UN PITTORE MANCATO?

Gio Ponti nasce il 18 novembre 1891 a Milano in una famiglia della buona borghesia da Maria Rigoni e da Enrico Ponti, dirigente della Edison. Gino, così lo chiamano in famiglia, è timido e incline a un inquieto fantasticare.

Gode di una eccessiva protezione da parte dei genitori ed è amorosamente “costretto”, nei primi due anni delle elementari, a frequentare una scuola per sole bambine. Sogna di diventare pittore. Ci sono disegni bellissimi della sua prima adolescenza. 

Come gallerista, ne ho avuto fra le mani uno stupendo: una barca a vela dipinta a nove anni firmato Gino. Prima di venderlo, non l’ho fotografato ma, fortunatamente, mi resta un rarissimo profilo di cavallo a matite colorate firmato: «Gino 1900 anni otto e 1/3». 

Il futurismo, in piena fioritura nella città meneghina nei primi anni del Novecento, lascia “Gino”, che nel frattempo è diventato Gio, indifferente. Egli assiste con gentile distacco alle serate di Filippo Tommaso Marinetti al Dal Verme a Milano, contempla con incertezza le forme nuove di quell’arte, mentre è sempre più coinvolto nel suo personale sogno pittorico. Poi il sogno diventa vocazione, mai completamente adempiuta e per sempre oggetto di nostalgia. 

«Sono un pittore mancato, diceva con velata ironia, un architetto fallito, perché la mia vocazione era dipingere»(3). A sostituire in gran parte la pittura è rimasto il disegno. «I disegni sono vicini ai segreti degli artisti», scrive(4)

Una corrente impetuosa di segni irrompe quindi nella sua professione e nella sua vita, a documentare la diversità dei suoi percorsi, dalle suggestioni beardsleyiane delle prime illustrazioni per “Emporium” e per due testi di Oscar Wilde (La cortigiana e la Ballata del carcere di Reading), alle composizioni neoclassiche per la ceramica, agli schizzi per l’architettura e il design, dove l’unità di misura è l’occhio. «Disegnare prima, misurare poi», raccomanda(5).


Disegno firmato «Gino Ponti 1900».


Autoritratto (1917).

(3) Gio Ponti. L’arte si innamora dell’industria, a cura di U. La Pietra, Milano 1995, p. IX.
(4) G. Ponti, Chiudendo queste pagine, in Arte dei giovani, Milano 1940.
(5) Id., Amate l’architettura, Milano 2015, p. 165.

Nel 1913 si iscrive all’allora Regio Istituto tecnico superiore di Milano per esaudire il desiderio del padre che non gli avrebbe mai consentito di essere “soltanto” pittore. Senza il dictat paterno avremmo avuto un eccellente pittore, ma non un architetto artista, certamente unico, forse uno dei più grandi. Oltre a questo, Ponti non sarebbe mai riuscito a resistere tutto il tempo chiuso in uno studio tra tele e pennelli. Aveva la vita che gli bruciava. Alla fine realizza comunque i suoi sogni, dipingendo in cemento armato su cielo. 

Gio Ponti deve interrompere gli studi perché richiamato alle armi nel genio pontieri. Ritorna nel 1919 con una croce di guerra e decine di acquerelli e di disegni a inchiostro che trasmettono magistralmente, come Francesco Rosi nel suo film Uomini contro, l’atmosfera bellica. I disegni a inchiostro, veri e propri appunti pittorici di trincea in bianco e nero, ricordano certi componimenti di Ungaretti anch’egli arruolato come soldato nell’esercito italiano durante la prima guerra mondiale. Eccone uno, intitolato Veglia: «Un’intera nottata / buttato vicino / a un compagno / massacrato / con la sua bocca / digrignata / volta al plenilunio / con la congestione / delle sue mani / penetrata / nel mio silenzio / ho scritto / lettere piene d’amore. / Non sono mai stato / tanto / attaccato alla vita».


Ritratto di un commilitone. Moioli Francesco di Lecco 21-03-1916. Guerra 1915-1918 (1916).

Gio Ponti in divisa nello scatto di un fotografo anonimo.


Ritratto di un commilitone. Guerra 1915-1918 (1916-1917).

Il ponte di barche, 1916. Guerra 1915-1918 (1916).


Allestimento del campo militare. Guerra 1915-1918 (1916-1917 circa).


Allestimento di un ponte di barche. Guerra 1915-1918 (1916).

Ritratto di un commilitone, agosto 1916. Guerra 1915-1918 (1916).


Su ciglio della strada nel mattino rugiadoso azzurro sulla via per Sagrado. Guerra 1915-1918 (1916-1917).


Il cimitero di... Guerra 1915-1918 (1917 circa).

