun altro che cammina sulle acque o ridona la vista ai ciechi cosa direbbero? Probabilmente asserirebbero che sono impostori, illusionisti, e che tutti i miracoli narrati nella Bibbia sono da interpretare come allegorie, metafore, simboli della fede, segni dell’onnipotenza di Dio. Ma ancora ai nostri tempi continuano a canonizzare nuovi beati e santi, in base ai presunti miracoli che hanno compiuto. 

Nel II secolo il filosofo platonico Celso polemizza contro i cristiani nella sua opera Discorso veritiero (Alethès lógos), scritta tra il 177 e il 180. Origene riporta alcuni passaggi nel suo Contra Celsum (248), per confutarli. Celso considera Gesù un mago che ha utilizzato trucchi esoterici e arti occulte(10): «Spinto dalla miseria andò in Egitto a lavorare a mercede, e avendo quindi appreso alcune di quelle discipline occulte per cui gli Egizi son celebri, tornò dai suoi tutto fiero per le arti apprese, e si proclamò da solo Dio a motivo di esse» (Alethès lógos, I, 28). Per i filosofi o per i governanti pagani i miracoli di Gesù e dei santi sono considerati trucchi o atti magici.

Nella Cena in Emmaus (1507), ora alla Gemäldegalerie di Berlino, Marco Marziale pare rimarcare una vocazione del figlio di Dio per le conoscenze occulte e per le forze sovrannaturali: simboli esoterici sono ben visibili sulle ali dei cappelli e sui mantelli di Cristo e dei suoi due discepoli, segni che non sono ancora stati decodificati a livello scientifico. Sono cifre alchemiche criptate, o rimandi all’alfabeto magico della lingua preadamitica, o steganografie (scritture che hanno il compito di nascondere un messaggio a chi non è iniziato, senza destare sospetti)(11) o sigilli per tenere a distanza demoni? Probabilmente sono da leggere, secondo quanto viene detto nel Vangelo di Luca, in funzione del racconto legato alle profezie e alla capacità di comprendere anche gli aspetti della Resurrezione non rivelati palesemente. Nel contesto dell’episodio evangelico i simboli dovrebbero riferirsi a coloro che sanno vedere oltre il velo dell’apparenza. Sono strettamente collegati all’evento miracoloso del ritorno in vita, alla vittoria sulla morte. Forse evocano la ritualistica e i sigilli di Salomone, considerato re mago, in grado di comunicare con Dio e con spiriti illuminati, ottenendo così l’aiuto e la potenza necessari per vincere le forze avverse e i nemici più temibili. Gesù è della sua stirpe, e in grado di compiere miracoli prodigiosi tramite la potenza del Padre. I sigilli sono legati alla cabala ermetica e alla magia enochiana: il loro utilizzo evoca spiriti, angeli, forze sovrannaturali. La tradizione narra che profeti e uomini che sapevano andare oltre il loro tempo hanno scritto i grimori (libri di magia), partendo dalla magia salomonica, per accedere a una sapienza in grado di comprendere i misteri della natura e dei cieli. Nel quadro, il committente regge una bacchetta e, visti il contesto e il clima di natura magica, il suo rimarcare con l’indigitazione il valore simbolico dell’oggetto fa pensare che voglia rimandare alla “verga dei prodigi”, della stessa natura di quella utilizzata da Mosè e Aronne per compiere miracoli.


Sandro Botticelli, Punizione dei ribelli (1481-1482); Città del Vaticano, Musei vaticani, Cappella sistina.

Cosimo Rosselli, Passaggio del mar Rosso (1481-1482); Città del Vaticano, Musei vaticani, Cappella sistina.

autore ignoto, Mosè (1160-1185 circa), particolare; York (Inghilterra), Yorkshire Museum.

Marco Marziale, Cena in Emmaus (1507); Berlino, Staatliche Museen zu Berlin, Gemäldegalerie.


Affresco romano con Tre donne con una sorta di berretto frigio (230-240 d.C.); Roma, catacombe di Priscilla.

