“DOMUS” E L’ARCHITETTURA,«ANELLO DI FIDANZAMENTO
DELL’UOMO CON IL MONDO»

Nel 1928 su suggerimento di Ugo Ojetti e con l’editore Gianni Mazzocchi, Gio Ponti fonda la rivista “Domus”, con la casa come luogo privilegiato su cui impostare un processo di rinnovamento dello stile di vita.

«Vedeva l’architettura», ha scritto la figlia Lisa, «e, nell’architettura, la casa, come un luogo di possibile felicità, o di possibile minor infelicità per gli uomini, come ciò che poteva ancora dare libertà, gioco, sorpresa»(11). Attraverso “Domus” egli persegue un’educazione del gusto del lettore, iniziandolo allo spirito del tempo, reso eloquente da una narrazione favolistica delle stupefacenti meraviglie della modernità. 

Gio Ponti costruisce la sua prima casa in via Randaccio 9 a Milano (1924-1926). Essa rispecchia, anche esteriormente, il sentimento di libertà festosa che aleggia nella rivista. Con la sua facciata leggermente concava abbraccia il piccolo giardino e culmina, sulla sommità, con quattro obelischi, manifesto in pietra di architettura pura. «Io disegnavo un tempo le mie facciate - era un vizio», scrive, «con l’accento di due pinnacoli […] era come impostazione di un tono, di un ritmo, di una decisione, era come una prova»(12)

Alla casa di via Randaccio fanno seguito, fra il 1931 e il 1936, le “case tipiche”, esempi in stile razionalista di “casa all’italiana”, una casa aperta verso l’esterno per accogliere, armoniosa all’interno per dare ordine alla vita. Si chiamano, significativamente, “Domus”, ognuna con un diverso nome latino: Julia, Carola, Flavia... 

Nell’evoluzione artistica di Gio Ponti vi è un’influenza tanto potente quanto breve e fulminea: quella del giornalista e critico d’arte e di architettura Edoardo Persico, al centro della storia culturale italiana dal 1923 al 1935. Nella Conferenza di Torino del 1935 egli fa risalire l’origine del Movimento moderno ai moti rivoluzionnari del 1848, durante i quali l’architetto Charles Duveyrier, che aveva disegnato nella mappa di Parigi l’utopia della città perfetta, celebra il rito di iniziazione della nuova architettura, «le premier anneau de fiançailles de l’homme et du monde» (il primo anello di fidanzamento dell’uomo con il mondo)(13)

Persico conosce Gio Ponti nel 1934, quando, due anni prima della sua misteriosa morte, probabile conseguenza di un pestaggio fascista, pubblica su “Domus” un articolo dirompente: Punto e a capo per l'architettura, in cui afferma che gli architetti razionalisti italiani mancano di visione e di prospettiva, perché non sanno affrontare un progetto a lungo termine riguardo ai grandi problemi sociali. La sua critica è fondata. Già negli anni Venti, infatti, gli architetti tedeschi, primi fra tutti Bruno Taut e Martin Wagner, avevano inventato, nelle migliaia di alloggi delle “siedlungen” (quartieri) berlinesi, le nuove tipologie di casa popolare.


“Domus”, giugno 1930.

(11) L. Ponti, op. cit., p. 20.
(12) G. Ponti, Amate l’architettura, cit., p. 128.
(13) E. Persico, Conferenza, Torino, 21 gennaio 1935, in Profezia dell’architettura, Milano 2012, p. 75.

foto della prima casa costruita da Gio Ponti in via Randaccio (1924-1926); Milano.


foto della prima casa costruita da Gio Ponti in via Randaccio (1924-1926); Milano.


Gio Ponti con Antonio Fornaroli ed Eugenio Soncini, Primo Palazzo Montecatini (1936); Milano.

Il Movimento moderno è rivoluzionario. Ponti ne coglie la portata. Fra lui e Persico nasce una profonda amicizia. Egli, pur essendosi espresso per iscritto in più occasioni in favore del regime, sa valutare la qualità delle persone al di là delle loro opinioni politiche, che contano per lui come l’appartenenza a un segno zodiacale, cioè nulla. Ponti, scrive Daria Guarnati, dedicherà mentalmente a Persico le sue future opere “espressive”(14)

Dal 1933 Ponti scrive anche sul “Corriere della Sera”. Ojetti l’ha messo in contatto con il direttore Aldo Borelli che gli conferisce l’incarico di scrivere due articoli al mese, raccomandandosi di occuparsi esclusivamente di arredamento. Per una decina d’anni, però, Ponti si muoverà tra i confini sottili e insidiosi del suo desiderio di iniziare ai problemi dell’architettura - più significativi per lui di quelli dell’arredamento - il vasto pubblico milanese e dell’interdizione a farlo. L’architettura è ancora percepita come un tema ad alto contenuto politico. Soltanto nella seconda metà degli anni Trenta Ponti riuscirà a scrivere, nei suoi articoli, di urbanistica e di architettura. 

