AMARE E (È) CREARE

Si chiamava la Folie Neubourg al Clos Payen il nido d’amore dei due amanti a Parigi, creato in stile neoclassico nel Settecento e in auge fin dai tempi della Rivoluzione, di Napoleone, di George Sand che vi incontrava Alfred de Musset.

UUn luogo appartato, nascosto dall’erba alta e dagli arbusti, con una fila di stanze dai soffitti scrostati e dai muri decrepiti celati da enormi specchi: un posto ideale per fare l’amore lontano dagli occhi del mondo, per perdere il senso del proprio io e trovare nella fusione con l’altro la gioia della doppia identità, eccitante come un amplesso. Lo sceglie Rodin per stare di fronte allo studio di Camille, al 68 di boulevard d’Italie, e qui i due artisti passano gli anni più felici del loro rapporto.

 
La passione che li unisce si trasferisce nelle loro opere e non meraviglia che due sculture, La Giovane con fascio di spighe di Camille e la Galatea di Rodin risultino simili nell’impostazione e nel modellato, rivelando nei dettagli l’eco dei capolavori michelangioleschi tanto studiati nei profili da entrambi.

Anche la Testa con lo chignon di Camille, così vibrante nella resa dell’unicità del modello, si riflette nel Grido di Rodin, tanto da suscitare la perplessità dei critici sulla priorità dell’idea. Certo è che la scultrice in Rodin, più vecchio di lei di ventiquattro anni, trova non solo il maestro cui la legano affinità elettive, ma anche il padre, ed è proprio la proiezione della figura paterna il cardine inconscio che la spinge nelle sue braccia in un appassionato rapporto di natura edipica che significa anche rottura con la madre e scoperta della propria sessualità.


Rodin ama presentarla in società come la novità del momento e come una sua scoperta. Un’immagine del fotografo César del 1885 ci mostra Camille in un abito a righe e un cappellino alla moda, che si rivolge al fotografo con un atteggiamento sicuro di sé, probabilmente come si presenta ai martedì letterari di 87 rue de Rome, a casa di Mallarmé. Qui si incontrano le personalità più in voga dell’epoca, da Oscar Wilde a Verlaine, da Huysmans a Jules Laforgue e Claude Debussy. Non manca anche il fratello Paul al quale Camille fa conoscere le poesie di Rimbaud che lo colpiscono suffragando la sua vena creativa di scrittore, mentre si alimenta la sua forte gelosia nei riguardi di Rodin che, a sua volta, si sente estraneo nei confronti della coppia così unita di fratello e sorella.

Auguste Rodin, Galatea (1887); Parigi, Musée Rodin.


Rodin nel 1891, a cinquantuno anni. A lungo si è parlato di una dipendenza di Camille Claudel scultrice da Rodin, della donna dall’uomo finché, con la sua riscoperta, si è riconosciuta la sua formazione autonoma parallela e non subordinata al maestro.

Dal canto suo Camille che, da buon Sagittario, è determinata, dinamica e amante della libertà, ha paura di essere soffocata dalla personalità di Rodin che diventa sempre più famoso e l’ha fatta lavorare troppo al gruppo dei Borghesi di Calais. E un tentativo di distacco dallo scultore emerge anche dal suo ritorno all’isola di Wight, descritto in una lettera del marzo 1888 all’amica Florence Jeans. Una separazione necessaria al fine di prendere coscienza del suo personale talento e confermare la sua autostima. Questa sarà anche suffragata dalla “menzione d’onore” al Salon des Artistes del 1888, ricevuta per il suo primo lavoro da “statuaire”, Sakountala (o L’abbandono), il cui soggetto riprende la storia della principessa indiana dimenticata e poi ritrovata dal principe suo sposo che, per una misteriosa magia, ne aveva perso il ricordo e che al ritorno viene da lei perdonato. Evidentemente nella leggenda indiana Camille ritrova la sua esperienza di amante costretta a sopportare le assenze di Rodin a causa di un’altra donna. La malinconia, la tristezza, il distacco e la rappacificazione trasudano da questa figura di donna che si china a perdonare l’amato proteso verso di lei in un abbraccio che vorrebbe essere eterno.

