RITORNO ALLA CITTÀ:
PARIGI IN STRADA,
DALLA FINESTRA O DAL BALCONE

Era proprio dei buoni borghesi di quei tempi alternare gli ozi in villa a inevitabili rientri nel tumulto della città, per coltivarvi i propri interessi.

I fratelli Caillebotte hanno sempre rispettato un ritmo del genere, e la pittura del fratello maggiore, assieme alle foto dell’altro, documentano fedelmente queste alternanze, a loro volta seguite da vicino dall’ottima mostra per il centenario della morte dell’artista che il parigino Grand Palais fu pronto a organizzare, da cui è possibile trarre un prezioso canovaccio per condurre la presente lettura. E dunque, ecco di nuovo il nostro Gustave installato nel cuore della Ville Lumière, in cui del resto aveva già realizzato il suo grandioso esordio con l’episodio dei Piallatori di parquet. Come dire che egli si affretta a confermare il canone baudelairiano secondo cui bisogna essere prima di tutto pittori della vita moderna, e magari Arthur Rimbaud avrebbe ulteriormente aggiunto l’obbligo di essere «assolutamente moderni». “À la guerre comme à la guerre”, si potrebbe dire, e dunque, se veduta urbana deve essere, meglio coglierla in pieno, negli aspetti più decisamente artificiali, che in definitiva non sarebbero dispiaciuti nemmeno al nostro Boccioni, pochi decenni dopo. Ecco dunque la passeggiata sul Pont de l'Europe, dove a dominare è proprio un elemento artificiale, assolutamente estraneo alla natura, ovvero un ponte eretto con travature metalliche poste in primo piano, da protagoniste, anche se il canone, pur sempre accettato da ogni impressionista, vuole che su quelle superfici in sé neutre, asettiche, si distenda una manteca di effetti morbidi, luminosi, volti proprio ad attenuare il rigore degli infissi usciti dalle fabbriche. Da notare il cane in primo piano, non come elemento complementare di un quadretto bucolico, ma anch’esso promosso al livello di protagonista, di attore di un’avventura di strada, tanto da essere anteposto alla coppia decorosa, in abiti civili, che avanza un po’ da lontano, ma anch’essa attratta a percorrere quel “sentiero luminoso”, del resto ben tratteggiato dalle ombre azzurrine emananti dai tralicci metallici.

Boulevard Haussmann, effetto neve (1880-1881 circa).


Boulevard des Italiens (1880 circa).

Questi a loro volta funzionano come quinte, sipari che si aprono sul grande spettacolo della “città che cresce”, per dirla ancora una volta anticipando le parole di Boccioni. Infatti i bravi passanti non mancano di indugiare spiando le visioni urbane attraverso i tralicci, che quasi rischiano di nascondercele, ma sappiamo bene che queste “ci sono”, sommamente attraenti. L’altro dipinto che fa coppia con questa scena intonata a un’epica della strada è, ancora una volta, dedicato a una Strada di Parigi, colta oltretutto in un giorno di pioggia, il che consente di rendere omaggio a quell’utile strumento che è l’ombrello.

Esso non manca neppure nelle tele di Monet, ma là è appena un complemento civettuolo per delicate damine che osano inoltrarsi nella grande accensione panica della natura, quasi entrando in quella sinfonia generale come trepide farfalle. Qui invece i modesti parapioggia assurgono al livello di ampie vele di specie nautica, chiamate oltretutto a entrare in una sinfonia di grigi luminosi, quasi alla Whistler, che certo si addice a una condizione meteorologica del genere, tipica, ancora una volta, della città. Si noti inoltre che questo flusso luminoso sottile e penetrante funziona come un reagente chimico, capace di accarezzare in controluce l’acciottolato della strada determinandovi pozze, specchiature, riflessi mobili. Insomma, le iridescenze che Monet trova solo nella campagna, il suo amico-rivale le scorge, le rileva nel suolo cittadino, scandito anche dai lampioni che si allungano, simili a loro volta a travature metalliche, quasi chiamate a sostenere la visione, mentre gli edifici colti in lontananza si aprono a un abbraccio, quasi ripetendo il gesto del vogatore in canotto. Insomma, tra campagna e città Caillebotte non vuole che si stabilisca un divorzio, la stessa avidità inclusiva si esercita in un ambito e nell’altro.


Giardinetto pubblico a Parigi, tempo di neve (1880).

Se in dipinti del genere è simulato il “plein air”, l’appunto preso in diretta dal vero, in realtà l’artista è consapevole di stare confezionando come dei “murali”, e dunque bisogna procedere per gradi, apprestando una messe di schizzi, di disegni dedicati alle figure, alle loro masse, ombrelli compresi, che ne diventano parte integrante. Lo si è detto fin dall’inizio, nel nostro artista c’è pure un superbo disegnatore, ma solo per condurre una fase preparatoria. Su questa strada egli anticipa la procedura che sarà poi di Georges Seurat.

