LA FORMAZIONE:RADICI DUPLICI

È il 6 ottobre 1887 e a La Chaux-de-Fonds, una città situata a mille metri di altitudine tra le montagne del Giura svizzero e nota per essere un centro dell’industria dell’orologeria, nasce Charles-Édouard Jeanneret.

I Jeanneret sono da più generazioni decoratori di orologi, quindi l’iscrizione nel 1904 di Edouard all’École d’Art muni- LA FORMAZIONE: RADICI DUPLICI Nella pagina a fianco: un ritratto di Charles-Édouard Jeanneret noto, dal 1920, con lo pseudonimo Le Corbusier. cipale per imparare il mestiere austero e minuzioso dell’incisore di casse di orologi rientra in una tradizione familiare. Qui Jeanneret conosce Charles L’Eplattenier, insegnante di “Dessin et composition décorative”, che svolge un ruolo determinante nell’indirizzare la sua formazione. 

Sotto un profilo professionale L’Eplattenier constata che il lavoro di incisore non è adatto a Jeanneret a causa dei suoi problemi di vista: gli consiglia di dedicarsi all’architettura. 

Inoltre L’Eplattenier intuisce che la sfida del tempo cui i suoi studenti dovranno rispondere è quella di coniugare la qualità dei prodotti con la quantità perseguita attraverso la riproducibilità tecnica. In effetti la produzione di massa proveniente da Germania e Francia crea una seria concorrenza agli oggetti d’uso prodotti in modo artigianale: anche l’orologeria tende verso l’industrializzazione con la produzione degli orologi da polso. All’interno di tale cornice, l’insegnamento di L’Eplattenier non è imperniato solo su un piano tecnico o pratico, ma comprende tutta una serie di studi improntati su una concezione spiritualistica della natura, sugli insegnamenti di John Ruskin e su una visione idealistica del mondo.

I testi di Henry Provensal e di Edouard Schuré, per esempio, orientano Jeanneret verso una concezione per cui compito dell’arte è l’espressione di forze spirituali trasmissibili attraverso rapporti armonici formali e attraverso la numerologia pitagorica. 

Tra il 1907 e il 1911 il giovane Jeanneret compie una serie di viaggi. 

Austria, Francia, Germania, Turchia, Grecia, Paesi Balcanici, Italia costituiscono le principali tappe di una serie di esperienze che gli consentono di ampliare i confini della sua conoscenza legata all’ambiente ristretto della sua città natale. 

Nel 1907 è a Vienna. Incontra numerosi artisti viennesi, tra cui Koloman Moser e Klimt, ed è in contatto con Joseph Hoffmann che sta mettendo a punto un’estetica che si basa sulla depurazione progressiva del linguaggio e della forma. 

Da Vienna si sposta a Parigi dove lavora presso lo studio di Auguste e Gustave Perret: l’Entreprise Générale de Travaux Publics & Particuliers Perret Frères. Considerati i più eminenti promotori di quel nuovo materiale da costruzione chiamato “cemento armato”, i fratelli Perret sono nel frattempo impegnati nella costruzione del Garage Ponthieu: un edificio che, in un momento di massima espansione dell’Art Nouveau, manifesta chiaramente e in controtendenza il prevalere del tema della costruzione rispetto ai motivi stilistici.


Un ritratto di Charles-Édouard Jeanneret noto, dal 1920, con lo pseudonimo Le Corbusier.

cassa di orologio incisa (1906).


John Ruskin, The Seven Lamps of Architecture, Londra 1849.

Henry Provensal, L’art de demain, la copia di Le Corbusier.


Friedrich Nietzsche, Ainsi parlait Zarathoustra, la copia di Le Corbusier.


Ernst Renan, Vie de Jésus, la copia di Le Corbusier. Le immagini relative alle tre copie di Le Corbusier sono tratte da P. V. Turner, La formazione di Le Corbusier. Idealismo e movimento moderno, a cura di M. A. Crippa, Milano 2001.

L’interazione con Auguste Perret segna un’importante tappa nella formazione del giovane Jeanneret: la comprensione che l’impiego del cemento armato permette la creazione di nuovi ritmi, sia in pianta che in alzato, e di ambienti spazialmente moderni. 

A ventun anni, il giovane Jeanneret scrive al suo maestro di Chaux-de-Fonds: «È inutile dirvi che la mia vita non è una burla, ma fatta di lavoro intenso, necessario: infatti, dall’incisore che ero, per diventare un architetto con l’idea che mi sono fatto di questo mestiere, occorre fare un passo immenso. […] Ho davanti a me 40 anni per realizzare ciò che di grande intuisco sul mio orizzonte ancora liscio. [….] La mia concezione dell’architettura è abbozzata nelle grandi linee che fino ad ora solo le mie deboli risorse mi hanno permesso di raggiungere. Arrivato a Parigi avvertii in me un vuoto immenso e mi dissi: “Poveraccio! Non sai ancora niente e, ahimè, non sai quello che non sai”. Fu questa la mia grande angoscia. […] Le sferzate furono in seguito rappresentate per me dai Perret. Queste vigorose personalità mi corressero: mi dissero con le loro opere e, talvolta nelle discussioni: “Lei non sa niente”».