 
A Sakountala Rodin risponde con L’eterno idolo, una scultura raffigurante un uomo inginocchiato di fronte a una donna che, a differenza di quella scolpita da Camille, pare fredda e distante, mentre l’uomo si dichiara schiavo d’amore in posizione adorante e implorante il perdono. Ciò nonostante, il talento di Camille, riconosciuto dallo scultore di fronte al pubblico («Ho indicato a lei dove trovare l’oro ma l’oro è tutto suo»), viene generalmente minimizzato. Decisa a imporre la sua vena di artista indipendentemente dal maestro e a esprimere la sua creatività, tra il 1889 e il 1892 Camille porta a compimento l’opera in cui si palesa chiaramente l’ormai raggiunta maturità artistica, ma anche il grido disperato di chi sente l’effimera durata dell’amore e della felicità. È Il valzer, il ricordo di un attimo di felicità espresso concretamente dal roteare delle figure al ritmo della musica, una danza che è insieme di amore e di morte «totalmente avvoltolata nella stoffa della musica, nella tempesta e nel turbine della danza», scriverà Paul Claudel. Una scultura che sarà considerata un omaggio inconscio di Camille alla nuova arte che furoreggiava all’Esposizione universale parigina, l’Art Nouveau.

César, Camille con cappellino e abito a righe (1885).


William Elborne, Camille che lavora alla scultura Sakountala con Jessie Lipscomb sullo sfondo (1887).


È molto probabile che l’ispirazione sia maturata nella mente di Camille durante l’ascolto dei brani di Claude Debussy, suonati al piano dall’amico Richard Godet. Il musicista e la scultrice si erano incontrati già al caffè Austin, caro a Baudelaire, e all’Esposizione universale per ascoltare i musicisti dell’isola di Giava, affascinati com’erano ambedue dalla musica e dall’arte orientale. Entrambi frequentavano la galleria di Samuel Bing, mercante d’arte che aveva importato il giapponismo a Parigi; lì ebbero l’occasione di ammirare la famosa immagine dell’Onda di Hokusai, di cui Debussy comprò una copia, futura copertina dello spartito di La mer, e che a Camille ispirò la scultura L’onda.

 
Delle opere della scultrice Debussy ammirava soprattutto la bellezza così libera e inventiva delle linee, il ritmo delle curve e la realizzazione perfetta del divino arabesco, che lui tentò di imitare nei suoi Due arabeschi per piano. Per il compositore, stando al ricordo di Robert Godet, Camille esprimeva «il massimo del lirismo in scultura e lo stile geniale senza nessun debito all’Accademia». Fu una bella amicizia quella tra i due artisti, bruscamente interrotta da Camille, come risulta da una lettera di Debussy all’amico Godet; in realtà la scultrice attraversava un periodo di crisi che la indusse a lasciare la Folie Neubourg di Rodin per spostarsi in uno studio in boulevard d’Italie, un quartiere deserto, alla periferia di Parigi. Luogo da cui si divertiva a mandare all’amante delle caricature che lo rappresentavano con la sua Rose Beuret in ridicoli amplessi, carica di gelosia per la rivale alla quale Rodin non intendeva rinunciare, nonostante la sua antica promessa di matrimonio.


Nel maggio del 1891 Rodin trascina Camille, incinta, in un viaggio in Touraine e la conduce in un luogo isolato, lo Château dell’Islette, perché vi passi il periodo della gravidanza, poi interrotta. Commuove la lettera nella quale Camille chiede che lui le compri un costume da bagno in due pezzi al Bon Marché per fare il bagno nel fiume, con la finale raccomandazione di non tradirla più. Non si sa se l’aborto sia stato causato da un incidente o se sia stato procurato; certo è che Paul Claudel, in una lettera all’amica Marie Romain Rolland, che gli aveva confessato di avere abortito, scrisse che una persona a cui era molto vicino aveva commesso lo stesso crimine e lo stava espiando da ventisei anni in un manicomio. Questo duro giudizio forse spiegherebbe la sua severità nell’aver proposto l’internamento della sorella. Anche una lettera di Camille che avverte Rodin di non raggiungerla allo studio di avenue de la Bourdonnais (altro atelier da lei affittato) per la presenza della madre, onde evitare scenate, e l’assicurazione sullo stato della sua salute, sembrano confermare l’avvenuta interruzione di gravidanza.