Alle soglie della guerra lavora, oltre che a Milano, a Roma, Padova e Vienna. Per Milano concepisce uno dei suoi progetti più impegnativi e riusciti, quello del Primo Palazzo Montecatini (1936), simbolo della città industriale di quegli anni, che nel fronte solenne, affacciato su una strada secondaria, e nella parete laterale di alluminio e marmo tagliato controverso con effetto verde e argento e i vetri a filo per una massima cattura di luce sembra celebrare l’orgoglio tecnico della città e la riconoscenza dell’architettura verso l’industria. L’edificio è commissionato da Guido Donegani. «L’architettura è un affare di lucidità mentale e di capacità coordinativa », scrive Ponti riferendosi a lui, «e i nostri maestri possono essere architetti e non architetti»(15)

A Roma Ponti progetta la Scuola di matematica dell’Università (1934) con il parallelepipedo centrale per la matematica pura, le due ali ad arco per il disegno e le altre attività e la torre con le aule-teatro. 

Nel 1936 organizza la mostra della stampa cattolica in Vaticano all’interno della quale le prospettive, i percorsi, i giochi di colore e di luce sono orchestrati in modo che il visitatore si muova come in uno spazio magico, a cui accedere dal grande ingresso con la vetrata raffigurante san Francesco. 

Padova gli offre l’occasione per l’atrio del Liviano, la Facoltà di Lettere (1937), che ospita il celebre affresco di Campigli di duecentocinquanta metri quadrati, dove sono rappresentate l’Antichità e l’Archeologia. Al centro della sala, il grande Tito Livio di Arturo Martini. 

A Vienna, dove si reca nel 1936 per progettare gli arredi di Palazzo Fürstenberg, incontra Joseph Hoffmann e gli architetti della Wiener Werkstätte. Questa città preziosa e fragile gli appare come il simbolo, in Europa, di un’epoca la cui civiltà è arrivata all’apice e che non si ripeterà più. 

Questi, gli anni Trenta, sono per Ponti gli anni dei grandi temi, I primi veri anni “architettonici”, in cui egli ricerca il nuovo e tutto ciò che è nuovo viene accolto e sperimentato.


Gio Ponti con Antonio Fornaroli ed Eugenio Soncini, Primo Palazzo Montecatini (1936), impianto per la posta pneumatica; Milano.

(14) D. Guarnati, Espressione di Gio Ponti, Milano 1954, p. 6; ristampa anastatica, Milano 2011.
(15) Ibidem.

È proprio lui, palladiano nell’anima, a promuovere alla IV Triennale del 1930, che ospita la Wiener Werkstätte e il Deutscher Werkbund (Lega tedesca degli artigiani) di Berlino, la Casa elettrica di Luigi Figini e Gino Pollini, lasciando spazio a un dialogo tra le varie opere, fra una sala razionalista di Terragni e una dedicata ai suoi lavori. È ancora Ponti, in quanto membro del direttorio, ad aprire ai razionalisti le porte della V Triennale del 1933. Per l’inaugurazione viene costruita, davanti al nuovo palazzo di Giovanni Muzio, la Torre littoria, il suo obelisco di centonove metri in tubolare d’acciaio, innalzato grazie ai calcoli degli ingegneri Cesare Chiodi ed Ettore Ferrari con lo scopo di ottenere un’unione ottimale fra la più esigua base possibile e la massima possibile altezza, un «equilibrio impossibile che riesce»(16). Gio Ponti si è avvalso durante tutta la sua vita dei più grandi ingegneri strutturisti senza i quali le sue idee sarebbero rimaste disegni. Interverranno poi Nervi e altri ingegneri (Fornaroli, Soncini, Danusso) a far stare su i suoi sogni. 

