UU’occasione unica per vedere da vicino le dodici tavole lignee che decorano il soffitto della famosa “libraria” voluta dal principe vescovo di Trento, Bernardo Cles. Sono esposte nella mostra I volti della sapienza. Dosso e Battista Dossi nella biblioteca di Bernardo Cles, a cura di Laura dal Prà e Vincenzo Farinella, aperta fino al 22 ottobre al castello del Buonconsiglio. Furono dipinte tra il 1531 e il 1532 da Dosso Dossi con l’aiuto del fratello Battista.
Bernardo, che aveva ricevuto nel 1530 il cappello cardinalizio, sognava una biblioteca adeguata alla sua nuova dignità. Perennemente in viaggio tra Vienna, Praga e Ratisbona controllava da lontano l’andamento dei lavori nel suo appartamento privato, al secondo piano del Magno palazzo, che aveva iniziato a far costruire nel 1528 addossato alle mura medievali e comunicante con la parte più antica del castello attraverso un passaggio sospeso. C’erano, in successione, tre ambienti a pianta quadrata e un’ampia sala rettangolare destinata a “libraria”. Il cardinale scriveva dando ordini allo “zimermon” (il carpentiere), ai “tislari” (i falegnami) e al “maiordomo” Tomaso Marcschaner (maestro di casa e tesoriere) che doveva controllare le spese e acquistare i colori per assicurare a Dossi la continuità lavorativa. Scriveva anche, il 12 aprile del 1532, al pittore ferrarese, per rallegrarsi che gli affreschi sulle pareti e la pittura delle tavole fossero quasi a termine. Scriveva, nello stesso giorno, al duca di Ferrara, Alfonso I d’Este, per ringraziarlo di avergli concesso i servigi di Dosso Dossi. Scriveva al “maestro” Andrea Crivelli, responsabile del cantiere, per ricordare che Dossi, prima di tornare a Ferrara, si era impegnato a dipingere sopra la porta della sala, «essendo loco tanto atto circa ciò, una Madona cum uno S.Vigilio qual ni presenta in zenocchio a ditta Madona».
Grandi mostre. 6
DOSSO E BATTISTA DOSSI A TRENTO
DOTTI, MEDICI
E SAPIENTI
DOPO IL RECENTE PROGETTO DI RECUPERO DELLA BIBLIOTECA DEL VESCOVO E MECENATE BERNANDO CLES NEL MAGNO PALAZZO DEL CASTELLO DEL BUONCONSIGLIO, SI POSSONO AMMIRARE LE TAVOLE LIGNEE DEL SOFFITTO, DIPINTE DA DOSSO DOSSI CON L’AIUTO DEL FRATELLO BATTISTA, DOVE SONO RITRATTI ERUDITI PERSONAGGI DELL’ANTICHITÀ.
LAURETTA COLONNELLI
Si sa che la Vergine è definita anche “Sedes Sapientiae”, sede della Sapienza divina. Risultava quindi l’immagine più adatta per una biblioteca, dove l’abilità inventiva di Dossi aveva già creato sulle pareti finti loggiati prospettici con colonne, che inquadravano le raffigurazioni dei Dottori della Chiesa. E dove le tavole di fondo dei diciotto cassettoni che componevano il soffitto presentavano i ritratti di altrettanti Sapienti a mezza figura, che si stagliavano su un cielo con nuvole vaganti.
È ormai assodato che i fratelli Dossi e Bernardo Cles non si incontrarono mai, dal momento che da giugno 1531 alla fine di novembre del 1532 il cardinale non trovò il modo di soggiornare a Trento. Bernando Cles riuscì però a tornare per una breve sosta nel dicembre del 1532, poco prima di presenziare, come ambasciatore di Ferdinando d’Asburgo, agli incontri tra il papa Clemente VII e l’imperatore Carlo V a Bologna. Dalla metà di marzo del 1533 fino a luglio del 1534 viaggiò tra Austria, Boemia, Germania. A Praga le sue condizioni di salute si aggravarono e per la prima volta manifestò l’intenzione di ritirarsi dagli incarichi politici e di stabilirsi a Trento. Nella fabbrica del Magno palazzo i lavori erano quasi terminati. Ma la “libraria” si presentava ancora senza arredi e senza libri.
Così, negli anni a seguire, Cles richiese più volte a illustri eruditi del tempo di redigergli liste di opere importanti da acquistare. Interpellò l’amico fraterno Erasmo da Rotterdam, il vescovo di Brindisi Gerolamo Aleandro, l’umanista mantovano Giano Pirro Pincio. E tutti gli risposero in brevissimo tempo. Allora scrisse ai soprastanti della fabbrica di procurarsi i mobili necessari a contenere la gran quantità di volumi che sarebbero arrivati: scaffalature lungo i muri e un certo numero di panche che voleva disposte su due file parallele, con i leggii in diagonale rispetto alle pareti lunghe, secondo uno schema fedele alle biblioteche monastiche medievali. Inviò lui stesso da Vienna, chiusi in una scatola e opportunamente protetti dalla bambagia, due modelli in legno degli arredi, con dettagli in parte dipinti.
Non sappiamo se riuscì mai a vedere la “libraria” conclusa. Morì il 30 luglio 1539. L’ultima testimonianza è quella del medico di corte Pietro Andrea Mattioli, che qualche anno prima aveva scritto nel suo poema, intitolato Il Magno palazzo del cardinale di Trento: «Ver è ch’i libri anchor non v’eran messi / Ma ch’in breve vi fussen si sperava…».
