LE SCENE TRANQUILLE
DEL TEMPO LIBERO

Poi la guerra di Secessione finisce, e ancor prima, per noi, la seconda impresa risorgimentale, in attesa, nel nostro caso,
che ce ne sia una terza,

cui però non parteciperanno Fattori e Lega, ormai anziani. Gli Stati Uniti non conosceranno più guerre, e dunque Homer potrà dedicarsi a «osservare la vita moderna», come racconta il critico Randall C. Griffin nel terzo capitolo di un suo accurato studio monografico(2). Non più combattenti, ma finalmente i piaceri del quotidiano, come per esempio una Partita di croquet (1866, Chicago, Art Institute).

Il corno della cena (1870); Washington, National Gallery of Art.


Partita di croquet (1866); Chicago, Art Institute.

Edgar Degas, La famiglia Bellelli (1858-1867); Parigi, Musée d'Orsay.

Le ruvide divise dei militari sono sostituite da soffici stoffe di gonne femminili, che però risultano ugualmente intense, consistenti al tatto, pronte a imbeversi di un provvido bagno atmosferico, mentre l’erba del prato ha anch’essa una robusta presenza, quasi da farci pensare ai Tappeti natura che saranno prodotti dal nostro Piero Gilardi con la gommapiuma, ma un secolo dopo. In fondo, anche Homer procede stendendo “macchie”, e dunque ci stanno più che mai i richiami a dipinti omologhi di Fattori, Lega, Cabianca, ma vale anche un riferimento ai portatori legittimi del “copyright”. Si pensi al Degas autore del ritratto della Famiglia Bellelli.

Claude Monet, Donne in giardino (1866); Parigi, Musée d'Orsay. In quel momento, metà degli anni Sessanta, anche il numero uno dell’impressionismo francese, Claude Monet, si cimenta nella figura umana, ma in sereni ambienti di pace, come sono i giardini di abitazione borghesi.


Silvestro Lega, Il pergolato (1868); Milano, Pinacoteca di Brera.

Del resto tutti sono pronti ad ammettere che in “quel” momento, metà anni Sessanta del XIX secolo, lo statunitense è davvero vicino a ciò che sta compiendo Monet a Parigi, quando anche lui distende masse compatte per effigiare dame in giardino, ma perché è ancora sotto l’influsso di Manet. Del resto, proprio nel 1867 Homer compie finalmente un viaggio a Parigi. I filologici puntano i fucili, chiedendosi che cosa vi abbia visto, se sia avvenuta davvero in quel momento l’inseminazione col privilegiato verbo impressionista. No, non se ne hanno prove certe, anche per il fatto che in quel momento l’impressionismo considerato “buono” e valido è ancora in fasce, lo stesso Monet dipinge a macchie larghe e spesse, non disprezzando di soffermarsi sulla figura umana. Forse Homer riesce a vedere alcuni dei padri anteriori a quella svolta, un Millet, un Courbet, che però, se commisurati al suo passo, sono ancora un po’ troppo romantici, bisognosi di conferire alle loro figure un supplemento di enfasi retorica, lontani insomma dal duro, crudo realismo di cui Winslow era già pienamente capace, prima ancora di quella effimera trasferta parigina. L’unico dato certo è che finalmente egli può vedere da vicino le stampe giapponesi, presenti e salutate da grande successo all’Expo di quell’anno.
Ma il soggiorno parigino è di breve durata, e non fornisce molto materiale a chi pretende di procedere coi piedi per terra, cioè di poter dichiarare una “liaison” solo in presenza di qualche documento che attesti in modo inequivocabile che l’iniezione fatale c’è stata, che Homer ha “visto”. Temo che un sostenitore come me secondo cui “quel matrimonio s’ha da fare”, lo possa difendere solo per procura, solo in nome di un impalpabile “spirito dei tempi”. Lungi dal lasciarsi tentare dalla mollezza e dal disfacimento cui Monet è avviato, Homer, tornato in patria, indurisce, se possibile, i suoi temi, ma persistendo a immetterli in una perfetta immersione nei dati atmosferici. E come chiamare un esito del genere, senza fare ricorso al sacro termine di un impressionismo sicuro di sé, pervicace, insistito? Del resto, se Monet si allontana da un simile orizzonte, sta per entrare in scena Gustave Caillebotte, come ho cercato di dimostrare in un precedente studio sopra citato(3).
Rientrato in patria, Homer ci dà subito La passeggiata a cavallo nelle White Mountains (1868, Williamstown, Massachusetts, Sterling and Francine Clark Art Institute). Il tema, questa giovane amazzone, evidentemente di ricca famiglia, fiera della sua cavalcatura come del copricapo civettuolo, è senza dubbio alquanto fatuo, ma si veda il poderoso fianco del cavallo, sorpreso in controluce, con un’ombra impastata di morbidezza, cui fa riscontro la durezza spigolosa del terreno, frugato da vicino quasi per renderlo abrasivo al tatto.
Ma il capolavoro indiscusso di questa fase è Long Branch, New Jersey (1869, Boston, Museum of Fine Arts). In questo caso sembrerebbe di cogliere una qualche contraddizione rispetto alla mia linea maestra, perché ci potrebbe stare una qualche vicinanza col Monet delle damine con tanto di ombrellino parasole. Qui ne compaiono addirittura due, però assai restie a lasciarsi assorbire dall’ambiente, come dimostrano i loro indumenti, rigidi, quasi induriti da un bucato. Attorno a loro c’è pure un tratto di prato che ancora una volta potrebbe ricordarci certe soluzioni alla Monet, ma si tratta appena di una striscia esigua, subito travolta dallo spalancarsi di un calanco, asciutto, scheggiato, abrasivo al tatto, se ne percorressimo la superficie con la mano. Il motivo dominante dell’opera è il muro in controluce della baracca affacciata sullo strapiombo, anche in questo caso cosparsa di una morbida manteca, burrosa. Ne era capace il grande Tiziano, e beninteso, ancora una volta, ritroviamo qualcosa di simile nei nostri macchiaioli, in Fattori, in Signorini.


La passeggiata a cavallo nelle White Mountains (1868); Williamstown (Massachusetts), Sterling and Francine Clark Art Institute.

Long Branch, New Jersey (1869); Boston, Museum of Fine Arts.


Claude Monet, Donna con parasole girata verso destra (1886); Parigi, Musée d'Orsay.


Giovanni Fattori, Acquaiole livornesi (1865).
Merita insistere sul confronto tra Homer e il nostro Fattori, capace pure lui di apprestare ampie scene e di porvi, come pesi su una bilancia, superbe figure femminili, svettanti alla ricerca di dare un equilibrio alla composizione.

(2) C. Randall Griffin, Observations of Modern Life,in Id., Winslow Homer. An American Vision, Londra2006, cap. 3.
(3) R. Barilli, op. cit.

HOMER E GLI IMPRESSIONISTI AMERICANI
HOMER E GLI IMPRESSIONISTI AMERICANI
Renato Barilli
Un dossier dedicato a Winslow Homer (Boston, 1836 - Prout's Neck, 1910) e gli impressionisti americani. In sommario: Impressionismo, un bene comune di tutto l'Occidente; Esordio nell'illustrazione e rapporto con l'arte giapponese; Grande pittore di guerra come i macchiaioli; Le scene tranquille del tempo libero; Un'epica dei campi; Finalmente la scoperta del mare; Altri impressionisti nordamericani autoctoni: Eakins, Merritt Chase. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.