Egli individua un aspetto romantico dell’architettura nello spirito mediterraneo e nella «architettura senza architetto», cioè in tutte le costruzioni anonime, soprattutto rurali, nate soltanto dalla necessità, senza preoccupazioni estetiche. È Bernard Rudovsky (1905-1988), autore del “cult book” Architecture without architecture che inizia Gio Ponti a questa disciplina «la quale sembra rimandare agli stadi più primitivi della religiosità umana»(17). Rudovsky assieme a Gio Ponti concepirà i progetti, mai realizzati, di un albergo nel bosco a San Michele a Capri (1938) e dell’hotel e bungalow di Cap d’Antibes (1939), un’evasione verso espressioni fantastiche e sentimentali molto lontane dall’architettura fascista. 

Tuttavia egli continua a mantenere una relazione con il regime «da una parte per sollecitare occasioni professionali, dall’altra per confermare un ruolo riconoscibile all’interno delle istituzioni»(18). Ponti ha una conoscenza personale e diretta di Mussolini dal 1926 quando, grazie a Novecento e alle prime due biennali di Monza, si trova già alla ribalta della scena culturale. Di Mussolini condivide l’idea del primato dell’Italia, perché pensa che gli italiani siano un popolo più naturalmente portato all’arte degli altri popoli europei, non aderisce, però, alle idee sulla romanità e il populismo. Nel novembre del 1940, quando le sorti della guerra sono ancora incerte, quando, anzi, sembra che la vittoria sia possibile, Gio Ponti scrive su “Domus”: e su “Il libro italiano nel mondo”: «Il duce, questo italiano totale, è stato subito costruttore sulla linea fatale degli antichi grandi italiani. Con lui risorge in Italia una architettura all’italiana. Egli ha dato a noi architetti un lavoro immenso, ci ha arricchiti di un’esperienza grandissima, formidabile in tutti i campi»(19)

Nonostante questo, il regime non lo appoggia, escludendolo dal Piano generale architettonico per la città di Addis Abeba e dall’E42 (Piano urbanistico fascista, quello che dette vita all’EUR di Roma) che egli aveva cercato di trasformare in un’occasione per valorizzare le arti minori e il grande artigianato italiano attraverso la produzione d’arte della Triennale. In realtà Ponti è un outsider del fascismo: totalmente conquistato dagli aspetti mitici ma molto estraneo a quelli ideologici e pratici. 

Quando tutto crollerà, sarà la realtà a vincere sul mito: la sua sostanziale bontà lo porterà a voler risolvere i problemi reali: approfittare della distruzione causata dai bombardamenti per ricostruire con criterio, pensando soprattutto ai poveri, come si dovrebbe fare dopo ogni terremoto. La casa per tutti diventerà il leit motiv dei suoi articoli sulla ricostruzione. «L’architettura si fa […] partecipe e sostanza della politica sociale per gesti solidali» fra cui, scrive «la casa come diritto e sostanza della famiglia, cioè la casa per tutti»(20)

«Esproprio dei terreni ove costruire e rilottizzazione razionale, poi disciplina architettonica» è la proposta dell’architetto Carlo Mollino, sostenitore del «carattere pubblico della proprietà». Gio Ponti la citerà letteralmente in un suo articolo sul “Corriere della Sera” del 1° luglio 1943 (21).


Scuola di matematica alla Città universitaria (1934); Roma.


Gio Ponti, assistito nell’esecuzione da Fulvio Pendini e Lisa Ponti, affresco nello scalone all’ingresso di Palazzo del Bo (1940); Padova.

(16) G. Ponti, Amate l’architettura, cit., p. 127.
(17) Le radici anonime dell’abitare contemporaneo, Milano 2012, p. 1.
(18) Gli articoli di Gio Ponti per Il Corriere, in Gio Ponti e il Corriere della Sera, 1930-1963, cit., p. XXIII.
(19) “Domus”, novembre 1940, p. 27.
(20) G. Ponti, Politica sociale dell’architettura moderna, in Gio Ponti e il Corriere della Sera, 1930-1963, cit., pp. 484-485.
(21) Id., Ad ogni famiglia la sua casa, in Gio Ponti e il Corriere della Sera, 1930-1963, cit., p. 475.

GIO PONTI
GIO PONTI
Jean Blanchaert
La presente pubblicazione è dedicata a Gio Ponti (Milano, 1891-1979). In sommario: Introduzione; Un pittore mancato?; Educazione classica; ''Domus'' e l'architettura, ''anello di fidanzamento dell'uomo con il mondo''; Un dramma in atto; Il mistero della forma; Sostanza di cose sperate. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.