Cristo è abbigliato come un pellegrino, e si rivolge direttamente allo spettatore per coinvolgerlo nell’atto del riconoscimento, perché, come narra il Vangelo di Luca, gli occhi dei suoi due discepoli sono incapaci di riconoscerlo: «Ed egli disse loro: “Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: “Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino”. Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista» (Luca 24, 13-53). A parte Gesù, descritto mentre benedice e regge il pane già spezzato, nel quadro i volti degli altri personaggi hanno sguardi rivolti altrove, come incantati. Paiono imparentati con gli interpreti del film Cuore di vetro, dove Werner Herzog ha voluto che gli attori recitassero in stato di ipnosi. Il gatto invece è attento a ciò che accade in quell’istante; guarda verso i fruitori, e, mentre gioca, regge il foglietto che reca il nome dell’autore e la data d’esecuzione del quadro. 

Nel portale nord della cattedrale di Chartres vi sono due statue segnalate (dai titoli incisi alla base) come «Philosophus» e «Magus » (XII-XIII secolo). Accanto al mago, a terra, c’è un piccolo drago, che rimanda contemporaneamente alla difficoltà della sua arte e al dominio delle forze sconosciute: l’animale potrebbe rappresentare il mago stesso, che deve trasmutarsi da demone ad angelo e vedersi crescere le ali, o si rifà alle evocazioni di spiriti e demoni con parole tratte dai grimori di Salomone. Accanto al mago c’è il filosofo naturale, descritto con un oggetto deteriorato dal tempo. Si ipotizza che l’oggetto potesse essere uno specchio, che l’uomo tiene davanti al suo viso, non per narcisismo ma per attuare un processo di conoscenza interiore: “Nosce te ipsum”. Altri studiosi invece pensano che l’uomo tenga in mano una pietra dei filosofi. I due personaggi sono da leggere come viaggiatori solitari che si scoprono, rivolgendosi verso il non conosciuto, nell’invisibile misterioso, e apprendono pluralità di punti di vista.


Sebastiano del Piombo, Resurrezione di Lazzaro (1517-1519); Londra, National Gallery.


Filippino Lippi, Resurrezione di Drusiana da parte di san Giovanni evangelista (1489-1502); Firenze, Santa Maria Novella, cappella Strozzi.

Autore ignoto, Mago che vince il drago (XII-XIII secolo); Chartres, cattedrale, portale nord.


Lorenzo Monaco, Adorazione dei magi (1422 circa), particolare; Firenze, Gallerie degli Uffizi.

Origene, Sant’Agostino, Tommaso d’Aquino e la Chiesa in generale argomentano animatamente contro la magia. Isidoro da Siviglia e Ugo da San Vittore accomunano le arti occulte all’idolatria e le considerano parte della scienza conferita dai demoni. 