Sakountala (o L’abbandono) (1888); Châteauroux, Musée Bertrand. La principessa indiana Sakountala si china per abbracciare l’amante per lungo tempo assente; il ricadere suadente delle linee che si curvano e inarcano per trattenere le ombre sottintende la tenerezza quasi materna della donna verso l’amato.

Il valzer (1893); Parigi, Musée Rodin. L’incontro di Camille con Rodin era destinato a suscitare una comune passione, frutto di una formidabile sintonia di sentimenti e creatività, che però in Claudel si mescolava al bisogno costante di affermare la propria autonomia personale e artistica. Opere come Il valzer evidenziano la volontà di Camille di apporre la sua firma sulle proprie opere, come appunto nel caso di questa scultura in movimento, leggera, volubile, in contrasto con le monumentali forme rodiniane.


Busto di Rodin (1892); Parigi, Musée Rodin.

Dopo essersi rimessa, Camille si dedica a scolpire il volto di una bambina, la nipotina della padrona di casa, La piccola castellana, opera che sarà esposta al Salon nel 1894 incontrando il favore dei critici, tra cui Mathias Morhardt che vi troverà «qualcosa di Indefinito che comunica un’angoscia profonda», mentre un altro critico, Teodor de Wyzewa, vi riconoscerà la «dolcezza maliziosa di Mino da Fiesole».


Contemporaneamente Rodin scolpisce La convalescente (o L’addio), un blocco di marmo dal quale emergono le mani e la testa di Camille profondamente triste; le fa eco il Busto di Rodin realizzato da Camille, tipicamente rodiniano, marcato da incisioni profonde sulla barba e sui capelli, segni della sofferenza e dell’angoscia patita dall’amante.


Nel dicembre del 1893 Camille scrive al fratello Paul, nominato nel frattempo console in America, per raccontargli i suoi incontri con gli amici comuni, tra cui Alphonse Daudet, e gli comunica l’invio al Salon di Bruxelles di quattro opere: Il valzer, Sakountala, La piccola castellana e Il salmo, un volto di donna con in testa un cappuccio. Conosciuta anche come L’ispirazione, quest’ultima opera simboleggia il periodo di forte introspezione della scultrice, il suo bisogno di ritrovare il contatto con se stessa, con il suo io più profondo, per avere la forza di allontanarsi del tutto da Rodin che non ha intenzione di lasciare la sua compagna.


Caricatura di Rodin e Rose Beuret (1892); Parigi, Musée Rodin.

CLAUDEL
CLAUDEL
Marilena Mosco
Camille Claudel (Fère-en-Tardenois 1864 – Montfavet 1943), nota soprattuttoper la sua relazione con Auguste Rodin e per la sua tormentata vicenda esistenziale,merita invece di essere riconsiderata per le sue innegabili doti di scultrice.Nasce da una famiglia benestante, suo fratello Paul sarà un importante scrittoree uomo politico. Inizia a scolpire e modellare la creta da bambina. Quando ditrasferisce con la famiglia a Parigi inizia una formazione artistica professionaleed è nella capitale francese che conosce Rodin, lei neanche ventenne, lui ultraquarantennee maestro affermato. Ne diventa allieva, modella e amante. Lasua scultura presenta tratti di grande forza e intensità, anche nel trattamentodella materia, ma ne traspare anche un’evidente fragilità psichica. La relazionecon Rodin termina negli anni Ottanta dell’Ottocento e il suo equilibrio crolla. Lafamiglia nel 1913 la costringe al manicomio, da cui cerca in ogni modo, ma inutilmente,di sottrarsi. Resta in manicomio trent’anni; muore nel 1943, forse per imaltrattamenti, o di fame. Fu sepolta in una fossa comune.