L’ottimo catalogo che ci fa da guida nella presente ricognizione svolge poi un ampio capitolo dedicato a Parigi, vista da una finestra. Qui ancora una volta avviene un incontro con il percorso di Monet, uno dei cui capolavori è senza dubbio la veduta del Boulevard des Capucines, preso anch’esso da un balcone. Ma quel dipinto, nel discorso globale monettiano, funziona un poco come un atto di congedo, per un momento l’occhio panoramico del grande Claude ritiene che il brulichio di carrozze, compenetrato nel fogliame dei filari di alberi, possa offrire la stessa magia di un prato solcato da un vento impetuoso, ma in seguito Monet si sarebbe persuaso che quello era solo un succedaneo, quasi una fata morgana, un motivo di inciampo, via dunque dalla “pazza folla” e dai riti suscitati da una locomozione artificiale. Caillebotte, invece, su quelle terrazze, ci mette piede, o quanto meno lo fanno per lui i loro abitatori, che non si mettono certo in disparte, quasi accettando il ruolo di “voyeurs” intenzionati a defilarsi, a non farsi scorgere. Forse il Giovane uomo alla finestra è proprio lui, o il fratello sempre strettamente partecipe e pronto a seguirlo imbracciando la camera fotografica. Altro che presenza marginale e parentetica, si tratta invece di una sagoma solidamente piantata, e tinteggiata in nero, per esprimere un effetto di controluce, come del resto avviene per i pilastrini che sbarrano la finestra, molto simili alle travature metalliche del Pont de l'Europe.
Siamo insomma nel pieno di una situazione abitativa, di confezione architettonica, quasi degna di una rivista che distribuisca precetti su come arredare le proprie stanze. C’è perfino, se si vuole, un anticipo di effetto proto-cubista, in quanto la specchiatura di una finestra, sul lato destro del dipinto, ci restituisce un’altra vista della figura dominante, come sapeva fare il grande Ingres nei suoi solidissimi ritratti. Il panorama su cui si affaccia questo austero personaggio si riempie a sua volta di dati propri di una situazione urbana, in cui cercheremmo invano un solo filo d’erba. Monet avrebbe rifiutato di affrontare una situazione del genere, l’avrebbe intesa come una gabbia insopportabile, mentre Caillebotte vi si imprigiona con giubilo, con piena partecipazione. Anche se, in qualche caso, l’affacciarsi a una finestra, o a un balcone, permette anche a lui di sorprendere un boulevard pulsante di traffico, ben integrato con una selva di alberi, il tutto pronto a fondersi, a fare massa con maestosi palazzi.

È un punto di notevole prossimità con gli effetti alla Monet, ma non tardano a manifestarsi, al solito, i tratti differenziali, che consistono soprattutto nel conferire forza, immanenza, dominanza agli inquilini affacciati alla finestra. In un’occasione viene dato pure a una figura femminile il diritto di stampare una sua sagoma rigorosamente corvina contro la fragilità dello spettacolo esterno. Per un momento la componente maschile le ha ceduto la precedenza, ponendosi in sott’ordine al suo fianco, a leggere il giornale, che però si protende nello spazio, fornendo quasi un contrafforte per sostenere il protendersi in avanti della donna. Ma il padrone di casa riprende subito il suo ruolo dominante, come avviene nell’Uomo al balcone, il quale oltretutto si affaccia sul boulevard Haussmann, che allora era il simbolo stesso della “città che cresce”, di una Parigi intenta a rinnovare il proprio aspetto per renderlo del tutto consono alla “vita moderna”. Inutile ripetere che si conferma la solidità imponente della figura maschile, scandita dal cilindro portato in testa, come fosse una ciminiera svettante. Ma da notare soprattutto il motivo della ringhiera, un tipico artificio antinaturalistico, cui viene comminato lo stesso chiaroscuro, come se si trattasse di un tralcio vegetativo, di una formazione fitomorfa, ma uscita del tutto dall’ingegnosità dell’uomo. Inutile dire che un Monet collocato nella medesima situazione avrebbe falcidiato quell’arabesco, proprio per il suo carattere decisamente, sfacciatamente innaturale. Qualcuno potrebbe obiettare che comunque, al di là di quell’ostacolo, si distende un’onda verdastra di alberi e piante, in linea con le esigenze più elementari di un impressionismo di base, quasi scolastico. Ma ecco poi subito un ulteriore elemento di disturbo, ravvisabile in quel tendaggio che in alto si agita al vento, fiero dell’essere disegnato a bande larghe e policrome, e soprattutto trasformato in una membrana lucida, trasparente, in quanto attraversato dalla luce, che in tutti questi dipinti si ostina a intervenire alle spalle, andando a colpire con insistenza gli ostacoli incontrati sul proprio cammino.


Uomo al balcone (1877 circa).
Come nel Giovane uomo alla finestra anche qui domina il personaggio maschile, ancora in controluce, con in testa un cilindro svettante, quasi come una ciminiera. E ritroviamo lo sbarramento, fornito da un elemento di pesante artificialità, dato da una ringhiera in ferro battuto che insinua pesanti movimenti ornamentali, in totale divergenza con i motivi naturali, che in questo caso sono presenti in notevole quantità, attraverso un muro vegetale che si innalza dalla strada. Ma è fioco, svaporato, e tenuto a prudente distanza dal motivo rigido dell’incalzante ringhiera. Da notare anche la tenda trasparente che inquadra in alto la visione, quasi col proposito di fare concorrenza alle possibili trasparenze di specie vegetale di qualche pianta traslucida. In definitiva, a ben vedere, è un ennesimo impedimento al rischio che la visione del boulevard verzicante di alberi pretenda di entrare troppo nella veduta.

Un balcone (1880).

Un balcone a Parigi (1880).

CAILLEBOTTE
CAILLEBOTTE
Renato Barilli
Un dossier dedicato a Gustave Caillebotte (Parigi, 1848 - Gennevilliers, 1894). In sommario: Introduzione; Il tema del lavoro e le scene di interni; Anche lo sport nautico come un lavoro; Ritorno alla città: Parigi in strada, dalla finestra o dal balcone; Dentro le stanze segrete; Ritorno alla campagna, sempre tra natura e artificio; Le nature morte. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.