Spencer costituì così una prima rottura rispetto al ramo più saldo della figurazione moderna inglese, di cui Augustus John (1878-1961) fu il maggior rappresentante(14). E Freud va ancora oltre. Tuttavia, sviluppando un discorso più analitico sulla pittura di Freud, occorrerà tener sempre d’occhio il dialogo continuo che egli è andato a stabilire con l’amico Francis Bacon; due temperamenti completamente diversi, così narrativo Freud tanto gestuale Bacon, eppure legati in un dialogo pittorico fino alla fine.
I loro temi sembrano rincorrersi; come non collegare infatti le Figure sdraiate di Bacon del 1959 con le figure sui divani di Freud; oppure quei nudi scaraventati sul pavimento dipinti da Bacon nelle Figure in una stanza, 1959, con le pitture dello stesso soggetto di Freud.
Cambia radicalmente, è vero, il rapporto con il significato emotivo e sensuale sotteso: ma un dialogo profondo tra i due pittori resta.
Il primo, Bacon, costretto alla «brutalità delle cose»; il secondo, Freud, al carattere narrativo della vita, allo spessore prosastico della carne. I ritratti di Freud, un genere prediletto dall’artista fin dai primi anni del suo lavoro, a partire dalla fine degli anni Cinquanta assumono una cadenza costante parallela al genere del nudo e di “pittura di interni”. Freud affronta il ritratto nella complessa questione che questo soggetto pone a livello ontologico: rappresentazione del carattere, individuazione dell’identità, annuncio dell’“alterità”, “persona” intesa come maschera.
Nel corso del Novecento lo statuto del ritratto risulta completamente sconvolto rispetto alla grande tradizione settecentesca, durata fino quasi alla metà del secolo successivo. L’avvento della fotografia e l’uso della medesima, teorizzato da Francis Galton a partire dal 1870, come mezzo per “identificare” non solo la persona ma per determinare, attraverso il confronto e la classificazione, dei “tipi umani generali” a uso prevalentemente criminologico e poliziesco, aveva distrutto la funzione della ritrattistica nella pittura(15).
Ora, la ritrattistica di Freud viene dopo che la fotografia, appunto da Galton e François Alphonse Bertillon, fino alle immagini di Arthur Felling, al secolo Weegee, nell’America del 1940-1950, ha consumato tutte le possibilità del ritratto.
Freud, paradossalmente, sembra fuggire dalla concezione del ritratto come “definizione psicologica” del carattere: i suoi volti sono ammassi carnosi con un’epidermide cotta dal sole, segnata dalle rughe, dalle chiazze paonazze dei vasi sanguigni, tirata sugli ossi sporgenti della scatola cranica, in dispregio di ogni modello di bello ideale. Siamo lontani, agli antipodi, da quel culto della bellezza classicista tanto coltivato dall’Accademia tardo neoclassica e dalla pittura “pompier”.
Ma non si tratta neppure, come qualche critico avrebbe alluso, di un’estetica del brutto e dello sporco (anche Arbasino sembra tentato da questo tipo di interpretazione).
II mondo fisico dei ritratti e dei nudi di Freud corrisponde a quello dell’Ulisse di James Joyce: nei suoi dipinti si potrebbe sentire come Mr. Leopold Bloom sente mangiando i rognoni di castrato alla griglia, «un raffinato aroma di urina lievemente profumata». E tuttavia in questo mondo così fisicamente percepibile il pittore mantiene - come Joyce - la «ineluttabile modalità del visibile [...] il pensiero attraverso i miei occhi»(16).
Nella pittura europea il percorso che ha portato ai ritratti di Freud è, dunque, un percorso molto lungo. Da Rembrandt a Goya, ma anche dal libro di Charles Darwin sull’espressione del sentimento nell’uomo e negli animali alle fotografie del libro Mécanisme de la physionomie humaine, 1862, di G. B. Duchenne de Boulogne, che da Darwin saranno poi utilizzate per illustrare il suo libro, così come poco dopo saranno studiate da Jean-Martin Charcot (1825-1893), maestro di Sigmund Freud all’ospedale della Salpétrière di Parigi(17). E la fotografia ha avuto un ruolo decisivo anche nella pittura di Bacon, che riconosceva apertamente il suo debito verso l’americano Eadweard Muybridge, come in dipinti quali Due figure, 1953, tratti da fotogrammi di The Human Figure in Motion, 1887(18).