Una veduta dell’interno. Questa immagine è tratta da G. Fanelli, R. Gargiani, Auguste Perret, Roma-Bari 1994.


Auguste e Gustave Perret, Garage Ponthieu (1906-1907); Parigi. l’ingresso.

Nel 1910, incaricato da L’Eplattenier di svolgere una ricerca sulle arti decorative tedesche, Jeanneret è in Germania. A Monaco di Baviera conosce Theodor Fischer, architetto che lo mette in contatto con le principali personalità del Deutscher Werkbund, quell’associazione tra politici, industriali e architetti che, a partire dalla Germania, sta segnando lo sviluppo delle arti applicate e dell’architettura europee. Inserita in tale cornice, l’esperienza per un breve periodo presso lo studio di Peter Behrens gli permette di comprendere cosa implichi per un architetto essere al centro dei problemi architettonici, culturali, produttivi e politici di un’epoca. Il lavoro che Behrens sta compiendo per la famiglia Rathenau con l’AEG di Berlino spazia dalla progettazione di edifici a quella di oggetti, sino alla modalità di presentare i prodotti. 

In questo periodo inoltre Jeanneret visita i nuovi quartieri operai che stanno sorgendo in Germania. Quando nel 1910 è a Dresda rimane affascinato dall’intervento che Heinrich Tessenow ha progettato a Hellerau: sotto un profilo architettonico Tessenow riesce a far vivere tradizioni antiche riducendole a una scheletrica essenza. 

Accanto agli aspetti culturalmente più avanzati del tempo, accanto alla conoscenza della cultura tedesca d’inizio del secolo, accanto alla comprensione di quali siano le questioni che il proprio tempo richiede all’architetto, l’attenzione del giovane Jeanneret è rapita da alcuni “incontri” di natura molto diversa, frutto di un lungo viaggio volto alla scoperta delle radici della cultura mediterranea. 

Nel 1911, in compagnia del suo amico August Klipstein, Jeannert lascia Berlino e intraprende un viaggio che attraverso la Boemia, la Serbia, la Romania e la Bulgaria, li conduce a Costantinopoli, in Grecia e in Italia. Le impressioni di tali tappe confluiranno nel volume Le voyage d'Orient, un vero e proprio diario che evidenzia obiettivi e interessi del giovane Jeanneret. 

L’Acropoli di Atene lo colpisce per il percorso cerimoniale che la caratterizza e per «il prevalere delle forme sull’ordine delle cose»: «dialogo di masse, pure e semplici masse», così la descrive Jeanneret.


Itinerario del viaggio in Oriente compiuto da Le Corbusier nel 1911. Questa immagine è tratta da Le Corbusier, Le Corbusier. Il viaggio in Oriente, Faenza 1974.

Il Partenone è definito come «massima espressione matematica del tempio», «cubo» e insieme «terribile macchina» le cui «otto colonne obbediscono a un’unica legge». La predilezione per i volumi semplici e per la numerologia pitagorica si intreccia quindi con una trasfigurazione meccanicistica. Quella di Jeanneret non è una semplice sensibilità per l’antico, bensì la ricerca di una perfezione assoluta che tenga insieme più piani di lettura. In effetti, la visita all’Acropoli di Atene è volta a comprendere per sua ammissione, «l’essenza stessa del pensiero artistico».


Le Corbusier all’Acropoli di Atene nel 1911.


Il Partenone (settembre 1911), da Voyage d’Orient. Carnets, redatti dallo stesso Le Corbusier.

Del Mediterraneo lo colpiscono anche le qualità delle aggregazioni urbane: la spontaneità e semplicità del vivere si sostanziano nello spazio attraverso la costruzione di un sensuale e articolato alternarsi di spazi ampi e ristretti. Mentre la certosa d’Ema, nei pressi di Firenze, al pari del Falansterio di Fourier, gli appare come modello di un’ideale organizzazione sociale che si traduce nello spazio in un unico edificio: un modello per le case degli operai. 

Questo monastero dell’ordine dei certosini, agli occhi di Jeanneret, costruisce un equilibrato rapporto tra spazi collettivi e individuali e, insieme, è espressione di un interessante rapporto tra artificio e natura. Se gli spazi comuni sono introversi e protetti, quelli privati, essenziali eppure dotati di ogni comodità, si moltiplicano nello spazio e guardano, con distacco, la natura circostante.


Il monastero d’Ema (1911), da Voyage d’Orient. Carnets, redatti dallo stesso Le Corbusier.


Il Partenone (settembre 1911), da Voyage d’Orient. Carnets, redatti dallo stesso Le Corbusier.

