LE NATURE MORTE

Viene poi il capitolo delle nature morte, che non possono certo mancare nel lungo percorso che va dal realismo ottocentesco fino al suo punto d’arrivo nell’impressionismo.

Ma anche in questo ambito Caillebotte riesce a piazzare le sue zampate geniali, come nel caso delle ostriche. Si potrebbe obiettare che questo è un tema in cui appare assai difficile sottrarsi all’informe della natura, trattandosi di molluschi quanto mai viscidi, di una quasi ripugnante morbidezza. Ma intanto, adeguandosi ai riti della ristorazione, il nostro pittore ce li presenta serviti su un vassoio che riesce ad allinearli in bell’ordine, a dar loro una regia quasi geometrica, rispetto a cui, beninteso, contrasta proprio la ripugnante mollezza propria di quel cibo, pur tanto ghiotto. E così via, in questa breve serie di nature morte, ma sorprese nelle mense di ristoranti “come si deve”, siamo a un’abile regia tra ordine e disordine. Ci può essere una pila di piatti torreggianti ai lati di una mensa, col loro modulo di incombente geometria, pronti a imporla a un cibo che pure per parte sua sarebbe riluttante a quell’imposizione. Se ci rivolgiamo a Frutta esposta su un banco, questa regia a sensi alterni tocca una punta di eccellenza, sembra quasi che Caillebotte abbia presagito le esposizioni che si ammirano nei nostri supermercati, dove le varie derrate sono presentate nei relativi contenitori, vasche, cassette, disposte in bella posa come allettante invito al consumismo. Un artista pop dei nostri giorni avrebbe potuto ispirarsi a questa soluzione e offrirne una convincente variante, sempre a proposito di una possibile posterità da riconoscersi al nostro artista, oltre le rive ufficiali della stagione impressionista. Naturalmente la disponibilità merceologica di Caillebotte è totale, e quindi questo affidarsi a un’esposizione ben gestita non si limita solo a frutti e ortaggi, come nella tela appena ricordata, ma va a investire anche gli animali, in Natura morta: polli e selvaggina in mostra, con una sfilata di panciuti tacchini e di conigli pendenti in verticale. Al solito, siamo a una ben calcolata diarchia tra l’ordine dell’esposizione e il carattere selvaggio, peloso, quasi ripugnante della merce offerta.

Frutta esposta su un banco (1881-1882 circa); Boston, Museum of Fine Arts.


Natura morta: polli e selvaggina in mostra (1882 circa).


Costola di manzo (1882 circa).

Se poi si tratta di un Vitello nella macelleria, di un tema di torbido e compiaciuto pittoricismo quasi alla maniera di Rembrandt, anche qui, incredibile a dirsi, Caillebotte riesce a inserire un motivo di regolarità, di regia umana, consistente in una specie di collana di minuti elementi floreali che intendono impreziosire, e in parte riscattare, la brutalità di quanto ci viene mostrato. Il momento dell’artificio non manca mai di inserirsi, anche se solo alla chetichella. L’orrore, la violenza dei tranci di carne presentati a nudo sembrerebbe avere partita vinta quando giungiamo a Testa di vitello e lingua di bue, e così è, se osserviamo i due brani in oggetto, dipinti in tutta la loro orrida provocazione. Ma anche in questo caso estremo non manca di imporsi una sottile regia artificiale. Intanto i due pezzi sono appesi in calcolata simmetria, lungo due assi verticali rigorosamente paralleli, e molta evidenza è pure data ai ganci che li reggono. Magari non ci sono margini, attenuanti, coefficienti di alleggerimento, se ci riferiamo a una Costola di manzo, ma lo si è già detto, tanta lucidità ottica permette a Caillebotte di superare i limiti moderni della stagione impressionista per collegarsi agli iper-realismi del Novecento, che talloneranno ai fianchi gli esiti più propri del “contemporaneo”. Manca ancora all’appello il tema dei fiori, Caillebotte non evita di trattarlo, sempre in ossequio alle vie principali del movimento impressionista.


Vitello nella macelleria (1882 circa).


Testa di vitello e lingua di bue (1882 circa); Chicago, Art Institute.

Ma anche in occasioni del genere notiamo il manifestarsi del suo talento originale. Se si tratta di Quattro vasi di crisantemi, i petali dei fiori “sparano” in tutte le direzioni, come fossero girandole, fuochi artificiali. Se si tratta di darci un mazzo di orchidee, e siamo ormai a un anno dalla morte, è sorprendente come l’artista riesce a oscurare un motivo che sembrerebbe ispirato alla grazia, all’eleganza allo stato puro. Intanto, il fiore non viene isolato dalla pianta, come dire che la matrice, con un suo aspetto di comune vegetale, resta presente, immanente, e anzi in definitiva inghiotte, soffoca lo stesso ciuffo floreale; e nella rappresentazione si inserisce anche un supporto, un corpo estraneo, una sorta di traliccio che viene pari pari dal Pont de l'Europe di lontana memoria. Anche questo è un dipinto gravido di ulteriorità, anche un Hopper avrebbe potuto ammirarlo e farlo proprio. Per queste vie il nostro artista si riscatta dalla prigione del realismo ottocentesco e giunge a rasentare certe soluzioni di un Novecento aspro e duro. Dal moderno, si potrebbe dire, fino al postmoderno.


Quattro vasi di crisantemi (1893 circa).

Natura morta con ostriche (1881).


Bouquet di astri della Cina e girasoli in un vaso (1887 circa); New Orleans, Museum of Art.

CAILLEBOTTE
CAILLEBOTTE
Renato Barilli
Un dossier dedicato a Gustave Caillebotte (Parigi, 1848 - Gennevilliers, 1894). In sommario: Introduzione; Il tema del lavoro e le scene di interni; Anche lo sport nautico come un lavoro; Ritorno alla città: Parigi in strada, dalla finestra o dal balcone; Dentro le stanze segrete; Ritorno alla campagna, sempre tra natura e artificio; Le nature morte. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.