La guerra produce su di lui, poco brillante negli studi, incerto sulla strada da intraprendere, l’effetto di un elettroshock. Dopo avere convissuto con la morte in trincea e sul campo di battaglia, sarà sempre innamorato della vita. Non perderà più un minuto, neppure per usare una gomma da cancellare perché non ritornava mai sui suoi disegni. 

Si laurea in architettura nel 1921. 

Anche Sviatoslav Richter - pur avendo preso il volo tardi - è diventato uno dei massimi pianisti del mondo. Certi frutti squisiti maturano più lentamente. 

Gio Ponti stesso racconterà più tardi come è arrivato a fare l’architetto: «Devo rifarmi ancora una volta», scrive, «ad una mia posizione, che è quella di uno che, illudendosi in gioventù […] di volersi 12 dedicare alla pittura, è entrato nell’architettura per vie che riteneva e ritenne per molto tempo provvisorie, che vi entrò sotto i segni che gli derivavano quasi esclusivamente tanto da una cerchia ristretta di amicizie giovanili e scolastiche […], quanto dalla permanenza nel Veneto durante la Prima Guerra che lo dimesticarono con una architettura palladiana»(6). Durante la guerra, infatti, trascorre i periodi di riposo nelle ville abbandonate del Palladio (1508-1580), il suo grande terzo maestro dopo Vitruvio (80 a.C. circa - 15 a.C. circa) e Serlio (1475-1554 circa). 

Con la fine del primo conflitto mondiale si conclude, in un decennio, l’avventura artistica delle avanguardie. Nel 1926 esce a Parigi Rappel à l'ordre di Jean Cocteau, dove il “richiamo all’ordine” significa essenzialmente ritorno al mestiere e all’importanza della tecnica, anche nella pittura. Viene pubblicato nel 1928, sempre a Parigi, il Piccolo trattato di tecnica pittorica di Giorgio de Chirico che, infatti, considera la tecnica condizione imprescindibile anche per la poesia, perché fornisce l’alfabeto, la sintassi e la metrica, grazie alle quali nasce, dalla materia e dal colore, la forma. E Ponti, sia quando è architetto, sia quando è pittore, resta figlio della tecnica. 

De Chirico rappresenta l’antichità come funzione dell’attualità e viceversa. I suoi edifici sembrano architetture contemporanee: in molti casi le ispirano(7). Arturo Martini trova, come un rabdomante, le regole auree della proporzione nelle sculture etrusche, romaniche, quattrocentesche e le trasferisce nelle sue sculture modernissime. Con lo stesso spirito Ponti studia, nel mestiere evoluto e colto del Palladio, le regole auree dell’architettura. 

Tornato a Milano alla fine della guerra, Gio Ponti ritrova gli antichi compagni, Giovanni Muzio ed Emilio Lancia, che gli erano stati maestri più dei maestri accademici. Con loro condivide lo spirito innovativo di Novecento, il movimento artistico nato nel 1922 che ha come riferimento l’antichità classica, la purezza delle forme e l’armonia nella composizione. Fra gli architetti di Novecento vi è Giuseppe de Finetti (1892-1952), il più “europeo”, allievo di Loos e quasi ignorato dalla storiografia ufficiale. Nella sua concezione della città come organismo vivente, complesso, aperto e in relazione con il territorio circostante c’è già la cultura urbanistica della seconda metà del XX secolo. 

Nel 1928 nasceranno, nel castello di La Sarraz in Svizzera, su iniziativa di Le Corbusier e Sigfried Giedion, i C.I.A.M. (Congressi internazionali di architettura moderna), organi del Movimento moderno, che si incardina sull’intreccio fra forma e funzione, coscienza storica e valori sociali. Il razionalismo, che ne è l’emanazione italiana, e Novecento sono due movimenti in teoria opposti, nei fatti, due realtà che si attraversano l’un l’altra, ibridandosi. Come Novecento, il movimento razionalista affonda le sue radici nella tradizione classica, diverso, in questo, dalle avanguardie europee, più decisamente “di rottura” rispetto al passato. 

L’ideologia del regime fascista riuscirà a compenetrare queste realtà e a servirsene, a seconda della strategia politica del momento.


Ritratto di un commilitone. Guerra 1915-1918 (1916-1917).


Ritratto del padre (1919).

(6) Ibidem.
(7). J. De Sanna, Forma come qualità del colore, in G. de Chirico, Piccolo trattato di tecnica pittorica, Milano 2015, p. 66.

GIO PONTI
GIO PONTI
Jean Blanchaert
La presente pubblicazione è dedicata a Gio Ponti (Milano, 1891-1979). In sommario: Introduzione; Un pittore mancato?; Educazione classica; ''Domus'' e l'architettura, ''anello di fidanzamento dell'uomo con il mondo''; Un dramma in atto; Il mistero della forma; Sostanza di cose sperate. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.