Nonostante le loro autorevoli critiche il substrato culturale della magia medievale attira ugualmente le menti più curiose e prepara la strada per il grande interesse che riscuoterà nel Rinascimento, quando i filosofi naturali e gli umanisti neoplatonici pensano che sia possibile evocare e far agire le forze occulte provenienti dalle potenze superiori, e che si possa mettere in atto la deificazione dell’uomo. Già nel XIII secolo Guglielmo d’Alvernia e Alberto Magno studiano e prendono in considerazione la magia naturale. Seguendo la tradizione ermetica, Ficino è convinto che il mago può mettersi in contatto con i poteri dell’universo superiore, per conoscere profondamente i segreti della vita. Il fine è riunire l’uomo a Dio e restaurare la situazione esistente prima del peccato originale, ristabilendo l’unione tra il nuovo Adamo e l’eterno immortale. Gli umanisti neoplatonici pensano che vi sia una stretta relazione tra magia, religione, medicina e scienza. Secondo la concezione dei filosofi naturali Cristo è colui che ha messo in atto i prodigi “magici” di suo Padre, mostrando ai suoi discepoli le conoscenze dei rapporti sottili che intercorrono tra il cielo e la terra, al fine di catturare le forze che provengono dall’universo e le influenze astrali, sapendo richiamare e governare gli angeli e i demoni. La Chiesa, che condanna i gesti magici degli stregoni e quelli apotropaici dei pagani, esalta però i gesti miracolosi di Cristo, dei santi e dei personaggi dell’Antico testamento; impone la sua forza iconologica e rituale affidandosi anch’essa a moduli e tipologie derivate dalle opere di culture e religioni precedenti al cristianesimo. Vi sono moltissimi esempi(12) nella storia dell’arte dove gli artisti fanno compiere ai santi il gesto delle corna, perché si crede che quel cenno abbia, nelle mani di un mago, di un filosofo naturale, o di un santo, una forza miracolosa, proveniente da riti di natura misterica. Che abbia un valore magico è provato anche nella scena La disputa di san Pietro con Simon mago alla presenza di Nerone (XII secolo) immaginata dai mosaicisti nella Cappella palatina a Palermo: il santo e lo stregone si fronteggiano con invisibili sortilegi sovrannaturali, compiendo il gesto delle corna; il fondatore della Chiesa cattolica lo utilizza per contrastare e vincere Simon mago, per poi farlo precipitare con l’aiuto dei demoni. Il segno è documentato nei reperti archeologici e nelle opere d’arte dal VI secolo a.C. fino ai nostri giorni, utilizzato ancora, sia con connotazioni misteriche (o esoteriche o scaramantiche), sia con altri significati più profani. È uno dei pochi cenni compiuti da millenni, rappresentato già sulle coppe attiche, tratto dai gesti rituali utilizzati nei misteri dionisiaci. Ma è plausibile arretrare la datazione del gesto ulteriormente, verso culture più antiche e primitive, e ipotizzare che la sua nascita sia connaturata a rituali o pratiche degli sciamani o dei sacerdoti dediti all’adorazione di divinità con le corna.


Mosaicisti palermitani, La disputa di san Pietro con Simon mago alla presenza di Nerone (XII secolo); Palermo, Cappella palatina.


Pittore di Callis, “Kylix” con Dioniso e Semele che fa il gesto delle corna (540 a.C.), particolare; Napoli, Museo archeologico nazionale.


Autore ignoto, “Kylix” con Persefone e Zagreus (340-320 a.C.), particolare; Parigi, Musée du Louvre.

Nel corso del tempo è probabile che sia avvenuta un’evoluzione simbolica e una trasformazione, trasferendo i poteri attribuiti a oggetti rituali e cultuali (corna di animali sacri, statue di dèi cornuti, simulacri o amuleti magici) nell’attuazione del gesto a corna, in grado di evocare la divinità o l’animale guida e di attingere alla sua forza. Sembrerebbe plausibile che il gesto testimoniato dagli artisti cristiani nelle opere del Quattrocento e del Cinquecento sia stato ereditato da una cultura pagana, per significare un analogo riferimento misterico riadattato nel nuovo contesto religioso. Siccome nella cultura greca si riferisce alle corna di Zagreus - trasformato in toro per sfuggire ai Titani, ma catturato, ucciso e ridotto in brani - e al suo ritorno in vita in forma di Dioniso, nella tradizione cattolica viene ereditato e utilizzato per simboleggiare la resurrezione di Cristo. Con l’auspicio di innescare una congiunzione tra il divino e il mondo sublunare, Ficino reintroduce nel Rinascimento una pratica antica, concentrando l’azione su cuori pulsanti di azioni magiche, con una vocazione taumaturgica, entro un potenziamento rituale anche mediante l’utilizzo di gesti sacrali, formule egizie, o presunte tali. Quadri e statue assumono quindi valenze che vanno al di là di un valore estetico e decorativo: favoriscono processi sottili e hanno il compito di modificare la realtà, allontanando influssi negativi e propiziando quelli positivi, innescando pensieri e meditazioni, attraverso l’azione di coloro che si mettono in collegamento empatico con le opere.


Filippino Lippi, San Filippo che scaccia il drago (1489-1502); Firenze, Santa Maria Novella, cappella Strozzi.

Mosaico romano con Orfeo incanta gli animali con il gesto delle corna (194 d.C.); Dallas, Museum of Art.