Come tenere insieme tutte queste istanze nel proprio lavoro? 

Al suo ritorno a La Chaux-de-Fonds, nel 1914, insieme all’amico ingegnere Max Du Bois inizia a compiere una serie di studi su un sistema costruttivo. Si tratta di una struttura formata da tre solai, sei pilastri e una scala agganciata a un pilastro: chiamata «Dom-ino», non si tratta di un progetto di architettura, bensì di un manifesto vero e proprio. 

Come sarà l’edificio moderno? 

Esso sarà dotato di una struttura portante puntuale e messa a punto con quel nuovo materiale, il cemento armato, che sta rivoluzionando le costruzioni del tempo. I pilastri saranno arretrati rispetto alla facciata: si potranno costruire superfici di tamponamento indipendenti dall’articolazione interna degli spazi. Il piano sarà reso libero da ingombranti muri portanti: ciò permetterà una libertà nell’organizzazione interna degli ambienti. Il suo tetto sarà piano: potrà essere utilizzato come ulteriore livello da cui guardare il paesaggio. L’edificio moderno sarà sollevato dal terreno: sarà una costruzione assolutamente artificiale, distaccata dalla natura e costruita per parti. 

Jeanneret ne studia anche le diverse applicazioni. Il sistema Dom-ino può costituire un’unità abitativa a sé stante. 

Oppure quest’unità abitativa può divenire un elemento modulare, ripetibile e combinabile per formare complessi più ampi assumendo la configurazione - nella soluzione che mette a punto - del falansterio di Charles Fourier. 

Il sistema Dom-ino è alla base di tutti i compiti che la civiltà moderna richiede agli architetti. 

Eppure, contemporaneamente alla messa a punto del sistema Dom-ino, Jeanneret progetta la villa Schwob.


Sistema Dom-ino (1914-1915), maquette.

La costruzione ha una struttura in cemento armato, ma allo stesso tempo è definita da rivestimenti in mattoni; è caratterizzata da una grande vetrata a doppia altezza e insieme è dotata di cornicioni classici e di oculi; la disposizione degli ambienti in pianta è bloccata e simmetrica eppure un ambiente a doppia altezza sfrutta le possibilità offerte dalla struttura in cemento armato. La Schwob è una casa «manierista», così è stata definita da Colin Rowe, una casa che risente dei numerosi influssi della sua formazione. 

In modo significativo, al contrario dei numerosi studi che compongono il sistema Dom-ino, la villa Schwob non compare nella OEeuvre complète. Vi è un ampio scarto tra gli obiettivi che Jeanneret si è prefissato di raggiungere con il suo lavoro e ciò che è realmente in grado di progettare e realizzare. 

Solo l’esperienza del progetto e della sua costruzione può permettere di assottigliare tale scarto. C’è un piano astratto del pensiero e degli obiettivi prefissati che si deposita nei suoi libri e nei progetti. 

C’è un piano concreto, ciò che è in grado di progettare e che la realtà permette di realizzare, che si deposita nello spazio tramite le sue architetture. Assottigliare tale scarto è la questione che lo spinge a un’incessante attività. Attività che si innesta nell’ottimista e tragica convinzione di potere, con il proprio operato, ottenere degli effetti migliorativi sul mondo. 

Per raggiungere i suoi obiettivi Jeanneret è, e sarà, disposto a tutto. 

In primis, è necessario lasciare definitivamente il suo ambiente provinciale e andare lì dove è più fervido il dibattito culturale, lì dove il mondo è più in fermento.


Villa Schwob (1916), in una foto del 2006; La Chaux-de-Fonds (Svizzera).

Parigi sarà la sua città. 

In secondo luogo, per distinguersi in un ambiente sovrastimolato e sovraffollato qual è quello della vita metropolitana, è necessario effettuare qualche trucco. 

Assumere uno pseudonimo che s’imprima nella mente e che sia in linea con le teorie iniziatiche di Schuré e con la discendenza dei Jeanneret dai catari: Le Corbusier sarà il suo nome. Le Corbusier, una fusione tra un nome ancestrale, “Le Corbesier” e un nomignolo dai significati alchemici “Corbeau” o “Corvo”. 

Fare in modo che la propria immagine non passi inosservata attraverso l’assunzione di alcuni segni di riconoscimento visivo: il trasferimento a Parigi segna l’apparire sul suo volto di occhiali dalla spessa e nera montatura.


Villa Schwob (1916), interno; La Chaux-de-Fonds (Svizzera).

LE CORBUSIER
LE CORBUSIER
Gabriella Lo Ricco
Un dossier dedicato a Le Corbusier, pseudonimo di Charles-Edouard Jeanneret-Gris (La Chaux-de-Fonds, 1887 - Roccabruna, 1965). In sommario: La formazione: radici duplici; ''L'Esprit Nouveau''; Puncti. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.