Sappiamo che Cristoforo Madruzzo, successore di Bernardo Cles, usò la grande sala come “guardarobba”, una sorta di “Wunderkammer”, per raccogliervi la propria collezione di antichità: gioie, medaglie, soprattutto vasi di vetro. Poi, della “libraria”, non si ebbero più notizie per oltre due secoli. Alla fine del Settecento la sala diventò la camera da letto di Napoleone, entrato con le sue truppe a Trento. Nel 1811 le diciotto tavole del soffitto furono smontate durante i lavori di restauro nell’appartamento. Alcune finirono appese come quadri nei corridoi del ginnasio di Trento. Vent’anni più tardi ne erano già scomparse tre. Nel 1896 se ne contavano dodici, nel 1902 nove, quando altre tre, particolarmente malandate, furono inviate a Vienna per essere riparate ed essere poi restituite nel 1913. Le dodici tavole furono ricollocate nel 1924 nei lacunari dell’antica sala, che fu inclusa nel museo dei reperti archeologici di proprietà comunale.
Trascorsero così altri cento anni. Finché, nei primi mesi del 2021, Laura dal Prà, direttore del museo del castello del Buonconsiglio, ideò un progetto di recupero generale della “libraria”. Nel febbraio 2022 si aprì il cantiere sotto la direzione operativa di Claudio Strocchi, che nel prezioso catalogo della mostra ha ricostruito le vicende della sala clesiana. Le tavole dei fratelli Dossi sono state di nuovo smontate, gli strati di pittura consolidati. Prima di ricollocarle sul soffitto della “libraria” si è deciso di presentarle in una mostra, che si snoda tra la sala Scarlatti e l’appartamento clesiano, e che le mette a confronto con un centinaio di dipinti di soggetto simile e di epoca anche successiva alla loro.
I nuovi restauri hanno portato altre scoperte. Le tavole furono dipinte in posizione verticale, come fanno supporre le sgocciolature di preparazione e quelle successive di colore. Nella preparazione del fondo le pennellate seguono l’andamento delle venature del legno: sono orizzontali, povere di colore e generalmente stese da sinistra verso destra. Le analisi chimiche hanno rivelato che i pigmenti sono a tempera grassa con impiego di uovo. I documenti testimoniano che furono forniti dal “maiordomo” e dal capocantiere, i quali li avevano acquistati quattro anni prima dai mercanti veneziani e li avevano poi distribuiti anche fra le maestranze impegnate nell’affresco dei muri. In una lista dettagliata, risalente al 13 novembre 1527, sono elencati: «Smalto che ha lo color delo azuro oltra marin, azur fino, verde azur, zanolino, zinaprio, lacha, endego fino, minio, orpimento, biacha, color de sal, zanolini de muran, lacha de grana, turchino sutil, terra rossa, terra zalla, terra negra, terra verde, bolo arminio, cuperoxa, vernise liquida, olio de nose, litirgirio, verdoramo, stagnoli rossi, stagnoli bianchi».
Con segni calligrafici in punta di pennello, Dosso definì le figure dei Sapienti. Rifinì le loro mani e i loro volti, gli occhi e le sopracciglia, le barbe e i capelli e i bordi di pelliccia di alcuni abiti. Con campiture giocate su chiari e scuri, su luci e ombre, costruì la volumetria dei cappelli e dei mantelli e le pieghe delle vesti che rivelano il movimento dei corpi sottostanti. «Diremmo che il Dosso escogiti un grottesco del colore, una policromia ironica, vorticosa, che finisce per trarre con sé anche la forma: scrosciano di riflessi le vesti e se v’è un fenomeno ottico che si ripeta ogni morto vescovo, un’aurora boreale, un miraggio, o il disco del sole dilatato come un cratere spettacoloso, il Dosso sceglie quello», scrisse Roberto Longhi.
Particolare interesse hanno suscitato i volumi che i Sapienti tengono aperti fra le mani, con pagine fintamente scritte e con squisiti disegni che il pittore vi tratteggiò sopra, senza curare se dal basso non se ne potevano ammirare i dettagli. Ma chi erano questi Sapienti? Mattioli, ricordando erroneamente ventiquattro cassettoni, anziché i reali diciotto, aveva proposto ventiquattro nomi, tra i quali Platone e Demostene, Pitagora e Aristotele, Ippocrate e Galeno, Euclide e Parmenide, Boezio e Tolomeo. In seguito, gli studiosi hanno tentato in tutti i modi di identificare i personaggi dipinti. Senza risultato. L’uomo con la corona frondosa in testa e un palese strabismo potrebbe essere Omero? Il dotto laureato in abito rosaceo non ricorda san Gregorio Magno? Il sapiente in pelliccia non evoca Erasmo da Rotterdam? Forse. Ma restano ipotesi senza riscontro.
IN BREVE:
ART E DOSSIER N. 412
SETTEMBRE 2023
In questo numero: FINESTRE SULL’ARTE: Il MAGA?: Una fabbrica culturale di Federico D. Giannini; CORTOON:Tecnica mista con conchiglia di Luca Antoccia; GRANDI MOSTRE. 1 - Plessi a Brescia e a Milano- Nozze d’oro di Sileno Salvagnini ; GRANDI MOSTRE. 2 - Iperrealismo a Roma - A onor del vero di Ilaria Rossi