Rilievo tardoromano con Orfeo incanta gli animali col suono della lira (IV secolo); Atene, Byzantine & Christian Museum.

La scelta dei soggetti iconografici è mutuata dalla propiziazione della fortuna, delle buone influenze, di spostamenti spirituali, come fossero icone religiose nei templi o nelle chiese, che trapassano l’usura del tempo, visto che ancora oggi i fedeli rivolgono le proprie preghiere, considerate capaci di proteggere le persone e le case dagli influssi maligni. Entro un processo sincretico di stampo rinascimentale vicino a una visione panteistica del mondo, ma di stampo neoplatonico cristiano, Ficino cerca di creare un’estensione al concetto del sacro, nel rapporto fruitore e oggetto d’arte. In una visione di questo genere, ovviamente, anche il magismo del gesto è considerato un mezzo per compiere atti prodigiosi. 

Nell’affresco San Filippo che scaccia il drago (1489-1502), realizzato da Filippino Lippi nella cappella Strozzi in Santa Maria Novella a Firenze, le statue vengono animate da magiche preghiere, come è descritto da Petrus Comestor a proposito delle statue animate dai sacerdoti egizi. Il santo lotta contro le malefiche forze della magia nera, e cerca di scacciare il drago dall’altare pagano. La statua di Marte pare viva, caricata magicamente, come testimoniano certe pagine del De vita (1489) di Ficino. Il filosofo neoplatonico, basandosi sulle letture di Ermete Trismegisto, Platone e Plotino, prende in esame il significato delle «statue viventi», animate dagli antichi sacerdoti, che sapevano catturare qualcosa di «meraviglioso e divino»(13), come se il fenomeno fosse paragonabile all’anima che insuffla vita al feto o alla fiamma che fa bruciare il legno. Il recupero dell’Asclepius induce filosofi-maghi del Rinascimento all’idea di poter caricare immagini nei quadri o statue con il soffio divino, indicato da Trismegisto come forza in grado di dare vita e movimento alle effigi degli dèi. Nell’affresco di Lippi il simulacro che ha preso vita è assistito da un lupo e un picchio, animali sacri a Marte, tutti animati in uno spazio sacrale dove sono stati offerti cumuli di trofei, elmi, scudi, lance, simboli ed effigi direttamente giunti dalla romanità antica, telamoni, sfingi, festoni, caricati di preghiere. Nel periodo neoplatonico pensavano che due magie complementari, quella ermetica e quella orfica, si completassero vicendevolmente, andando a toccare da una parte la vista e dall’altra l’udito. La maggior parte delle opere d’arte che scelgono come soggetti Apollo, Orfeo(14), Salomone e Davide - che leniscono i dolori coi suoni dell’arpa, della cetra o dello «strumento a dieci corde» (Salmo 93,3) - evocano il potere della musica, mutuata, secondo Pitagora, da quella emessa dalle sfere celesti nel loro moto di rotazione. Le musiche di natura magica servono anche per attrarre gli influssi benefici dei mondi celesti, da indirizzare nelle anime e nei corpi delle persone, per influenzare l’umore e per apportare benefici alla salute.


Correggio, Giove e Io (1531); Vienna, Kunsthistorisches Museum.

Parmigianino, Diana e Atteone (1523-1524), particolare dal ciclo di affreschi col mito di Diana e Atteone; Fontanellato (Parma), rocca Sanvitale, saletta di Diana e Atteone.


Federico Zuccari, Hermathena (1566-1569), particolare; Caprarola (Viterbo), palazzo Farnese, gabinetto dell’Hermathena, volta.


Andrea del Minga, Deucalione e Pirra (1570); Firenze, Palazzo vecchio, Studiolo di Francesco I.

Tiziano, Danae (1553-1554); Madrid, Museo Nacional del Prado.


Correggio, Leda e il cigno (1530-1531 circa); Berlino, Staatliche Museen zu Berlin, Gemäldegalerie.

ARTE E MAGIA
ARTE E MAGIA
Mauro Zanchi
Un dossier dedicato ad arte e magia. In sommario: Magia naturale; Metamorfosi prodigiose e miracoli biblici; Magia e stregoneria. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.